Alessandro Zaccuri, nel nome, NNE 2019
recensione di AR
“Maria è il primo nome che Gesù pronuncia dopo la risurrezione, ma non è alla madre che si rivolge.” (p. 29)
“Non si crede veramente, se almeno una volta nella vita non si ha il coraggio di chiamare in giudizio l’Altissimo per il male di cui gli altri sono vittime.” (p. 59)
“… in ogni preghiera è presente la dismisura dell’attesa, che è sempre una pretesa di assoluto.” (p. 72)
“… in ogni corpo è già presente la morte ed è per questo, proprio per questo, che ogni corpo merita salvezza.” (p. 137)
“Chi ama non parla mai di qualcuno, ma qualcuno…” (p. 139)
“Ma è il corpo che permette al nome di avere una storia.” (p. 149)
È un testo bellissimo, di grande intensità: ci permette di conoscere aspetti intimi dell’autore sia dal punto di vista di eventi pivotali della sua vita, sia per quanto riguarda i suoi interessi, le sue amicizie, i suoi affetti, la sua formazione culturale e spirituale; sempre con una grande discrezione british, con parole apparentemente leggere e cenni cursori che sanno però farci vibrare profondamente. Il libro è scritto nel nome di Maria, e ci parla della madre di Gesù, delle altre donne con questo nome che lo hanno accompagnato e/o da lui sono state guarite, delle madre dell’autore, di Marie raffigurate da pittori come Lippo di Benivieni a figure letterarie (da Conrad a Melville, da Mandel’štam a Dante, da Iacopo da Varazze a Shakespeare…), figure magari anonime ma alle quali l’autore si sente di dare il nome di Maria.
Alla fine del libro, sotto il titolo “La finestra di Ronchamp” (in cui parla della sua visita alla splendida Cappella disegnata da Le Corbusier, traforata di luce), Alessandro Zaccuri scrive in seconda persona (forse per non essere emotivamente sopraffatto): “Non è Maria che hai provato a raccontare, ma il mondo come riesci a vederlo, a volte, attraverso di lei. È stata un’avventura dello sguardo e della memoria. Non hai inventato, non hai immaginato: hai reso testimonianza. Ti sei messo, anche in questo caso, alla scuola di Maria. Delle Marie, anzi, perché non è soltanto la madre ad averti guidato a Ronchamp. Lei più di ogni altra, non si discute. Ma anche le altre Marie ti hanno portato qui, altre marie: la Maddalena, Maria di Clèopa, Salome, Maria di Betania e perfino sua sorella, l’affacendata Marta” (p. 160).
Immergersi in queste pagine ci fa bene, ci aiuta a riscoprire memorie lontane, magari rimosse, affetti per persone che ci hanno lasciato: le ricordiamo sempre con il loro nome – esso ce ne rende ogni volta presente il volto, il sono della voce…
Un libro che è anche un percorso par assaporare meglio la Bibbia, e la letteratura, per non distrarre gli occhi dal prossimo, per accogliere le proprie ombre, accettare gli scacchi e gli ostacoli che ogni cammino deve affrontare, ma con fiducia in una infinita Misericordia che ci mette in tensione, in moto, ci fa oscillare (“la fede si distingue dalla credulità: per la disponibilità al dubbio, per la necessità di trovare parole e immagini sempre nuove.”, p. 152) ma non ci abbandona, anzi ci aiuta a mettere in gioco (nel senso più alto) i nostri talenti.
recensione di AR
“Maria è il primo nome che Gesù pronuncia dopo la risurrezione, ma non è alla madre che si rivolge.” (p. 29)
“Non si crede veramente, se almeno una volta nella vita non si ha il coraggio di chiamare in giudizio l’Altissimo per il male di cui gli altri sono vittime.” (p. 59)
“… in ogni preghiera è presente la dismisura dell’attesa, che è sempre una pretesa di assoluto.” (p. 72)
“… in ogni corpo è già presente la morte ed è per questo, proprio per questo, che ogni corpo merita salvezza.” (p. 137)
“Chi ama non parla mai di qualcuno, ma qualcuno…” (p. 139)
“Ma è il corpo che permette al nome di avere una storia.” (p. 149)
È un testo bellissimo, di grande intensità: ci permette di conoscere aspetti intimi dell’autore sia dal punto di vista di eventi pivotali della sua vita, sia per quanto riguarda i suoi interessi, le sue amicizie, i suoi affetti, la sua formazione culturale e spirituale; sempre con una grande discrezione british, con parole apparentemente leggere e cenni cursori che sanno però farci vibrare profondamente. Il libro è scritto nel nome di Maria, e ci parla della madre di Gesù, delle altre donne con questo nome che lo hanno accompagnato e/o da lui sono state guarite, delle madre dell’autore, di Marie raffigurate da pittori come Lippo di Benivieni a figure letterarie (da Conrad a Melville, da Mandel’štam a Dante, da Iacopo da Varazze a Shakespeare…), figure magari anonime ma alle quali l’autore si sente di dare il nome di Maria.
Alla fine del libro, sotto il titolo “La finestra di Ronchamp” (in cui parla della sua visita alla splendida Cappella disegnata da Le Corbusier, traforata di luce), Alessandro Zaccuri scrive in seconda persona (forse per non essere emotivamente sopraffatto): “Non è Maria che hai provato a raccontare, ma il mondo come riesci a vederlo, a volte, attraverso di lei. È stata un’avventura dello sguardo e della memoria. Non hai inventato, non hai immaginato: hai reso testimonianza. Ti sei messo, anche in questo caso, alla scuola di Maria. Delle Marie, anzi, perché non è soltanto la madre ad averti guidato a Ronchamp. Lei più di ogni altra, non si discute. Ma anche le altre Marie ti hanno portato qui, altre marie: la Maddalena, Maria di Clèopa, Salome, Maria di Betania e perfino sua sorella, l’affacendata Marta” (p. 160).
Immergersi in queste pagine ci fa bene, ci aiuta a riscoprire memorie lontane, magari rimosse, affetti per persone che ci hanno lasciato: le ricordiamo sempre con il loro nome – esso ce ne rende ogni volta presente il volto, il sono della voce…
Un libro che è anche un percorso par assaporare meglio la Bibbia, e la letteratura, per non distrarre gli occhi dal prossimo, per accogliere le proprie ombre, accettare gli scacchi e gli ostacoli che ogni cammino deve affrontare, ma con fiducia in una infinita Misericordia che ci mette in tensione, in moto, ci fa oscillare (“la fede si distingue dalla credulità: per la disponibilità al dubbio, per la necessità di trovare parole e immagini sempre nuove.”, p. 152) ma non ci abbandona, anzi ci aiuta a mettere in gioco (nel senso più alto) i nostri talenti.
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