lunedì 23 dicembre 2024

L’ALBERO DI NATALE

Un racconto di Sandro Serreri

Sedeva, tutto solo, sulla panchina alla quale da tempo si era affezionato, perché da questa, per la prima volta, aveva visto l’orologio e ascoltato incuriosito i suoi rintocchi. L’orologio era lì da oltre un secolo, ma lui non lo aveva mai visto prima della sera del 24 dicembre di tanti anni fa. 

Ebbene, seduto sulla sua solita panchina, mancavano tre giorni a Natale, non aveva tardato a notare che le lancette dell’orologio erano ferme, che insolitamente era privo di decorazioni natalizie e che il vicino lampione, anche lui lì da oltre un secolo, quello che gli faceva compagnia e lo illuminava, era spento. Inoltre, notò che nessuno passava, né a piedi né in bicicletta, per la piccola piazza a lui tanto cara. 

Uno strano silenzio avvolgeva tutto, strano perché, non lontano, c’era una via che nei giorni di Natale era molto animata e chiassosa a causa di alcuni negozi molto popolari per l’acquisto dei regali natalizi.  


Tutte le sere, rincasando, sostava sulla panchina giusto il tempo per ascoltare qualche rintocco di quarto o di mezzora, ma anche per riposarsi dalla fatica di dover tornare a casa.

E proprio quella sera, non avrebbe voluto tornare a casa per così tanti motivi che il solo pensiero gli aveva provocato un fastidioso cerchio alla testa. 

A casa, come tutti gli anni, ancora non aveva fatto l’albero e sulla porta non aveva appeso la ghirlanda che ogni anno cambiava colore. Dentro di sé si sentiva molto triste e questa tristezza lo aveva reso incapace di reagire alla annuale, forte tentazione di non festeggiare il Natale. Ma anche quella sera doveva rientrare a casa e non poteva fare diversamente.


Stando così seduto, immobile, con lo sguardo fisso sul quadrante dell’orologio, improvvisamente fu attratto da una luce bianca che, dietro la sagoma metallica del contatempo fermo, andava aumentando d’intensità sino a illuminare quasi tutto lo spazio della piazzetta. A quella vista si stropicciò gli occhi alcune volte col risultato non solo di continuare a vedere, ma anche di lasciarsi incantare da quel fenomeno che giudicò essere una magia o un miracolo. Ma come la luce perse la sua intensità, ecco apparire un bambino. Gli andava incontro a piccoli passi. Aveva i capelli color carota, vestiva di verde e di blu, sorrideva e calzava delle buffe pantofole a forma di testa di alce. 


Giunto che fu a pochi passi da lui, che sbigottito si era alzato in piedi e aveva tirato su il bavero del cappotto tenendolo stretto e premuto sulla gola come per proteggersi, il bambino tese la mano destra e disse: “Ciao David! Io sono Alfred!”. “Come sai il mio nome?”, gli domandò, quasi balbettando. “Oh, io so tante cose di te!”. “Tante, tante cose di me?”. “Sì! So che hai cinquantun anni, che da ventitré fai un lavoro che non ti piace, che odi tornare a casa, che sei quasi sempre triste e che anche quest’anno non hai ancora addobbato l’albero di Natale”. 

David non credeva alle sue orecchie. Era tutto esatto. Tolse la mano dal bavero, la porse verso il bambino e gli domandò: “Ma tu chi sei?”. “Te l’ho già detto, sono Alfred!”.


Così dicendo, con un gran sorriso, si sedette sulla panchina, e in quel preciso momento gl’ingranaggi dell’orologio ripresero a funzionare, le lancette ruotarono e per tutta la piccola piazza riecheggiarono 1, 2, 3… 7, 8, 9 rintocchi, forti e solenni. “Le 9 della sera”, pensò David, seduto al fianco di Alfred. Ma le sorprese non finirono. Dopo il nono rintocco, il lampione tornò a emettere la sua luce quasi giallognola. L’orologio, illuminato come non mai, si vestì a festa: la corona dell’Avvento sul tettuccio del quadrante e ghirlande di pungitopo dal collo ai piedi della sagoma.

