di Roberto Morpurgo
Sono nato subito dopo Dio, che non è mai nato. Da allora vago nel mondo in cerca di un Autore: benché sappia che mai ne troverò uno. Non ho nome, eppure ho tutti i nomi, né sono solo, benché mi manchi ogni compagnia. Amo tutto, dunque anche il Nulla. Ai tempi di Mosè fui d’argilla, simile a un antico idolo di terracotta; poco dopo, Edipo mi scolpì nel suo cuore, dove mi diede un nome, Uomo, che non dimentico. Da allora, non faccio che ripeterlo, erro nel mondo in cerca di un Nome: un nome proprio, come dice l’Uomo. Non è questo il mio nome, né quello di Dio. Mio è il mio, dovrei forse esclamarlo? Sprecherei tre parole, che anzi ho già sprecato. La dissipazione è il mio principio e la mia fine, e, lo ripeto, l’alfa e l’omega, e cioè la aleph e la tav, della mia esistente vicenda. Non ho altri segreti che quelli di coloro che mi sfogliano, dolce cipolla, e su di me piangono come sulla lapide della Mater Aeterna. Ho in cuore un pensiero che vi confido, ed è la morte. La mia? Insensata parola: impossibile possesso. Oltre i pronomi e ben oltre ogni altra parola, Io Sono il Verbo e la luce stessa di una Tenebra che sì, si accinge a estinguersi. Illusi, pensaste che solo la luce potesse estinguersi. Illusi. Tornerò per andare, e allora per sempre, verso un luogo, credo una Stella, dove a Nessuno sarà più permesso contraffare il mio nome. Ai tempi di Edipo, o poco dopo, Ulisse mi prestò un soprannome che ho già dovuto evocare: ma lui è giunto, sia pure ultimo, fra i Beati che ebbero sepoltura. Io, non ancora.
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