giovedì 22 luglio 2010

Su Sto consumando l’ultima casa di Franca Fabbri

FaraEditore, Rimini 2010

recensione di Anna Maria Tamburini

Sto consumando l’ultima casa di Franca Fabbri è una raccolta assolutamente coesa, tutta strettamente imperniata sul tema della morte, introdotta a mo’ di epigrafe dall’explicit dell’Ultimo viaggio di Ulisse, dai Poemi Conviviali di Giovanni Pascoli, e licenziata con un’ode dedicata al fratello che dell’esperienza di Odisseo ha condiviso la morte lontano da casa.
Della letteratura sul tema del ritorno, questa lirica al fratello scomparso recupera memorie bibliche di estrema bellezza evocando, della parabola del figliuol prodigo, la voce del padre che riabbraccia il figlio che torna e ingiunge ai servi di rivestirlo a nuovo per fare festa reintegrandolo con tutti gli onori al rango di figlio – mettetegli vestito e scarpe nuove – : l’esperienza più decisiva della vita è avvicinata nella speranza, nutrita di fede cristiana per cui la morte in ultima istanza diventa un ritorno. 
Sto consumando l’ultima casa  è anche una raccolta che intorno al tema della morte mette insieme l’esperienza della vita intera e gli affetti che l’hanno fondata. E, senza cedere mai al sentimentalismo, rischio connaturale all’argomento, non di rado, nonostante l’asciutto dettato, la parola di Franca Fabbri può strappare qualche lacrima al lettore, almeno in prima battuta. 
Della morte esamina razionalmente ogni aspetto, minuziosamente: l’eutanasia, il suicidio, i diversi tipi di morte, i modi e i tempi, il prima e il dopo, le oscure avvisaglie, l’attesa della visita ultima in una corsia d’ospedale, il funerale visto dagli occhi di chi interviene per l’estremo saluto, la casa vuota…, e anche l’esperienza degli amori finiti vissuti come estrema perdita…
Le due parti su cui si dispone la silloge organizzano i testi su due punti diversi di osservazione: dall’esterno e dall’interno.  Il punto di sutura è nell’ultimo testo della prima parte: Sassi, sul significato del dolore, testimonianza per i vivi lasciata ai vivi, dell’inutile sofferenza che l’uomo causa all’uomo, i sassi che vengono posti a testimonianza della sofferenza sul sepolcro degli ebrei vittime dell’Olocausto e che l’autrice ha trovato, forse deposti dai figli, sulla tomba del fratello al quale è poi dedicato il componimento di explicit della raccolta. 
Secondo un criterio di coerente simmetria, anche la seconda parte inizia con un testo tratto dai Poemi Conviviali del Pascoli, La buona novella (in Oriente): una lettura del Natale altamente drammatica e al tempo stesso di universale speranza. Giovanni Pascoli non è solo il poeta che ha vissuto tutta la vita nel trauma della perdita e sotto la minacciosa nube dell’oscura presenza ma è anche il poeta di casa per chi vive in Romagna, un autore che non si può in alcun modo eludere, con il quale non è possibile non incontrarsi da vicino, prima o poi, in particolare per chi abita a pochi chilometri da San Mauro Pascoli come Franca Fabbri. Altre voci e altri autori attraversano il libro, o perché citati o perché accostati per allusione ma in questa familiarità col Pascoli le soste avvengono nel segno della fedeltà alle esecuzioni alte sul comune tema della signora in nero. 
Ora, però, da tutti e ciascuno degli approcci o avvicinamenti, la voce di Franca Fabbri deduce, elaborata al filtro della sapienzialità biblica e nutrita al tempo stesso all’evidenza di natura antropologica, una propria oggettiva e profondissima massima, agghindiamo / imbellettiamo / il morto / per un appuntamento / d’amore, di sentire dickinsoniano per cui la morte è vissuta come appuntamento d’amore.


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