Gentili lettori, segnalo quanto segue
*Giuseppe Favilla, 23 maggio 1992 - 23 maggio 2022
Trenta anni fa qualcuno ha pensato, illudendosi, di aver abbattuto per sempre l’antimafia; qualcuno ha pensato di aver messo la museruola a chi, per senso di giustizia, ha saputo dire di no alla crudeltà, al sopruso, all’arroganza… qualcuno ha pensato che da quel momento le future generazioni di giudici, di uomini e di donne, ci avrebbero pensato due volte a parlare, a denunciare le angherie di pochi su chi vive nel giusto e nel senso di giustizia; qualcuno ha pensato di aver seminato per sempre il seme della discordia e del senso di ingiustizia… ma si sbagliava… si sbagliava ancora una volta, perché gli uomini passano, le idee restano!
Si era sbagliato già 16 anni prima cercando di tappare la bocca – facendolo saltare in aria – a chi denunciò che “la mafia è una montagna di merda”; si era sbagliato 10 anni prima con chi, nell’esercizio delle sue funzioni e con fedeltà ai principi della giustizia, garantendo la presenza dello Stato sul territorio, ebbe il coraggio di affermare che “l’arroganza della mafia deve cessare”…
Si sbaglierà ancora una volta qualche mese dopo, quel 19 luglio 1992, cercando di dare il colpo di grazia alla giustizia, ma invano... pur con fatica sta diventando sempre più una realtà: la lotta alla mafia è – deve essere – un movimento culturale e morale che coinvolge le nuove generazioni.
La mafia si nasconde ovunque; si trasforma, si traveste – anche di giustizia; si insidia anche nei meccanismi di chi la giustizia vuole praticarla; la mafia è la paura di dire e di scrivere la verità; la mafia è il timore di rompere gli equilibri per denunciare l’ingiustizia; è mafia quando per il quieto vivere rinneghiamo noi stessi, ci accontentiamo di quello che è lo status quo; è mafia quando, per difendere la tua posizione rinneghi e testimoni il falso; è mafia quando qualcuno ti dice “mantieni il profilo basso” e fai finta che tutto vada bene, quando bene non va; è mafia quando stai in silenzio di fronte a un sistema organizzativo malato che ha perso il suo ideale sano e giusto; è mafia l’indifferenza… ha saputo dire di no anche una ragazza di una piccola cittadina, che nella sua fragilità è stata forte nel mettersi contro un’intera “non comunità” e una “non famiglia” .
Grazie Giovanni Falcone, grazie Peppino Impastato, grazie Carlo Alberto della Chiesa, grazie Pippo Fava, grazie Paolo Borsellino, grazie Rita Atria... aiutateci ancora a uscire dall’indifferenza perché noi non vogliamo essere mafiosi!
Giuseppe Favilla, Segretario Nazionale Dipartimentale - UIL Scuola IRC, 23 maggio 2022, al link https://www.facebook.com/108577087621417/posts/493093265836462/
*Stefano Jossa, Luciano Curreri, In balìa di Dante e Pinocchio (cofanetto), illustrazioni: Fabio Magnasciutti, Mauvais Livres, (Roma), 2022
Dante e Pinocchio sono le due grandi icone letterarie italiane; ma si sono mai incontrati? All’alba del ventennio fascista Bettino D’Aloja, autore di albi illustrati, immaginò di sì, facendo viaggiare Pinocchio nei tre regni dell’aldilà dantesco (Inferno, Purgatorio e Paradiso). Questo viaggio ha ispirato Stefano Jossa a ricostruire i vari incontri, simbolici e politici, di Dante e Pinocchio e Luciano Curreri a ripensare Dante, nella letteratura e nel cinema, alla luce di Pinocchio. Qui dentro trovate gli albi di D’Aloja, in cui Dante è più materialista e dispettoso di Pinocchio, che ne sfronda la pedanteria e il moralismo, accompagnati dal libretto di prefazione e postfazione di Jossa e Curreri: due (anzi quattro) in uno, per scompigliare le carte e giocare anche voi con Dante e Pinocchio.
