giovedì 8 maggio 2025

Un percorso letterario “che si apre su paesaggi inaspettati”

recensione di Natascia Ancarani


Ho appena terminato la lettura della raccolta di saggi letterari Le stanze della quiete di Valerio Ragazzini, pubblicata da Editrice Clinamen (2025). Già il titolo ci trasporta in una dimensione fuori luogo, lontano dal movimento incessante tipico del nostro tempo, sospinti da uno scopo all'altro, proprio come accade nelle scuole, dove la campanella scandisce il tempo e impone un passaggio veloce da un argomento all’altro. 

In un mondo simile, dove trovare il tempo per una lettura profonda e silenziosa? Quelle letture indimenticabili che da giovani studenti consumavamo nella calura estiva, quando tutto si abbandonava al sonno e noi, invece, vegliavamo, presi dal desiderio di conoscere, perdendoci nei quattro volumi di Guerra e pace? Ed è proprio questo silenzio, questa distanza dal mondo, che il libro di Ragazzini evoca, restituendo alla letteratura la sua dimensione più autentica.

Ma c’è molto di più in questo libro. Il cammino, attraverso gli autori citati, italiani e stranieri, assomiglia a un sentiero di montagna, tortuoso e poco segnato, che si apre su paesaggi inaspettati. La scelta degli scrittori non sembra casuale. L’autore sceglie figure libere e devianti, in un un mondo sempre più uniforme e pronto a cancellarne l’esempio.

Il momento che stiamo attraversando è fra i più difficili, e nel libro non mancano parole di allarme sui pericoli che incombono.

«Non è un mistero che il nostro tempo sia un tempo di decadenza; elencare le nefandezze a cui siamo abituati, declamare lo squallore in cui siamo scesi, non servirebbe a nulla. (…) Di schiavitù è meglio tacere, vista la piega che ha preso la nostra vita, assoggettata al lavoro e ai ritmi del consumismo.»

Il nostro tempo è lo stesso di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, dove la scomparsa della letteratura non è avvenuta, in un primo momento, per decreto o legge, ma per abbandono graduale, mentre le persone si lasciavano assorbire dalla tecnologia - televisiva e non -  e “dall’unico motivo che ormai ossessiona l'uomo moderno: la ricerca ossessiva della felicità.”

Sono “tempi da catacombe, dove la letteratura se ne sta ben nascosta fra le spoglie dei propri cari estinti” eppure, ricorda Ragazzini, proprio “nelle catacombe si preparava un futuro.”

Dagli autori citati, spesso poco frequentati e lontani dalle luci del successo, ci giungono parole di illuminazione, forse proprio perché sono cari estinti e  il tempo che ci separa da loro ci aiuta a riflettere.

Il loro esempio ci indica una via da percorrere e ci prepara a un esodo che sembra necessario per salvare noi stessi e la letteratura. Questi autori sanno sempre individuare esperienze capaci di aprire crepe e far emergere differenze irriducibili, anche nelle più costrittive e uniformanti condizioni.

Ecco allora Andrej Platonov, uno dei tanti “ingegneri di anime” spediti da Stalin, “a visitare le grandi opere d’ingegneria al fine di cantarne la magnificenza”. Il protagonista parte con l’idea di portare la felicità socialista in mezzo ai popoli del Turkmenistan, ma descrive poi, nel racconto Džan, un popolo che, sottraendosi alla felicità imposta dal comunismo sovietico “si trascina nel deserto in cerca dell’oblio” e sceglie “un destino che mal si sposa con la determinazione del Potere, abituato a scavare canali per deviare il corso dei fiumi.”

Ecco allora Solženicyn, che, accolto nel cuore dell’Occidente, ne denunci la crisi profonda: la perdita della vita interiore nella corsa per la costruzione di un paradiso materiale: “No, non potrei raccomandare la vostra società come ideale per la trasformazione della nostra (…) il sistema occidentale, nel suo attuale stato di esaurimento spirituale, non presenta per noi alcuna attrattiva.”

Ecco Tonino Guerra “uno scrittore  sopraffatto dalla sua stessa fantasia.”

Ecco Milan Nápravník che vuole allontanarsi dai “luoghi che hanno perso la capacità di accogliere miracoli” per “dirigersi verso luoghi desolati e sconosciuti, dove, in nessuna circostanza, è possibile costruire vasti, resistenti e praticabili percorsi di monotona avidità.”

Ecco l’esodo disperato di Tommaso Landolfi, che nel racconto Cancroregina abbandona un mondo deprimente su una navicella impazzita, che dovrebbe raggiungere la luna, ma si perde, in modo pessimistico, “in un eterno vagabondare nello spazio profondo.”

Solo per citare alcune delle straordinarie suggestioni di lettura che il libro offre, in un linguaggio sobrio, ma sempre preciso e profondo, talvolta poetico, come deve essere un esempio di buona letteratura.

Significativa infine l’attenzione riservata alla letteratura russa, un interesse tanto più encomiabile di fronte agli episodi di russofobia irragionevole, come quello che ha colpito l’insegnamento di Dostojevskij all’Università Bicocca. Si dimentica, infatti, che proprio fra i letterati russi troviamo esempi luminosi di resistenza al potere ufficiale, come Bulgakov e Pasternak, solo per citare i più famosi.  Autori che hanno coltivato nel silenzio delle proprie stanze, con devozione, costanza e coraggio, la propria scrittura.

Di Valerio Ragazzini ricordo in particolare:

Quella linea lunga e blu – Gli scrittori romagnoli e il mare (White Line, 2018)

L’uomo era una bella idea (Fara, 2019)

La veglia dei corpi (Tracce e Ombre, 2023)

Per ulteriori informazioni: valerioragazzini.com

















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