lunedì 29 novembre 2010

Su Salvezza e impegno a cura di A. Ramberti

FaraEditore, 2010
recensione di Vincenzo D'Alessio

Non mi si dica, sei di parte!; la voce narrante più bella dell’ antologia, Salvezza e impegno, è quella di un fanciullo. Prima di scrivere, nell’agenda di viaggio il suo nome, vorrei chiamare a testimone il poeta del Novecento David Maria Turoldo:

Non più fanciulli
non più un angelo di terra
senza saperlo nemmenoun paese
ove dire ancora con stupore
il tuo nome, o Cristo.

Non un uomo
che annunzi pace,
un profeta che sia creduto.


Non più fanciulli
su tutto il pianeta
a guardare la luce
giocare sul fiume.

(dalla raccolta Il sesto angelo, Mondadori, 1976)

Il fanciullo che racconta, in versi stridenti, a volte dolorosamente aggressivi, è Guido Passini. Un fanciullo che narra la sua favola immensa di essere umano diverso sul pianeta Terra. Un “angelo di terra” che trattiene il fiato, immerso ancora nel liquido amniotico entrato nei polmoni. Piange, implora, prega, ama, sussulta, si arrabbia, impreca: azioni che lo sorreggono nella sfida contro la malattia. Una malattia che lentamente lo disgrega: marmo che diventa gesso, e si disperde al vento.
Questa breve raccolta, tra diario e versi, che reca il titolo “Poesia, un impegno che salva”, si rivela una medicina più efficace di quelle che è costretto ad ingoiare, per forza di sopravvivenza, ogni giorno. Ma c’è salvezza nella Poesia? C’è l’impegno, questo è certo, ma la salvezza? Qui mi vengono alla mente le immagini del bellissimo film Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, realizzato nel 1957, dove il gioco degli scacchi, l’oceano, come sfondo della partita tra il cavaliere venuto dalla Terrasanta e la morte, simboleggiano l’esistenza del singolo e quella dell’umanità. Una partita giocata sovente nel silenzio, mentre intorno si scorgono uomini che “non annunziano più pace”.
La poetica di Passini si collega a questa partita universale: “La vita, caro mio, è un’emozione continua, bella, intima, / è il bene più prezioso, e tu sai quanto. / Lo sai, lo so, lo sanno, lo sappiamo tutti” (pag. 309). Il Nostro è vero poeta, ama la vita, le sue continue illusioni e delusioni, non si perde di coraggio neanche nell’affrontare ogni attimo l’oscuro viaggiatore del silenzio: “(…) Trentuno anni che non godo appieno della vita. / (…) / Vorrei farmi ora una dose di vita, / sentire il respiro riprendersi, gonfiare il petto / anziché lo stomaco” (pag. 304). Lettore: puoi capire il dolore ininterrotto, permanente, insopportabile, che ti costringe a non poter pensare, che non ci sarà un domani, che non c’è futuro, che è solo sofferenza l’esistenza?
Lettore: puoi capirmi quando scrivo che questi versi, questo racconto sonoro, è vita vera di un fanciullo che non crescerà più nella mente? Il suo corpo invecchierà, forse in modo precoce. Ma in quell’involucro che respira a fatica, che ha occhi di uno sguardo, bocca di mille parole, orecchi per mille pensieri, c’è soltanto il fanciullo colpito dal dolore, divenuto poeta. Così comprenderai l’enjambement che percorre le sue poesie quasi a scaricare il verso precedente sul conseguente per farsi strada, per tenere il ritmo del fiato. Comprenderai che se il Nostro scrive “merda”, “bastardo”, “puttane”, “cazzo”, non vuole offenderti, soltanto celebrare il proprio dolore e quello degli altri. Vuole calarti nel suo mondo: stretto, residuo, “salmastro”. Ma un mondo vero, di questo nostro quotidiano mondo.
“Ho preso in affitto il respiro, da un mendicante d’antiquari” (pag. 301). L’inizio dei versi di Guido Passini sono la voce dei dimenticati: “i mendicanti”. Li amo e li ho sempre amati i poveri. Gli stessi che oggi guardano il cielo, come il Nostro, per scoprire se c’è ancora Dio: “(…) A volte un silenzio è necessario, / a volte invece vorresti gridare / a squarciagola che una vita se n’è andata / nel modo più assurdo, più desolante” (pag. 310). Chi ha poco sa capire meglio l’esistenza: “(…)Non esiste oro, proprio come non esiste merda. / Noi siamo, sempre e comunque. / Non ci fermeremo mai” (pag. 310).
“Nella poesia c’è amore, amicizia, fede” (pag. 306) scrive Passini e per fortuna una donna ha voluto accompagnarlo nel suo cammino: “(…) Tu sei donna, amante, compagna, / amica… Quante volte mi hanno detto: / Tu hai trovato l’America” (pag. 307). L’antonomasia “l’America” è il continente della Felicità tanto inseguita dagli uomini. “Felicità raggiunta, si cammina / per te su fil di lama”, ricordava il Nobel Eugenio Montale nei suoi versi. Per il Nostro, invece, il percorso verso la felicità è consolidato dall’impegno verso la Poesia: “La persona ha perso di valore, e noi non troviamo il tempo per ascoltare. Per questo arriva in aiuto la poesia. L’arte che nasce dall’io più nascosto, in grado di parlare di tutto; in poche parole si mostrano le sensazioni più disparate. Mi verrebbe da dire che la poesia è lo spot per eccellenza della vita” (pag. 299).
L’impegno è salvezza. L’impegno di chi soffre è vero e consente di migliorare, per chi vuole ascoltarlo: “(…) Eppure trovo nella poesia e nella maggior parte dei poeti che conosco una vera voglia di impegno. L’impegno visto come un modo per portare alla luce i problemi e fare sì che il mondo conosca, sappia” (pag. 299). Guido Passini vuole trasmettere “al mondo” il suo dolore. Non per riceverne compassione, che sarebbe anche un sentimento positivo, se sincero.
Vuole l’ascolto.
Perché troppe sono le voci, nuove e vere, apportatrici di salvezza e impegno civile, disperse nel vento violento di questo secolo ventunesimo, senza essere “ascoltate” come esempio.
Montoro

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