LA BOCCACCIA LARGA. In scena una donna travestita da rana circondata da ninfe che le danzano attorno con grazia e leggiadria, mentre lei dice "Sono la rana dalla boccaccia larga, che impera negli stagni putridi fra melodie di canti enigmatici di passione amorosa, fra i nastrini ed i petali di rosa, fra il Corbaccio di corvo fra le sponde del letto, dov'io ho la speme di poter avvertire gli effluvi di un amante ai miei capezzoli avvinto di propensivo cospetto. Io sparlo di quà e di là di amanti che vengono e di altri a metà, io riesco a vedere anche fra i mutandoni chi è prestante e chi invece ha solo spossanti elucubrazioni. Ah mia amata Mensola in cui con il pattex mille chiodi son rimasto attaccato ed attratto, cosa volevi che posassi come libro per non rimanere mai distratto??" Entra in scena un pastore con un bastone in mano che dice "Io Ameto te lo taccio in umanità delle mie virtù cardinali e teologali, te lo arrendo inficiato di eruditi riferimenti quanto mi costò l'averti amato nel rimanere qui a tremar come un giacintdi o impaurito che tenta di ingentilir l'artificio di un canzoniere, per imbellir le più alte sfere" Le ninfe nel frattempo si mettono a cantare "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e nella profondità del mare e pace in terra agli uomini che la volontà sanno bene amministrare, fra gli orrori di guerre, di pandemia e di morte, fra i dolori e i travagli di una stressata coorte. Gloria a Dio e miserere, fra le lacrime di pianto di buie atmosfere" Il pastore ripete "Gloria a Dio, nostro Signore, padre nostro del pane quotidiano di mani callose; gloria a Dio nostra Salvezza, di pane ottenuto dalla provvidenziale destrezza" La rana ripete anche lei lo stesso ritornello come se fosse l'unico che fa superare ogni pressante ed opprimente fardello "Gloria a Dio nostro onnipotente e santo Signore, gloria a Lui nel suo creato di fidal valore, ove fra danze, orge, banchetti e promiscuità ci si avvinghia insieme mescolati di considerazione di special verità: far rinascere la vita in evocante resurrezione, far rinascere la vita nel verso della nobilitante protezione. Gloria a Dio nel devoto impegno come crisma unto di un monito contegno. Gloria, gloria a Dio che ascolti lo stornello della prece a divenir come libellula che libera si intona al suo intimo profondo ardor bello" Entra in scena in quel mentre un professore con una bacchetta in mano ed un cappello da giurista che dice "Gloria giuridica dei fati, di conclusione suggellata di silloge che trasfonde la virtù in ballata dove le movenze divengon giovanile di digressione al concedersi beato di attività idilliaca e bene di brigata e dove il verso teso fa la sua giusta intrusione fra le onde di un mare che si infrangono negli scogli della paranoica condizione, a scegliere l'equilibrato pennello di magistral colore che dipinge tutto in un affresco che si rifrange sui fiori di pesco e poi si traduce in commistioni perentorie di condita abilità di gloria" Le ninfe intanto si mettono al centro della scena sventolando fazzoletti bianchi e recitando "Oh siamo noi deluse e vinte dalla seduzione, siamo noi vittime della brutalità di una vile condizione: donne sommesse e senza più un nome, donne sepolte e vinte dentro questo Decamerone, ma noi siamo messaggio d'amor perduto: AMA, amico AMA, compagno, AMA marito AMA bambino nel grembo; AMA anche se il destino è tremendo; AMA come faccio io sul palissandro ed ama come Alessandro Magno senza mai darti per vinta, senza mai darti per perduta, senza mai rinunciare alla tua resurrezione, AMA per la lode di un professore che non va mai in pensione e che del suo Decameron si fa la giusta ragione: una bella cornice per la sua biblioteca, un bel affresco per la pinacoteca" Tutti insieme recitano per il gran finale "Gloria a Dio nell'alto dei cieli ricondotti da una donna che sa sventolare la patriottica bandiera, gloria a Dio nostro padre del pane d'amore per sempre risorto in candido cuore, per sempre ritrovato nella bocca stretta di un taciuto amore che fra le piaghe in cui è entrato un incredulo dito sa veder sé stesso come un uomo amato che dalla viltà non vuol più essere ferito. Gloria a Dio che fa risorgere l'uomo attento di quella rana divenuta principessa di un manifestoso portento. Gloria, gloria all'amor che sa essere di virtute contento." FINE.
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