*Il seme del piangere, volume antologico con introduzione e note di di Vincenzo Guarracino, Fermenti Editrice 2021.
Vincenzo Guarracino, “antologista folle” – così si descrisse egli stesso tempo addietro, durante una nostra conversazione – ha raccolto in questo volume, e mirabilmente commentato, le opere di poeti “del secolo scorso, esemplari di riconosciuta autorevolezza per il loro modo di porsi di fronte a una realtà inamabile e dolorosa e in certi casi addirittura drammatica, accostando ad essi (…) modelli di un panorama poetico magmatico e in fieri, quello nostro oggi inquieto, segnato com’è da un dolore non soltanto metafisico e astratto” (dall’introduzione dello stesso Guarracino).
Giorgio Caproni
“È Quali lacrime calde nelle stanze? Il quinto degli undici sonetti che costituiscono i Lamenti, appartenente a un libro importante, Passaggio d’Enea, nella sezione “Gli anni tedeschi. Lo scenario è la guerra (il sonetto in questione risale al ’47) e il tema è ovviamente lo sdegno e l’orrore di fronte alle ‘stragi segrete’, di fronte alla presenza dei morti, alle salme dei partigiani trucidati (…) di fronte ai quali il ‘lamento’, le ‘lacrime’, sono la naturale espressione di un sentimento umano di fronte alla guerra, che non riesce a trovare nessuna consolazione, nessuna ‘speranza’, che le ‘stanze squassate’ della civile convivenza possano mai ricomporsi in armonia. In questa antinomia, le ‘lacrime’ di Carponi, senza alcuna consolazione, stano qui a testimoniare, a dispetto di un varco di pietà intravisto nell’ossimorico ‘armonioso sfacelo’, l’impossibilità che la ‘piaga’ della memoria si rimargini: l’impossibilità che la poesia stessa possa avere un ruolo restaurativo e consolatorio” (Vincenzo Guarracino, pag. 57)
Quali lacrime calde nelle stanze?“Quali lacrime calde nelle stanze? / Sui pavimenti di pietra una piaga / solenne è la memoria. E quale vaga / tromba – quale dolcezza erra di tante / stragi / segrete, e nel petto propaga / l’armonioso sfacelo?… No, speranze / più certe son troncate sulle stanche / bocche dei morti. E non cada, non cada / con la polvere e gli aghi nelle bocche / dei morti una parola. La ferita / inferta, non risalderà la notte / sulle stanze squassate: è dura vita /che non vive nell’urlo in cui altra notte/ geme - in cui vive intatta un’altra vita//.” (Giorgio Caproni)
Pierpaolo Pasolini
“Il poemetto Il pianto della scavatrice (1956), mescolando privato e politico, racconta una sera estiva a Roma, in cui il poeta, ripercorrendo le vie della città, medita sul proprio passato, narrando della notte trascorsa fino all’alba e al risvegliarsi della vita, rappresentato dal rumore di un vecchio cantiere e, in particolare, di una vecchia ‘scavatrice’.
Al rumore della scavatrice, che come ‘un urlo improvviso, umano’ perfora l’aria, è affidato il compito di esprimere il punto di vista del poeta, che è insieme ‘angoscia’ e ‘speranza’, sul senso della trasformazione provocata dalla civiltà. Così il fragore della scavatrice, il suo ‘pianto’, è il pianto di tutto il mondo che dinanzi al mutamento della storia ‘piange ciò che ha / fine e ricomincia’, ciò che ‘muta, anche / per farsi migliore’, nella consapevolezza che ‘la luce / del futuro non cessa un solo istante / di ferirci’.
