giovedì 2 dicembre 2010

questa prosa non è poetica

di Massimo Sannelli




si vedranno i lembi, molto lacerati. le cuciture non hanno retto. si parla di un vestito, ma anche al corpo l’orecchio è quasi separato dall’impianto, il corpo è morto. le foto sono sparse sul tavolo, all’alba, e tutto è vero. All’alba è ripensata la strada di San Salvi, col «buco annichilito» di una casa. e lì, allora, «io ho sentito amore per te», volentieri – in dicembre, anno 2002. la malattia è per caso, nel pieno del lavoro, senza genio. Si parla ancora di pelle (corteccia, involucro, carta) e della sua fortuna. Si pensa ad una nuova vista: vi è un teatro di parola, che si perfeziona. Ho sognato. Ma Ciro cambia discorso, a Roma: «altamente schiavo» (un uomo quando ama) e allora altissima schiavitù, nei sentimenti. e te piacciono l’òmmini? perché non vedi il mio sesso, e mi cancelli, senza tenerezza. quando ho fatto piccolo l’AMORE mi avete fatto male, ora lo faccio grande – che cosa mi farete? bisogna che gli scandali avvengano.  Perciò ho seguìto, ho inseguito; e ho fatto bene.

Barrault, il mimo, è tenero, ed è lasciato solo. lo sguardo è molto fragile, per paura, e non potente. poi l’aria comune è più fredda, il pubblico ride, il mimo è grandioso – e la mimesi? la mimesi è la serva della realtà: come vede, così riproduce una COSA. L’«ultimo padre della tenerezza nel mondo» [Neruda, per Chaplin] fa l’attore.

perché la casa è in alto, uccelli vengono: a posarsi, e altri volano sotto, dieci o cinque metri più in basso, e questa non si intende: Allegoria. c’è stato un “brutto male” curato. ora è amata la solitudine. ed è ammalata la solitudine, che cade nel sonno, dopo pochi minuti, e beve i buoni alcolici, e quelli che profumano, bevuti… Cambia anche il ritmo. il discorso sarà chiaro, ma anche sottile. E allo specchio sono provati, a lungo, i falsetti rumorosi, le imitazioni di voci inconsistenti, da sirena a bestia e vecchio. Pietraie e monti alti, e alta Asia, forse, e grande fuga; per non dire: «la colpa è degli uomini».

non sia che il freddo sia detto: questo è caldo. il freddo è freddo. e l’uomo ne muore? sì. ma l’uomo che ne scrive è vero, vivo, sorride e scherza; io, con lui, ero, più di una volta. e abbiamo mangiato insieme e bevuto – è una cosa normale. ma il freddo contrasta l’allegria e il cibo. Il vivo simula il gelo e gode del caldo: non è buona arte? E poi la memoria non dirà altro, a chi fu con lui: e spèzzaTI, e togliTI, e vatTEne.

ora, tempo, oggi, presente, realtà, e mondo personale, si vogliono unire in una lingua facile. anche io volevo morire, una volta. ieri sera, di colpo: «la responsabilità che mi dai – che non è importanza – mi intimorisce». questa è una distanza, per un tè offerto [una PICCOLA COSA]: e perché tu vai? non bere! e te piacciono l’òmmini? è detto, perché non vedi chi sono: anche un uomo, uno che se ne va, dopo l’ultimo testimone.
poi si mettono gli occhi negli occhi. quando Pierrot cede, e cede il filo teso, la lavandaia arriva, rialza il filo. la sua pietà è urgente, la tenerezza è uno stile, anche urgente: posso portare i fiori alla statua bianca? non mi sembra una statua, però è immobile; io la adoro, ma non mi vede; Arlecchino la seduce, perché non adora. fuori, gli uomini pisciano sul lastrico, in cinque o in sei, e il liquido rimane sulle pietre: fanno schifo.

ora io non amo più una persona, ma MOLTE, e molte COSE. la tenerezza (la lavandaia e la bambina, padrone della corda) impedirà il «bel suicidio». questa speranza non è solo di Pierrot, che è Barrault. questa prosa non è poetica.


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