Questa volta David non credeva ai suoi occhi. Rivoltò al bambino, che avrà avuto dieci o undici anni, gli domandò: “Dimmi: è tutto vero quel che sto udendo e vedendo o tu sei, semplicemente, un sogno?”. “Tutto, tutto vero, verissimo!”, gli rispose pimpante. “Che cosa vuoi da me?”, allora gli domandò David alzandosi in piedi di scatto. “Che tu venga con me!”. “Con te? E dove?”. “Vieni con me e vedrai!”. 

Alfred lo prese per la mano sinistra e i due si avviarono lasciandosi alle spalle la panchina, l’orologio, il lampione, la piazzetta. 


Accompagnato e tirato per mano da Alfred, David non sapeva altro che dirsi, se non: “Sto sognando! Sto sognando!”. 

Alfred fischiettava un motivetto natalizio mentre davanti a loro, passo dopo passo, la via si liberava e usciva da una sorta di nebbia per mostrare sempre più chiari i contorni di edifici, tetti, vetrine, lampioni, aiuole, cassonetti, scale, portoni, e si animava di gente ben vestita che entrava o usciva dai negozi o dalle case, di bambini a seguito delle loro mamme, di fattorini in procinto di consegnare pacchi di tutte le dimensioni. 

David, cammin facendo, ebbe l’impressione di riconoscere alcuni particolari, come insegne di negozi e uffici, provenienti dal suo passato ma, allo stesso tempo, era altrettanto sicuro di percorrerla per la prima volta. 

Dopo essere passati davanti a una pasticceria, sul marciapiede antistante si era formata una piccola fila di signore e signori in attesa del loro turno d’ingresso. Ed ecco, al centro del largo della via, ergersi maestoso in tutta la sua bellezza di decorazioni e luci variopinte un alto albero di Natale. Quasi sotto i suoi addobbati rami, un gruppetto di ragazzini e ragazzine, disposti a semicerchio, cantavano una canzone che chiedeva pace e tanta neve. 


David e Alfred si fermarono a contemplare l’albero e ad ascoltare il bel coro. “Lo riconosci?”, gli domandò Alfred dopo aver fatto due passi avanti e averglielo indicato con un gesto della mano. “Dovrei?”, gli rispose David guardandolo con occhi smarriti. “Sì! Lo hai fatto tu, con i tuoi fratelli e sorelle!”. David ci pensò un pochino prima di dire, con tono scocciato: “Io non ho né fratelli né sorelle!”. “È vero! Li hai tutti allontanati e abbandonati alle loro vite!”, gli rispose Alfred con manifesto tono di rimprovero. David non ebbe il coraggio di replicare e chiusi gli occhi, come per sfuggire alla realtà, ricordò quando con i fratelli e le sorelle, bambini e adolescenti, durante i giorni della novena di Natale si dedicavano, su commissione, ad addobbare alberi di Natale in case private, edifici istituzionali, negozi e piazze. In quest’arte l’intera sua famiglia eccelleva ed era nota in tutti i vicini villaggi e in tutta la regione. L’avevano eredita dal nonno e dal padre, arredatori e decoratori. 


Alfred, dopo un attimo di esitazione, lo lasciò solo con i suoi ricordi e pensieri e, in punta di piedi, si allontanò.

