giovedì 10 dicembre 2009

Su La signora Irma e le nuvole di Subhaga Gaetano Failla

recensione di Marco Scalabrino



Alessandro Ramberti e la sua casa di edizione FARA, in Santarcangelo di Romagna (RN), hanno messo a segno, negli anni recenti, parecchi ottimi colpi; ricordiamo, solo a mo’ di esempio, la pubblicazione dei lavori di Chiara De Luca, di Narda Fattori, di Antonietta Gnerre, di Antonella Pizzo.
Da tempo ero pure a conoscenza della pubblicazione del volume di racconti di Subhaga Gaetano Failla, La signora Irma e le nuvole, del 2007, ne avevo letto in RETE positivi commenti, ma non avevo ancora avuto l’opportunità di leggere il libro.
Tra quelli, Morena Fanti: «Una raccolta di racconti da leggere con la giusta lentezza, quella di chi sa dedicarsi all’ascolto delle parole e delle immagini. Storie che si dividono in frammenti di sogni e in ricordi, in episodi della vita normale e sorprendente nello stesso tempo. L’atmosfera rarefatta dilata lo spazio in cui vengono vissuti e la narrazione diventa stimolo e pretesto per evidenziare come certi momenti di “nulla” quotidiano siano altresì momenti in cui posare lo sguardo e puntare l’attenzione»; Annalisa Macchia: «Spesso calati in misteriose atmosfere, agili, privi di qualsiasi orpello letterario, questi testi rivelano l’amore per una prosa asciutta e dinamica. Non mancano spunti per riconoscere i maestri: Edgar Allan Poe, il cui fantasma fa capolino in ambientazioni ricche di suspence e ai confini della realtà, certe sfumature fantastiche e surreali [che] richiamano alla mente la prosa di Buzzati o le pagine di Borges, e altri infiniti autori che, dopo essere stati letti, amati, assimilati, si sono abilmente intrecciati alla prosa di Failla. Barriere tra sogno e realtà sono magistralmente abolite, anche quando la storia è ben ancorata a terrestri vicende e il tempo si configura come un indefinibile flusso di emozioni, fantasie e ricordi; Salvo Zappulla: «Misteriose atmosfere dove la tirannia del tempo viene annullata; simbologie che giocano con gli equilibrismi dell’immaginazione; una finezza stilistica che tende al magico realismo, al paradosso esistenziale. Failla è uno che ha letto molto, ha scandagliato gli incubi di Poe, ha metabolizzato i voli pindarici di Calvino, i sogni visionari di Borges.»
Osservazioni ampiamente sottoscrivibili; e dunque non mi pare il caso di insistere su tali salienti tematiche, quanto piuttosto di provarmi a proporre, benché succintamente, qualche ulteriore tratto dell’opera, a partire da un passo del racconto DI FOGLIE VERDI che sembra messo lì apposta per compendiare la stessa e che, con un atto di destrezza, volgo a nostro vantaggio: «il tentativo di riunire frammenti disordinati per comporre un’unica comprensibile logica esistenza.»
Nei tre principali ceppi che ritengo di scorgere in questo lavoro:
1. l’ottimo italiano, aspetto da non dare più per scontato di questi tempi;
2. le “lunghe” propedeutiche letture, ben testimoniate dalle molteplici citazioni/evocazioni di autori quali Tabucchi, Lovecraft, Poe, Molière, Hugo, Corneille, Bufalino, Dostoevskij;
3. il “progetto” di una propria originalità, da sostanziare oltre quanto detto altresì nella forma, in cui spicca DUE MINUTI e nella quale anche TREGUA DI NATALE e OTTO si distinguono, si innestano la partecipazione (sia alla storia che) alla attualità, «Grande Lazio: uno a zero. Quest’anno mettiamo a posto le pensioni. Non ti preoccupare, non ho l’AIDS e non ho più voglia di eroina», la propensione alla liricità, sotto forma di una sorta di haiku, della recita in sogno dell’idillio L’INFINITO di Giacomo Leopardi, del libro di poesie di William Blake posto sul comodino, eccetera, la soundtrack sulle note dei cari, gloriosi vinili dei Tangerine Dream e dei Jefferson Airplane, la amara/esilarante “penna” come nel passaggio: «Ho un fratello. Quando gli telefono, lui risponde “Pronto” e alla mia voce ripete ancora “Pronto! Pronto!” per alcuni secondi, poi riattacca.»


Dicembre 2009

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