È un testo, questo, molto significativo di Pasolini, coevo al più famoso Le ceneri di Gramsci, cui somiglia anche nella struttura (terzine dantesche), e in cui il poeta riesce a filtrare i conflitti storici trasferendoli nella propria soggettività, rileggendoli perciò come esperienze profonde, esistenziali” (Vincenzo Guarracino, pag. 60)
Il pianto della scavatrice
“(...) // Nella vampa abbandonata / del sole mattutino – che riarde, / ormai, radendo i cantieri, sugli infissi // riscaldati – disperate / vibrazioni raschiano il silenzio / che perdutamente sa di vecchio latte, // di piazzette vuote, d’innocenza. / Già almeno dalle sette, quel vibrare / cresce col sole. Povera presenza // d’una dozzina d’anziani operai, / con gli stracci e le canottiere arsi / dal sudore, le cui voci rare, // le cui lotte contro gli sparsi / blocchi di fango, le colate di terra, /sembrano in quel tremito disfarsi. // Ma tra gli scoppi testardi della / benna, che cieca sembra, cieca / sgretola, cieca afferra, // quasi non avesse meta, /un urlo improvviso, umano, / nasce, e a tratti si ripete, // così pazzo di dolore, che, umano, / subito non sembra più, e ridiventa / morto stridore. Poi, piano, // rinasce, nella luce violenta, / tra i palazzi accecati, nuovo, uguale, / urlo che solo chi è morente, // nell’ultimo istante, può gettare / in questo sole che crudele ancora splende / già addolcito da un po’ d’aria di mare… // A gridare è, straziata / da mesi e anni di mattutini / sudori – accompagnata // dal muto stuolo dei suoi scalpellini, / la vecchia scavatrice: ma, insieme, il fresco / sterro sconvolto, o, nel breve confine // dell’orizzonte novecentesco, / tutto il quartiere… È la città, / sprofondata in un chiarore di festa, // – è il mondo. Piange ciò che ha / fine e ricomincia. Ciò che era / area erbosa, aperto spiazzo, e si fa // cortile, bianco come cera, / chiuso in un decoro ch’è rancore; / ciò che era quasi una vecchia fiera // di freschi intonachi sghembi al sole, / e si fa nuovo isolato, brulicante / in un ordine ch’è spento dolore. // Piange ciò che muta, anche / per farsi migliore. La luce / del futuro non cessa un solo istante // di ferirci: è qui, che brucia / in ogni nostro atto quotidiano, / angoscia anche nella fiducia // che ci dà vita, nell’impeto gobettiano / verso questi operai, che muti innalzano, / nel rione dell’altro fronte umano, // il loro rosso straccio di speranza.//” (Pierpaolo Pasolini)
Pierpaolo Pasolini
“Il poemetto Il pianto della scavatrice (1956), mescolando privato e politico, racconta una sera estiva a Roma, in cui il poeta, ripercorrendo le vie della città, medita sul proprio passato, narrando della notte trascorsa fino all’alba e al risvegliarsi della vita, rappresentato dal rumore di un vecchio cantiere e, in particolare, di una vecchia ‘scavatrice’.
Al rumore della scavatrice, che come ‘un urlo improvviso, umano’ perfora l’aria, è affidato il compito di esprimere il punto di vista del poeta, che è insieme ‘angoscia’ e ‘speranza’, sul senso della trasformazione provocata dalla civiltà. Così il fragore della scavatrice, il suo ‘pianto’, è il pianto di tutto il mondo che dinanzi al mutamento della storia ‘piange ciò che ha / fine e ricomincia’, ciò che ‘muta, anche / per farsi migliore’, nella consapevolezza che ‘la luce / del futuro non cessa un solo istante / di ferirci’.