Poco dopo, David si sentì picchiettare sulla spalla: “Giovanotto, la stavo aspettando per le nove di questa mattina. Perché è ancora qui?”. Un’anziana signora, avvolta da un lungo cappotto con il collo di volpe argentata, lo osservava con volto risentito nell’attesa di una sua risposta. Allora, si rese subito conto di non essere più il lui di adesso, ma quello di tanti anni fa, quando, con gran divertimento, dirigeva, essendo il primogenito, la squadra dei fratelli e delle sorelle negli addobbi natalizi di alberi, ma anche di ingressi di abitazioni e di soggiorni familiari. L’anziana signora, spazientita dal suo silenzio, gli domandò, per la seconda volta: “Perché è ancora qui?”. Alfred giunse giusto in tempo per toglierlo dall’imbarazzo del non avere una risposta. 

Lo prese di nuovo per la mano e gli disse: “Andiamo! Devi vedere e ascoltare altro!”.


Ed ecco che, come per magia, l’albero, il coro, la via, i negozi, l’andirivieni, non c’erano più. Al loro posto una stanza color verde pistacchio dove un uomo, seduto su una poltrona dall’alta spalliera, davanti a un camino dove ardeva un fuoco di legna scoppiettante, tossiva ripetutamente sforzandosi di dire parole che a mala pena riuscivano a uscire dalla gola. Quest’uomo, lo riconobbe, era il padre, ormai vecchio e molto malato. David ricordò la sera durante la quale, dopo aver cenato insieme, padre e figlio si erano messi a tirar somme sulla loro famiglia dove, ormai da alcuni anni, regnavano divisioni e ripicche. Il padre, rimasto vedovo da oltre un anno, aveva più volte tentato di incollare i “vari cocci”, ma non era riuscito nella difficile impresa perché tutti i figli, soprattutto il primogenito, lui, David, sapevano solo gridare le loro ragioni senza mai intavolare un vero dialogo. Quella sera David, nonostante la ripetuta richiesta del padre, non aveva voluto riconoscere le sue responsabilità e, soprattutto, il suo orgoglio ferito e dolorante. In questa occasione, il padre aveva rinunciato a farsi promettere da David che dopo la sua morte avrebbe fatto di tutto per costituire una Società senza escludere nessuno dei fratelli e delle sorelle. Qualche giorno dopo i suoi polmoni cessarono di respirare e la sua famiglia rimase divisa dopo aver preso ognuno la propria parte e la sua strada.


Dopo aver rivisto e rivissuto la triste morte del padre, il tempo in un solo secondo tornò al presente e Alfred, con sguardo pensieroso, gli domandò: “Sei dispiaciuto? Sei pentito?”. Ma non fece in tempo a rispondere, che si trovò in un’altra stanza alle cui pareti erano appese pentole, tegami in rame, piccoli cesti in vimini, vecchi piatti d’epoca. La riconobbe, quasi subito: era la assai vissuta cucina della sorella Margareth. 

Margareth, secondogenita, era stata la sua sorella preferita. Molto simile a lui per carattere, dopo la morte del padre, si erano accordati nel tentativo di rappacificare gli animi, di fugare le controversie familiari, di cercare e trovare possibili compromessi. Ma l’orgoglio di alcuni di loro e le cattive intromissioni di parenti chiacchieroni avevano vanificato tutti i loro sforzi, tutte la loro buone intenzioni. Da ultimo – il Diavolo, si sa, ci mette sempre la coda! –, per una parola fuori posto e male interpretata, anche loro due si divisero e allontanarono per sempre. 

Sul tavolo fumava la crostata di ciliegie appena sfornata da Margareth. Era la sua crostata preferita. La sorella, con calma e sorridente, tagliò una prima e poi una seconda fetta. Quindi, diede la prima a David, accompagnandola con un invito: “Dai, addolcisciti!”. 

David a questa scena si commosse ed ebbe come un brivido. Poi, il tutto svanì come nebbia al sole. 


Si ritrovò davanti al grande albero di Natale, senza più il coro, ma il va e vieni di numerose persone con pacchi e pacchetti natalizi, buste della spesa e bambini che si rincorrevano qua e la. Accanto a lui Alfred canticchiava: “Astro del ciel…”. E dal cielo di grigio chiaro cadevano piccoli fiocchi di neve. 

