giovedì 29 febbraio 2024

L'incubo di Giulia



Sono al supermercato, ho finito di fare la spesa e attendo in fila alla cassa. Davanti a me c’è un distinto signore che mi sorride. Sono incerta sul da farsi perché non mi pare di conoscerlo, ma consapevole della mia scarsa memoria fotografica abbozzo un sorriso di circostanza. Dopo aver pagato me lo ritrovo davanti all’ingresso del centro commerciale, allunga la mano e si presenta. Rimango perplessa, non voglio apparire scortese e non mi allontano immediatamente.

Precorre immediatamente i tempi invitandomi a cena. Rifiuto, perplessa e infastidita, e lui ripiega per un immediato caffè al bar. Lo assecondo perché credo che questa sia l’unica maniera per liberarmene. Purtroppo due giorni dopo scopro che quel caffè mi ha rinchiuso in una ragnatela di invisibili e inquietanti catene. Infatti cominciano le telefonate, prima “dolci e affettuose”, poi sempre più pressanti e inquietanti: mi ritiene una cosa sua.

Per me è uno sconosciuto, ma lui sembra conoscere anche le pieghe più nascoste della mia vita. Di fronte ai miei fermi rifiuti diventa sempre più aggressivo. Decido di bloccare il suo telefono, ma lui si ripresenta con i numeri più svariati.

La mia vita è diventata un incubo e me lo ritrovo davanti in qualsiasi contesto. Le sue parole, urlate e sibilanti come pallottole, mi comunicano che si è impossessato della mia vita. È presente in ogni momento della giornata perché anche quando sono da sola non posso cancellare la paura per il prossimo incontro.

Non ha freni neanche quando sono in compagnia, una volta mi ha assalito con insulti, improperi e minacce mentre ero al bar con amici, riempiendomi così di ulteriore inquietudine. Ho paura per me, ma anche per chi mi sta vicino. Decido di andare da Carabinieri, mi dicono che è un habitué ad azioni simili. Finalmente, dopo due mesi passati con la paura di uscire di casa, gli mettono il bracciale elettronico: non può avvicinarsi a meno di 400 metri da me. Purtroppo, inevitabilmente sconfina spesso, inventandosi le più disparate scuse.

E così continua la mia vita, stramaledicendo quel caffè che si è rivelato cicuta. Purtroppo si è insediato nella mia vita e imi sento continuamente braccata. Cerco disperatamente una via di fuga, ma davanti a me scorre un malefico caleidoscopio che mi ribalta addosso la sua luciferina immagine.

La mia vita è finita, i miei pensieri si inseguono sincopati e cercano un introvabile rifugio, cammino sotto un sole che non illumina, in salita, dove non è possibile intravedere né l’inizio, né la fine di una notte bianca di gelo. Vedo paesaggi lunari, crateri sparsi, proiezioni di ombre gigantesche. Inseguo con impotente speranza quella linea dell’orizzonte che dovrebbe indicarmi la via, ma è offuscata da improvvise bufere. Cerco di medicare le mie allucinazioni con inutili urla, che accompagnano l’onnipotente rappresentazione di quel lembo di salvezza che afferro con le unghie e con i denti, ma ineluttabilmente mi sfugge facendomi precipitare.

Credo che il risveglio da questo incubo coinciderà con la sua morte, naturale e provocata.

Quest’uomo mi ha ammazzata, per adesso solo psicologicamente, ma potrebbe provvedere anche materialmente, perciò desidero fortemente che muoia e mi offro come esecutrice.

E allora mi ritrovo sulla barca di Caronte, che è incerto se traghettarmi nel girone dei violenti e degli assassini o inviarmi in cielo, in compagnia dei perseguitati.

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