"Paradigma di esse" di Evaristo Seghetta Andreoli. Recensione di Cinzia Demi.
Leggendo Paradigma di esse ciò che resta è il desiderio di guardare oltre, lo stupore per ciò che in quell’oltre lo sguardo incontra, lo spaesamento per ciò che non può essere immaginato o per ciò che è passato e non torna, il sentirsi parte di un mistero che dai versi del poeta traspare e tocca l’esperienza di ognuno, facendosi fuoco e poesia.
Conosco Evaristo Seghetta
Andreoli da qualche tempo. Discreto signore della poesia italiana, ha
cominciato ad affacciarsi agli albori della contemporaneità dal 2013,
pubblicando il suo primo libro nella maturità. Ho letto i suoi testi, l’ho
incontrato a Bologna per la presentazione di un suo lavoro, e subito mi ha
ispirato un senso di quiete e di pacata ma diligente armonia nell’atteggiamento
che, mi pare, si conceda di tenere nei confronti del vivere e della poesia. La
collana della casa editrice Passigli, che accoglie due dei suoi libri, venne
fondata da Mario Luzi e ha al suo attivo alcuni dei nomi più rilevanti tra i
nostri poeti. Evaristo si può dire che abbia così conquistato, in breve tempo,
un posto di tutto rispetto all’interno di quest’arte bruciando molte tappe,
dimostrando che, a volte, si può – dopo aver meditato e lavorato sulla propria
interiorità – uscire allo scoperto più avanti, darle comunque voce
significativamente e ottenere oltremodo ascolto.
Paradigma di esse
Costruire
un libro di poesie sulla base del paradigma di un verbo sembra una cosa del
tutto inusuale. Ma non lo è poi così tanto se il verbo in questione è il più
utilizzato – e pur tuttavia, spesso, bistrattato, condannato, abusato – dai
poeti, ovvero il verbo essere che
trova la sua consistenza nel suo stesso mistero il quale, a detta di Heidegger,
si raccoglie proprio nelle menti e nelle viscere dei poeti che arrischiando,
diventano “i pastori dell’essere”: «Dal silenzio senza parole a lungo
custodito, e dall’accurata chiarificazione dell’ambito in esso diradato, viene
il dire del pensatore. Dalla stessa fonte viene il nominare del poeta.» (Poscritto a Che cos’è metafisica).
Così D’annunzio, tanto per citare un esempio, divenuto sia il Vate che il
Veggente nella proprio poesia, dirà che questa chiama a “una divina festa”,
annuncerà quel che di straordinario c’è nell’esistenza “Io vi dirò quel che da
voi s’attende, le vostre sorti auguste, la deità che in voi splende”.
Così,
Evaristo Seghetta Andreoli, non sfuggendo alla lunga schiera di autori che
sull’uso di tale verbo hanno fondato la loro poetica – anche se non sempre con
accezioni positive – sfonda la quarta parete, e mette in scena una rappresentazione
del se dove il lettore può provare – dimentico di trovarsi in un immaginario
letterario – a immedesimarsi nell’antro più inconscio del poeta, e forse anche
del proprio. Fatto sta che, tutti i
capitoli del libro che stiamo esaminando, Paradigma
di esse, sono intitolati a coniugazioni del verbo essere – vale a dire ad
altrettante dimensioni dell’essere – quali Sum ovvero su ciò che è, e che è
sostanza del vivere; Es ovvero
al confronto con l’altro, e con la mancanza di risposte sull’essere e il non
essere delle cose; Fui ovvero su ciò che è stato e sulla
dimensione a cui si appartiene, e dalla quale è impossibile uscire; Esse
ovvero su ciò che fonda il rapporto tra futuro e presente, e sull’idea di
poesia quale mezzo per aiutare a uscire dal nulla, dal possibile vuoto
dell’esistenza. Ed è innegabilmente ambizioso il tentativo dell’autore, la