Ora, non resta che un’ultima stanza!”, disse Alfred a David prendendolo ancora una volta per mano. E così, dopo avergli stretto forte la mano per tre volte, i due si trovarono dentro una stanza celeste pastello e nel chiarore di una luce soffusa. Era il soggiorno della casa di David. Come accadeva ormai da anni, non c’era l’albero di Natale e nessuna decorazione natalizia. Solo un bel fuoco nel camino, in un angolo della stanza, emanava un calore assai piacevole. David stancamente vi si sedette davanti e così pure Alfred. Stettero in silenzio, senza dire una parola, con le mani aperte e tese verso le fiamme danzanti rosso-arancio. 

Che ne dici se facciamo insieme l’albero?”, domandò David ad Alfred. “È proprio quello che mi aspettavo di sentire!”, gli rispose sfregandosi le mani. Allora David portò dal sottoscala diverse scatole colorate, piccole e grandi, e un albero che sembrava quasi vero. 


Ecco, bravo! Torna a fare l’albero di Natale e poi vedrai che tutto il resto verrà!”, gli disse Alfred mentre lo aiutava ad addobbarlo. E così i due si misero al lavoro e in meno di un’ora l’albero fu terminato. L’accensione delle luci David la riservò ad Alfred, che ne fu molto onorato e che per la tanta felicità a lungo batté le mani facendo un girotondo attorno all’albero. Anche David si unì ad Alfred in una manifestazione di gioia incontenibile battendo le mani e seguendolo nel girotondo. Fuori si udiva cantare un coro di adulti e attraverso i vetri delle finestre si vedeva cadere la neve sempre più abbondante. 

Mentre si stavano dedicando a meglio sistemare le decorazioni del camino, un forte suono di campanello sorprese i due facendoli tremare. “Chi può essere a quest’ora?”, disse David attizzando la legna che ardeva rubiconda. “Vai, vai, presto!”, gli rispose Alfred spingendolo verso la porta d’ingresso. Aperta la porta, dopo due giri di chiave, si trovò davanti la sorella Margareth con il marito e i due figli. “Abbiamo saputo che dopo tanti anni hai fatto l’albero di Natale. Possiamo vederlo?”, gli domandò la sorella con voce commossa. David non riuscì a trovare nessuna parola, ma tirò verso di sé Margareth e l’abbracciò forte forte piangendo. I due, abbracciati, piansero insieme. “Come siete diventati grandi!”, disse rivolto ai due nipoti ormai adolescenti e invitando tutti loro a entrare. “Sì, ho fatto l’albero, ma non da solo. Mi ha aiutato Alfred, un bambino che…”, disse entrando nel soggiorno. Ma Alfred non c’era. “Dov’è andato a finire?”, pensò tra sé guardandosi intorno. Al suo posto, una candela rossa accesa che emanava un delicato profumo di cannella e le pantofole a forma di testa di alce. 


La legna nel camino ardeva e si consumava scoppiettando con tanta allegria, le luci multicolori dell’albero si accendevano e spegnevano al ritmo di una musica natalizia, tutta la stanza cantava e annunciava: Buon Natale a tutti! 

Attorno all’albero si presero per mano un po’ impacciati, guardandosi l’un l’altro. “Oh David, è bellissimo!”, gli disse Margareth e poi, in coro, il marito e i figli. “Sì, è bellissimo – rispose –,  ma ancor più bello è che voi tutti siate qui. Grazie! Vi voglio bene!”. 

Da una scatola natalizia la sorella estrasse delicatamente la crostata preferita da David, quella di ciliegie, che posò sul tavolino davanti al fuoco sempre più danzante. 

Seduti l’uno accanto all’altro, gustando la crostata, David e Margareth si guardavano con amore ritrovato. 

Il resto verrà!””, gli disse lei. “Sì, il resto verrà!”, le rispose lui. 

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