È un testo, questo, molto significativo di Pasolini, coevo al più famoso Le ceneri di Gramsci, cui somiglia anche nella struttura (terzine dantesche), e in cui il poeta riesce a filtrare i conflitti storici trasferendoli nella propria soggettività, rileggendoli perciò come esperienze profonde, esistenziali” (Vincenzo Guarracino, pag. 60)
Il pianto della scavatrice
“(...) // Nella vampa abbandonata / del sole mattutino – che riarde, / ormai, radendo i cantieri, sugli infissi // riscaldati – disperate / vibrazioni raschiano il silenzio / che perdutamente sa di vecchio latte, // di piazzette vuote, d’innocenza. / Già almeno dalle sette, quel vibrare / cresce col sole. Povera presenza // d’una dozzina d’anziani operai, / con gli stracci e le canottiere arsi / dal sudore, le cui voci rare, // le cui lotte contro gli sparsi / blocchi di fango, le colate di terra, /sembrano in quel tremito disfarsi. // Ma tra gli scoppi testardi della / benna, che cieca sembra, cieca / sgretola, cieca afferra, // quasi non avesse meta, /un urlo improvviso, umano, / nasce, e a tratti si ripete, // così pazzo di dolore, che, umano, / subito non sembra più, e ridiventa / morto stridore. Poi, piano, // rinasce, nella luce violenta, / tra i palazzi accecati, nuovo, uguale, / urlo che solo chi è morente, // nell’ultimo istante, può gettare / in questo sole che crudele ancora splende / già addolcito da un po’ d’aria di mare… // A gridare è, straziata / da mesi e anni di mattutini / sudori – accompagnata // dal muto stuolo dei suoi scalpellini, / la vecchia scavatrice: ma, insieme, il fresco / sterro sconvolto, o, nel breve confine // dell’orizzonte novecentesco, / tutto il quartiere… È la città, / sprofondata in un chiarore di festa, // – è il mondo. Piange ciò che ha / fine e ricomincia. Ciò che era / area erbosa, aperto spiazzo, e si fa // cortile, bianco come cera, / chiuso in un decoro ch’è rancore; / ciò che era quasi una vecchia fiera // di freschi intonachi sghembi al sole, / e si fa nuovo isolato, brulicante / in un ordine ch’è spento dolore. // Piange ciò che muta, anche / per farsi migliore. La luce / del futuro non cessa un solo istante // di ferirci: è qui, che brucia / in ogni nostro atto quotidiano, / angoscia anche nella fiducia // che ci dà vita, nell’impeto gobettiano / verso questi operai, che muti innalzano, / nel rione dell’altro fronte umano, // il loro rosso straccio di speranza.//” (Pierpaolo Pasolini)
Renato Minore
Oltre l’avvertenza del Dolore, oltre ‘il gemito’ e il ‘pianto’, di cui la Vita è, ahinoi, troppo generosa Dispensiera, c’è a bilanciare il ‘Pianto’ anche il ‘dono’ di un ‘sorriso’ e la coscienza che tutto è ‘in prestito’, dolore o gioia che sia: è un messaggio molto positivo, leopardiano, questo di Renato Minore, un messaggio che rinfranca l’anima e ‘aiuta a non disperdere’, per dirla giusto col Leopardi” (Vincenzo Guarracino, pag. 135)
Il dolore in una stanza
“Ci sono nella vita / lampi e coincidenze, / e tutto si chiarisce / si dipana a ferro di cavallo / e l’impresa, sappilo, / non vale il gemito / che pure s’alza. / Posso enumerare / l’intera questione / che capii quella sera / piangendo: nulla / e nulla sussisteva / nel mio conto di dadi, / le possibilità implodevano / su quel sorriso / che era il mio dolore, / la mia gabbia, / congettura o destino, / colpa o altro che non so, / combinazione o scherzo / o dono assai maligno. / Ogni cosa è in prestito, / anche il dolore.//” (Renato Minore)
Mauro Macario
“Un momento di inenarrabile raggelante intensità, il più difficile per un Padre: osservare il corpo del Figlio morto, corpo inerte ‘pronto alla mattanza’, profanato da un’estranea, ‘una macellaia di Stato’, intenta a frugare tra le sue carni alla ricerca di chissà quali segreti con ‘screanza’, con indifferente e fredda crudeltà mascherata da scientifica dedizione in un’autentica ‘autopsia’, ‘lei sì con occhi vitrei’ mentre lui, il Padre, attonito, trattiene la sua rabbia e il pianto se lo fa implodere tutto dentro, lasciandosi ‘macellare’ il cuore assieme a suo Figlio. Un testo, questo di Macario, che tocca veramente vertici di assoluta forza nella denuncia di una società che esclude ogni pietà, ogni solidarietà, ogni compassione” (Vincenzo Guarracino)