visione che appronta tra le pagine del suo lavoro, il meticciato tra la volontà
di non ridursi a semplice cantore e l’introduzione di una filosofia della
poesia dove tutto sembra avere un suo peso specifico. Ciò che resta dopo aver
letto questo libro è, in massima parte, il desiderio di guardare oltre, lo
stupore per ciò che in quell’oltre lo sguardo incontra, lo spaesamento per ciò
che non può essere immaginato o per ciò che è passato e non torna, il sentirsi
parte di un mistero che dai versi del poeta traspare e tocca l’esperienza di ognuno,
facendosi fuoco e poesia stessa. Fa impressione il numero di volte in cui ci
troviamo di fronte alla parola colle - o collina - e alle
dimensioni che questa rappresenta, leopardianamente dettando: “Conficcata sul
seno della collina,/questa bandiera di luna a indicare/la via rettilinea delle
tenebre” ;“Il colle non basta più: occorre lasciarlo, di mattina”; “Anche
quando tornerà il mare/a coprirti e il vento/consumerà le tue pietre/… negli
atomi dissonanti dei miei versi/resterà ancora traccia di te,/colle delle
illusioni”; “Il campo di calcio pieno di sassi/tagliava a metà la collina:/uno
spazio asimmetrico/feriva il cono sacro agli dei”; “C’era vento, quel
giorno,/molto vento ad Est./Tutti noi, incamminati/verso il colle
dell’augure,/sbandavamo,/in un pellegrinaggio/disarticolato, scomposto,”;
“segnali opachi o assenti:/il cielo fugge distratto/insieme alle
nuvole./Nemmeno un corvo, un rondone…/Là, sul colle dell’augure,/è calma
piatta.//Il presagio è nel Nulla”; “Lasceremo questo colle,/percorrendo il
sentiero del Nulla,/verso un luogo che non sarà/nemmeno un luogo”; “Ed ora,
spero di sognare la collina/assediata dalla scolaresca degli
scriccioli,/accolti solo dall’ultimo augure:/imparano, così, a volare…”. Il
colle (o la collina) che è innegabilmente il luogo della poesia per Evaristo
(quello di Montegabbione, dov’è nato e vive), fa parte del suo vivere
quotidiano, diventa lo spazio e il tempo stesso in cui vivere, sentire,
rivivere, stupirsi, progettare e immaginare ciò che possibilmente c’è oltre, assurge
a totem delle preghiere, ad archetipo universale dei sogni.
Ma,
Leopardi, compare anche nella dimensione della solitudine di un’infanzia e di
un’adolescenza che si fanno ricordo e rimpianto, che danno contezza di un
pessimismo metafisico, dove gli elementi si fanno correlativi oggettivi dei
sentimenti come in Campane: “Sono rimasto qui, stasera…/Avrei potuto
presenziare a non so che cosa,/invece sono rimasto ad ascoltare/le campane sul
cielo della mia infanzia,/sul midollo della mia estate, e quell’azzurro sopra
il campanile…”; come in Pomeriggio d’estate: “Oggi, seduto ad aspettare
la canicola,/che che ci illude, che non arriva,/tra mattoni e sassi,/ho cantato
le mie canzoni/ai vicoli,/ai gerani assolati./Gli usci murati dal Tempo, le
finestra sbarrate/da grate contorte di ruggine./Pomeriggio di nuove attese e di
vecchie paure…”. Elementi dunque che pescati dal reale danno voce a una poesia
che, pur contenendo una rilevante vena malinconica di rimpianto, pur essendo
impregnati di nostalgia e memoria, sono capaci di offrire anche squarci
proiettati in un futuro ancora possibile di presagi: “E’ inconsapevolezza
profonda/ciò che emerge: onda fluviale/raccolta nella cavità del cuore./Sgorga
da lì/la voce del presagio/… da lì, la melodiosa voce, affidata/a labbra
d’infante, che induce ad agire/o arrestare l’inesorabile divenire”.
