martedì 9 gennaio 2024

Stalingrado: Premessa




Vasilij Grossman con Stalingrado mette in scena un romanzo storico. Ma non è il solito pamphlet in cui si esaltano le gesta di grandi uomini che cambiano i destini del mondo. In effetti non si tratta di un libricino di poche pagine, ma di un “tomo” di oltre ottocento ed i protagonisti  sono i piccoli uomini che insieme riescono a ribaltare la storia e a sconfiggere la belva nazista. Non a caso un passo del libro recita: “E in questo risiede la speranza del genere umano: sono le persone semplici a compiere le grandi imprese”.

Il tema di fondo rappresentato dall’invasione tedesca non viene sviluppato attraverso la descrizione delle battaglie, ma raccontando il prima e il dopo. E questi due tempi sono popolati da persone, cose e ambienti.

Ecco allora che appare Vavilov che riceve la lettera di chiamata alle armi e dichiara: “Finito”. “E non si riferiva alla sua firma sul registro, ma alla sua vita familiare, che era finita, che era stata stroncata in quel momento esatto”. Diventa di una parusiaca tristezza il momento in cui si accomiata dalla figlia: “Nastja lo guardava con occhi diversi, indagatori. In quei pochi attimi era diventato un altro, per lei, e fra di loro sembrava essere caduto un velo invisibile”.

E la naturale conseguenza della guerra è la produzione di orfani. Ecco allora che appare Griša, un bambino poverissimo, i genitori ammalati e la casa che è un tugurio, ma tutto questo non gli impedisce di essere felice.  Per lui: “Quella casetta era meglio di tutti i palazzi e le chiese del mondo. Perché lì dentro lo amavano, lui, la sua timidezza e le sue orecchie grandi”. E alla festa del Primo Maggio dice ai genitori: “Mamma, papà, come siete belli, come siete eleganti”. È il suo ultimo saluto, perché poco dopo le bombe mettono fine alla sua felicità che non chiedeva niente, ma soprattutto ad una storia d’amore, con un epilogo straziante: Nessuno sapeva quanto li amasse, quanto fosse strenuo, dolce il suo amore per loro. Griša li aveva visti dopo il bombardamento, riversi, coperti con un panno grezzo e bruciato: il naso aguzzo del padre, l’orecchino a cerchio della madre, una ciocca dei suoi pochi capelli biondi…”.  

Grossman non presenta solo il singolo individuo nelle sue interazioni, ma visualizza il gruppo, ci fa partecipi della comunità, non come entità grigia, inestricabile, informe, ma come una forza viva, un coro che trasforma le difformità in un suono armonico. “In quei giorni fu come se la differenza di età, professione e stato sociale che talvolta impediscono alle persone di avvicinarsi scomparissero, e chiunque lavorava alla Centrale elettrica sentì forte i legami veri umani   della vita e si sentì parte di un’unica grande famiglia unita”.

In uno scenario apocalittico come l’assedio di Stalingrado c’è posto per alcune riflessioni sull’arte, alla quale non ci si accosta intimoriti, senza alcuna gioia ed emozione e che diventa “un’inferriata ruvida fra l’uomo e il mondo”. Di fronte ad una espressione artistica ci si scopre a gridare: “Anch’io ho pensato e provato qualcosa di simile e lo provo ancora; anch’io l’ho vissuto sulla mia pelle!”.

Infatti: “L’arte di questo tipo non separa l’uomo dal mondo, ma al mondo, alla vita, agli altri uomini lo unisce. L’arte di questo tipo non usa lenti colorate e «astruse» per guardare alla sua esistenza”. In pratica: “È come se la vita entrasse dentro di noi, come se accogliessimo nel nostro sangue, nella nostra mente e nel nostro respiro tutta l’immensità e la complessità della vita umana”.

La guerra, crudele e distruttiva, non può prescindere dal lavoro e dalla famiglia, due   entità di pace che non entrano direttamente in contatto con il conflitto, ma rappresentano  microcosmi   con i quali si certifica l’appartenenza al mondo attraverso una singolare e creativa partecipazione. Infatti Andreev: “Fondeva l’acciaio secondo le sue personalissime regole e misure, aveva una sua percezione del tempo, della temperatura e delle proporzioni della carica fra ghisa e ferro di risulta. E siccome la tabella di marcia e le specifiche tecniche non sempre coincidevano con le sue, per rispetto per l’ordine e per la scienza Andreev le rimpiazzava con quelle richieste dal manuale, ma lo faceva dopo aver prodotto e consegnato ai reparti di forgiatura il suo ottimo acciaio”.

E Andreev aveva anche una sua particolare ideologia per quanto riguarda la famiglia: “Per lui i rapporti fra suocera e nuora dovevano essere come quelli che vigevano all’interno di uno Stato e fra gli Stati. E i rapporti fra suocera e nuora erano la spiegazione esemplare di quanto accadeva fuori: le imperfezioni di casa erano le imperfezioni del mondo. «In più stare stretti è una disgrazia» pensava. «Ad averci spazio andrebbe meglio, ma mancano i soldi». E la mancanza di soldi e spazio era anche il primo motivo delle guerre fra Stati. 

A casa Andreev era severo fino alla cattiveria, irascibile ed esigentissimo. In fabbrica, invece, si riposava dalle imperfezioni del mondo. In fabbrica la gente non cercava il potere sul prossimo, ma sulla ghisa e sull’acciaio. Ed era un potere che generava libertà, non schiavitù”.

