giovedì 2 dicembre 2010

Su IUS di Erika Crosara

Anterem Edizioni, ottobre 2010

Come osserva in Postfazione Stefano Guglielmin, quest'opera (vincitrice della sezione “Raccolta Indedita” del XXIV Premio Lorenzo Montano) è “difficile” e “va avvicinata dalla cornice” (cioè a partire dalla sua struttura suddivisa nelle sezioni “DIS”, “IUS”, “PAÎS” e “SUIS”). Inoltre,  e qui citiamo il prefatore Giorgio Bonacini,  presenta “una perentoria forza di dislocazione”. È senz'altro, la scrittura di Erika, tersa e levigata, sobria e giocata sul valore del vuoto, dell'ellissi, dell'understatement… questo provoca un peso specifico di ogni singolo morfema che rasenta la vertigine in quanto appunto spiazzante: se si individua un significato non si riesce a delimitarne la portata, se se ne determina la portata, il significato pare sfuggire (una sorta di principio di indeterminazione applicato alla sintassi).
 Il mondo, la realtà, le relazioni, le interpretazioni, il discernimento del bello (del buono) richiedono uno IUS, una regola condivisa, che viene sempre messa in scacco da forze DIS-greganti. La rete sociale e degli affetti – la stessa religione – (PAÎS) è inficiata dall'odierna ipertrofia (fragile bolla) del sé (SUIS). È un libro bellissimo, con una voce affatto riconoscibile. Un'opera che esige una lettura lenta, più riletture: “… si ferma nelle orecchie un suono / di piccoli animali, quello che taglia apre due sponde, un vuoto” (p. 11); “poiché si dava tutto gli veniva fuori il pianto. allora si / alzava un monumento bianco per pochi, con medaglie / per meglio ancorarlo allo scoppio dei primissimi fuochi” (p. 22); “i suoi rovesci solo immaginati: il vestito di spumiglia /disappeso nel giorno della partenza, poi / verso l'alba la parola «fine»” (p. 29); “… siamo i gitanti accaduti al pianeta potendo. / c'erano mattoni, pietre quadrate, gli arbusti” (p. 33); “non andare da nessuna parte, non giustificare / le feste, non erano in nulla l'ira di dio. mostravano / solo un dissapore, rara conversione degli occhi / che si moltiplicava: così risultanto assorti, passati” (p. 34); “dove la terra è di nessuno nessuno pulisce /arriva a volte il ragazzo diligente che si mette disteso” (p. 39); “prendeva tutti gli appunti li sistemava al netto dei vivi / in scatole di media grandezza” (p. 40).
Una tappa davvero importante, questo IUS, la cui poetica ha certo assorbito il grande Zanzotto, ed è forse abbastanza in sintonia con voci più contemporanee (Massimo Sannelli, ad esempio, o i corregionali Giovannni Turra Zan e Stefano Guglielmin) e si offre come frutto maturo e riconoscibile di un cammino acuto e intelligente di cui sentiremo parlare. (AR)

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