puntoacapo Editrice
recensione di Ivano Mugnaini
I racconti di Roberto Morpurgo hanno la capacità di collocarsi in quella dimensione specifica, quella terra sottile e fascinosa, compresa tra gli oceani della verità e della fantasia. Il rischio potrebbe essere quello delle sabbie mobili: ossia la perdita della consistenza delle due dimensioni specifiche, quella concreta e quella che potremmo definire onirica. Ma il vantaggio, i frutti potenziali di quel suolo specifico sono notevoli: il potere dell'immaginazione nutre di sé anche la dimensione reale, trasfigurandola, mettendone in luce aspetti di rigogliosa esuberanza. Ebbene, grazie ad una serie ampia e generosa di dettagli che contribuiscono ad evocare in modo possente il "colore locale", Morpurgo sa evitare benissimo il rischio a cui si è fatto cenno e sa esplorare e coltivare altrettanto bene le potenzialità del terreno narrativo che ha scelto e generato. I racconti di El Djablo hanno luogo in un mondo "ispanico" in senso ampio e ben connotato: c'è il Messico, gli Aztechi, gli indios e i conquistadores, c'è Cuba, l'isola di sogno, aspra e autentica, c'è il dolore e le vicende di sopraffazione, lo scontro tra civiltà diverse. Morpurgo sa dare un aspetto credibile alle storie che narra: inserendo brani in lingua spagnola e note in cui spiega con cura tutti i risvolti delle storie, compreso il legame tra verità e leggenda, quel sapore specifico di un mondo che combatte la pena e il sangue versato costruendo, con pathos ed ironia, una realtà parallela, non meno autentica, non meno assetata di vita, fino al punto in cui il realismo si fa magico, e le due dimensioni si fondono, creando mondi possibili, privi di confini, non più soggetti alle leggi della logica e del tempo. Coerente con il progetto e l'intento di condurre il lettore in questo mondo esotico eppure concreto e verosimile, Morpurgo plasma in questi suoi racconti un linguaggio ad hoc, scorrevole e tuttavia ricco, come un albero con foglie e fiori coloratissimi. Alterna a frasi di pura e semplice descrizione degli eventi, altre espressioni che costantemente ci chiamano in causa, invitandoci ad accettare il gioco e la sfida narrativa per eccellenza, quella tra immedesimazione e straniamento. E' un linguaggio forte, quello di Morpurgo, adatto a rappresentare le vicende di terre in cui tutto, il sole, i paesaggi, gli errori e gli orrori, i sogni e le verità, appaiono giganteschi, colossali. C'è sangue e sofferenza, in molte delle storie narrate, ma, ugualmente vivida e nitida, c'è un'ironia più che mai essenziale, salvifica. Perfino il male, immenso anch'esso, viene inglobato nel panorama e nel solco narrativo: diviene simile ad un toro infuriato lanciato contro il sogno, contro la volontà dell'uomo di vivere e gioire. Ma, come per le popolazioni indios minacciate dall'invasione spietata di popoli stranieri, Morpurgo lo indica, lo fa comprendere tra le righe, la salvezza è in ciò che nessun potere oppressore può sterminare: la fantasia, la capacità di creare storie e leggende, inventate eppure più vere del vero: la salvezza, se c'è, è nella parola: "La Aleph es verdad, es siempre una A... entiendo un Principio... serà el Fin a maravillarlos todos", scrive Morpurgo. La parola si muove tra verità e sorpresa, tra il reale e l'inatteso. E questo libro di racconti conferma, con passione ed efficacia, quanto ampio e fertile possa essere il confine che separa ed unisce queste due dimensioni.
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