Naturalmente esiste anche la ricerca di una spiegazione per la guerra in atto attraverso percorsi che spesso non collimano: “Il nazismo è forte, ma c’è un limite al suo potere. E dobbiamo tenerlo a mente. Il potere del nazismo sulle persone non è illimitato! Nella sostanza, in generale, Hitler non ha modificato la proporzione fra gli ingredienti dell’impasto tedesco, di quella loro pasta lievitata, bensì l’ordine. La feccia in cui vive il popolo, che è inevitabile nel capitalismo, il lerciume, ogni nefandezza che veniva taciuta, celata, tutte queste cose il nazismo le ha portate a galla, le ha fatte affiorare, le ha messe sotto gli occhi di tutti, mentre le cose buone, il buonsenso, la saggezza popolare che sono il pane della vita – si sono depositate sul fondo, sono diventate invisibili, ma continuano a vivere e a esistere. Certamente il nazismo ha deformato e insozzato molti cuori, ma il popolo c’è. E ci sarà sempre”. 

“No, non è così che si spiega quant’è accaduto in Germania! Lei sostiene che un manipolo di delinquenti con Hitler in testa ha fatto irruzione nella vita tedesca. Quante volte, però, nei momenti decisivi della sua storia, la Germania ha visto trionfare le forze reazionarie? Se non era un Friedrich era un Wilhelm Friedrich o un Wilhelm e basta. Dunque il punto non è il manipolo di scellerati con Hitler in testa; il punto sono i tratti salienti del militarismo prussiano, che sa sempre cavare dal cappello delinquenti e Überdelinquenti”.

E non può mancare l’amore, che mette in gioco quell’inestricabile miscuglio di ragione e sentimento, di cuore e di cervello che sancisce la relazione con l’altro attraverso la realizzazione di ciascuno di noi. “Rischiarati dai bagliori lontani, i suoi occhi brillavano; era davvero bellissima in quella luce tremolante, ora lugubre ora dolce. Anche lei doveva aver sentito, non con la mente né col cuore, ma con la pelle, le braccia, il collo, che lui respirava il suo odore, che le guardava la bella treccia che ricadeva sulle ginocchia, le braccia nude fino sopra il gomito, le gambe robuste. Ma non disse niente: sapeva che non c’erano parole per descrivere quello che stava nascendo fra di loro”.

Tuttavia l’amore può esplicitarsi anche con il “tradimento”. Infatti l’amore  fecondo sparge i sui frutti che, a loro volta, produrranno i semi per un’ampia condivisione di questo sentimento. Per fare questo occorre uscire dagli schemi “piccolo borghesi” del tradimento e della scappatella e avventurarsi fuori da questa logica con tutti i rischi che ne conseguono. E Grossman lo fa con Štrum,  che la sera del sabato partì per la dacia: “Sul treno pensò a quanto era accaduto nei giorni appena trascorsi. Era un peccato che Čepyžin  se ne fosse andato. Novikov, il colonnello che era passato da lui la sera prima, gli era piaciuto molto. Era contento di averlo conosciuto. Certo, meglio sarebbe stato  conoscerlo una mezz’oretta dopo, così  avrebbe potuto salutare Nina diversamente… Ma poco importava. Sarebbe ritornata il martedì seguente. E lui avrebbe di nuovo visto quella creatura splendida, giovane, adorabile.

Al pensiero di Nina si aggiungeva, altrettanto ostinato, quello per sua moglie. Se la immaginò sola e preoccupata per Tolja e ripensò ai tanti anni passati insieme”.

In questo coacervo di dubbi e incertezze, l’attrazione di Nina  porta  a costruire un castello di accuse contro la moglie Ljudmila anche se sa che ”Nel profondo della coscienza la logica di quelle accuse era sbagliata e di parte, menzognera e mendace. E vedere che la menzogna, che aveva sempre detestato, non solo si era insinuata nei rapporti con amici e parenti, ma aveva intorpidito le acque di fonte della sua ragione. Tuttavia, scendendo dalla banchina, si scoprì a domandarsi: «Ma perché la menzogna deve essere il male? In che cosa è peggiore della verità?»”.

Gli uomini, le cose, i sentimenti, il tempo che scorre hanno come palcoscenico il paesaggio, e la steppa diventa sia un testimone oculare degli accadimenti, sia l’attore protagonista da ammirare. “Quell’estate i tramonti della steppa erano particolarmente maestosi e sontuosi. Sulla steppa incombeva la polvere di milioni di piedi, ruote e cingolati, la polvere delle bombe che esplodevano, sospesa come un velo negli strati più alti e cristallini dell’aria insieme al respiro freddo dello spazio cosmico”.

La steppa si esprime con i colori, gli odori e i suoni che “non arrivano distinti all’orecchio umano, né vanno ascoltati uno per uno. I suoni della steppa sfiorano l’orecchio e arrivano diritti al cuore, riempiendolo di pace e serenità, ma anche di tristezza e angoscia”.

I suoni della steppa avvolgono e cullano i colori di un territorio che si veste in modo   diverso a seconda del momento della giornata: “È enorme, la steppa. E come il cielo e il mare prendono colore al tramonto, così la terra dura e riarsa della steppa, grigiastra e giallognola durante il giorno, la sera cambia colore. […] La sera la steppa diventa rosa, poi blu, poi di un nero violastro”.

La trilogia della steppa si completa con gli odori che nascono dai colori e si accordano con i suoni: “Il calore del sole scalda le essenze racchiuse nella linfa delle varie erbe, di fiori e cespugli, che si posano come una nube sul fresco della terra, senza impregnarla, ma librandosi su di essa in volute piccole e lente”.

“Su tutto, poi, incombe il cielo della sera, con la terra che ci si riflette o col cielo che si riflette sulla terra, o con la terra e il cielo che si riflettono a vicenda come due enormi specchi, arricchendosi l’una con l’altro grazie al miracolo del duello fra buio e luce”.








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