Autopsia d’amore(a mio figlio)
“Taccheggia lungo il corridoio / a passo d’uccello / come una cicogna cattiva / dal profilo di falce / a guardarla così è pure elegante / distaccata / altera / le mani da pianista / invece squarta / è una macellaia di Stato / seziona e ricuce / al mattatoio giudiziario / ligia al suo dovere / di operaia specializzata / alla catena di smontaggio / dove rottama le salme in esubero / senza fermare i ritmi di produzione / osserva distrattamente / – lei sì con occhi vitrei – / l’estraneo allungato sul tavolo / pronto alla mattanza / è nessuno / freddo e rigido / come un suppellettile / in una casa abbandonata / è nessuno / non appartiene alla madre / né al padre / è proprietà dello Stato / che ne fa libero scempio / e spettacolo didattico / per un loggione di matricole // ora lo gira su un fianco / poi sull’altro / sa bene il suo mestiere / la cicogna cattiva / col becco ricurvo / come un uncino da asporto / che fruga e saccheggia / un’identità sottratta al mio sangue / ad una carne condivisa nel crearsi / dunque anch'io vengo macellato / attraverso la mia progenie // il suo taglio blasfemo / lo fa uscire dal sogno / come un palloncino sfuggito di mano / e rincorso in quell’eco d’infanzia / rimasta nei tratti a mostrare la sua forza / contro la logica occidentale della morte / dove cattolici e laici si trovano d’accordo / a non rispettare il corpo inerte // profanarlo / con le sue chele smaltate / profanarlo /con asettica meticolosità / offende la sua anima terrestre / quello che ha vissuto / come ha amato / i suoi pensieri / lei offende il Tao / e sé stessa / in cortocircuito / con l’armonia degli elementi / ma lo shen / non potrà farlo a pezzi / su quel bancone da pescivendola / dove lo ha eviscerato / e ripulito con la canna dell’acqua / come si fa al mercato a fine giornata // quel corpo è il corpo del mondo / adesso lasci fare a me / mi guardi / si fa così / raccolgo / non asporto / raccolgo tutta l’età. / anno dopo anno / lo sguardo che aveva / la tristezza di solitudini sconosciute / il suo sopravvissuto odore di latte / le tragiche miserie che lo hanno abbattuto / il liquido lucente dei suoi occhi / e ricompongo / impari / è un’occasione per capire / un’autopsia d’amore//” (Sarzana, 30-10-2010) (Mauro Macario)
*Fernanda Romagnoli, La folle tentazione dell’eterno, a cura di Paolo Lagazzi e Caterina Raganella, nota filologica di Laura Toppan e Ambra Zorat, Interno Poesia Editore, 2022
Fernanda Romagnoli, nata nel 1916 a Roma da una famiglia piccolo-borghese, si diplomò alle magistrali e poi in pianoforte all’Accademia di Santa Cecilia. Sposatasi con Vittorio Raganella, militare in carriera, visse sempre accanto a lui e alla loro unica figlia Caterina lavorando come maestra elementare. Gravemente malata per molti anni, morì nel 1986. Le sua poesie, pubblicate tra il 1943 e il 1980 in sole quattro raccolte (Capriccio, Berretto rosso, Confiteor e Il tredicesimo invitato), sono testi altamente drammatici, segnati da un’intensità visionaria, da una passione mistica e tragica unica nel Novecento italiano (dalla nota biografica inserita nel volume di Interno Poesia).
“Promotrice di questa antologia, intitolata La folle tentazione dell’eterno e pubblicata dalla casa editrice Interno poesia diretta da Andrea Cati, è la figlia della poetessa, Caterina Raganella, messa in contatto con l’editore da Gabriella Sica. La scelta dei testi è stata realizzata dalla stessa Raganella insieme a Paolo Lagazzi, esperto dell’opera di Attilio Bertolucci che fu amico e attento lettore di Fernanda Romagnoli. La presente antologia permette non solo di far circolare testi diventati da alcuni anni irreperibili (…) ma ristabilisce anche un ordine cronologico nella produzione letteraria di Fernanda Romagnoli” (Laura Toppan, Ambra Zorat, Nota filologica, in Fernanda Romagnoli, La folle tentazione dell’eterno, a cura di Paolo Lagazzi e Caterina Raganella, nota filologica di Laura Toppan e Ambra Zorat, Interno Poesia Editore, 2022, pag. 194).