Una
poesia infine, quella dell’autore, costruita ad arte, con sapienza di stile
dove i fonemi ricercati, la rima dosata, la voluta profusione d’immagini e
l’imbastimento metaforico approdano a un meccanismo di resa – anche musicale e
sensoria, oltre che significativa – che fanno di tutto l’impianto una voce a
tratti dissonante, ma penetrante, nella realtà poetica contemporanea.
Alcuni testi da: Paradigma di esse
Pomeriggio d’estate
Oggi, seduto ad aspettare la canicola,
quella che ci illude, che non arriva,
tra mattoni e sassi, ho cantato le mie canzoni
ai vicoli, ai gerani assolati.
Gli usci murati dal Tempo, le finestre sbarrate
da grate contorte di ruggine.
Pomeriggio di nuove attese e di vecchie paure…
Cambia ancora la pelle il serpente
sul muro dell’orto. Tra i rovi,
le more annerite ricordano che già
un’altra estate sta passando.
****
Presso la fontana
Il colle non basta più: occorre lasciarlo,
di mattina, quando schiamazza,
dietro l’ultima curva, il clacson della corriera.
Non c’è tempo, adesso, per pensare
alla sera, al ritorno: Ora, tutto intorno,
ogni cosa si muove veloce e cambia, cancella…
Cerco nella piazza il coraggio
per gestire le mia difesa, lì,
presso la fontana, dove scroscia,
fluida e sincera, la Verità.
****
Colle delle illusioni
Anche quando tornerà il mare
a coprirti e il vento
consumerà le tue pietre;
quando, nella fornace estiva,
il sole avrà divorato i boschi,
polvere le ossa,
i pensieri evaporati
alle notti di luna piena,
negli atomi dissonanti dei miei versi
resterà ancora traccia di te,
colle delle illusioni.
****
Rossetto
Non so perché
non ti lasciai portar via l’oro
delle tazzine, quelle tazzine inglesi…
Forse perché avresti sottratto a me
lo spessore della porcellana
e quello delle tue labbra.
Eppure, da tempo,
non si usavano più,
dimenticate in soffitta…
La polvere aveva coperto
il rosso dell’amore
e la speranza.
****
Esse
Fammi sognare, ti prego,
fammi sentire che essere
non è poi così difficile,
che sta qui, nel cuore, questo tamburo
che accompagna la sacerdotessa di Cibele,
e la nostra non è ordinaria processione
di ebbre baccanti assetate del miele dei sensi.
Dammi memoria, per sentire ancora
il profumo della prima sigaretta,
in quella cantina di gatti e di fumo,
tra i ritagli di una terzina
di questa commedia incipiente
e il riso d’amore consumato
al primo tepore dell’esistenza.
Bologna, 9 dicembre 2018
Cinzia Demi
Evaristo Seghetta Andreoli
(1953, Montegabbione
- TR) . Di formazione classica-umanistica ha lavorato per quarant’anni come funzionario
di un istituto di credito, vivendo in molte città italiane, e coltivato i suoi studi letterari. Ha pubblicato: I
semi del poeta (Polistampa
Editore, 2013); Inquietudine
da imperfezione (Passigli
Editori, 2015); Morfologia del dolore (Interlinea Editore, 2015); Paradigma
di esse (Passigli Editori, 2017). Fa parte dell’Associazione
Culturale Pianeta Poesia di Firenze e dell’Associazione Tagete di Arezzo. Sue
poesie e recensioni sulle sue opere sono apparse su riviste letterarie tra le
quali: La lettura del Corriere della Sera, La Gazzetta di Parma, La Nazione, Il Resto del
Carlino, Erba d’Arno, Retroguardia, Feeria, Il Ventaglio, Atelier. Con i suoi libri ha ottenuto
riconoscimenti in alcuni importanti premi letterari italiani. Hanno scritto di
lui, tra gli altri: Giuseppe Panella, Franco Manescalchi, Carlo Fini, Carmelo
Mezzasalma, Camillo Bacchini, Michele Brancale, Valeria Serofilli, Franco
Manzoni, Giuseppe Manitta, Eleonora Rimolo, Luigi Oldani.
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