“Quante voci poetiche nel Novecento sono giunte a un'altezza mistica, tragica e visionaria, a una forza lancinante e struggente paragonabile a quella di Fernanda Romagnoli? Ancora pochi, tuttavia, la conoscono davvero. Poeti come Carlo Betocchi, Vittorio Sereni e Attilio Bertolucci credettero in lei e si adoperarono per promuoverne l’opera, ma la sua grandezza non è stata ancora riconosciuta in modo adeguato. Vissuta per tutta la sua non lunghissima vita (1916-1986) in una specie di aspro esilio spirituale, in una terra dell’anima segnata da piaghe invisibili e atroci, la Romagnoli continua a essere lontana, remota, imprendibile dalla maggior parte dei lettori di poesia. La folle tentazione dell’eterno, la più ampia scelta dei suoi versi finora apparsa in Italia, vuole contrastare l’indifferenza che per troppo tempo ha avvolto questa creatrice di liriche potenti e perfette, vibranti di dolore e arse da un immenso pathos metafisico, percorse dai venti ingovernabili dello spirito e innervate da un’inesausta, tormentosa ricerca dell’assoluto” (al link https://www.ibs.it/folle-tentazione-dell-eterno-libro-fernanda-romagnoli/e/9788885583702).
“Per quanto Capriccio sia nella parabola della Romagnoli, dal punto di vista strettamente poetico, una premessa o un antefatto assai più che un esito compiuto, il suo valore in prospettiva è quello di un imprinting, d’uno stigma di destino. È in questa raccolta, infatti, che la poetessa dichiara per la prima volta il lato religioso della sua anima e insieme il suo sentirsi refrattaria alle formule rigide della realtà, il suo riconoscersi nella famiglia ideale dei nomadi dello spirito e il suo presagire che, proprio per questo, la sua vita sarà tutt’altro che un cammino di pace (…).
In Berretto rosso ritroviamo qualche tocco di una letterarietà datata, alcune parole desuete o preziosistiche; nell’autrice, però, si è intensificata la coscienza della propria diversità (…). Sul filo di questa coscienza il linguaggio tende a purificarsi, a farsi tetro e saettante, a filtrare i propri aloni e colori puntando sugli effetti del ritmo, sull’intensità dei versi, sui palpiti, sui contrappunti e sugli incisi marcati nervosamente dai trattini (…)” (Paolo Lagazzi, In sangue e fuoco: le vertigini dell’anima, in Fernanda Romagnoli, La folle tentazione dell’eterno, a cura di Paolo Lagazzi e Caterina Raganella, nota filologica di Laura Toppan e Ambra Zorat, Interno Poesia Editore 2022, pag. XXXVI).
“Otto anni dopo Berretto rosso, Confiteor punta in modo ancora più netto su un orizzonte di drammatica religiosità (…). In uno stile ancora più mobile e incisivo, zigzagante fra immagini memorabili, ancora più ricco di trattini che separano e legano, che tagliano e cuciono segmenti di pensieri, frammenti di emozioni o ansie, stupori, apnee, esclamazioni, impennate e cadute, ancora più epifanico, corrusco e vibrante (soprattutto gli endecasillabi), l’anima si specchia nei tempi e nei luoghi del proprio cammino in bilico fra sistoli e diastoli, fra espansioni e contrazioni del respiro, fra i sentimenti della giovinezza perduta (…), e i duri confini che il tempo della vita le ha alzato attorno (…)” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. XXXIX).
“Nel libro-testamento di Fernanda, Il tredicesimo invitato, (…) l’incisività stilistica assume (…) spessissimo i tratti di gesti fulminei, di rasoiate spirituali prodotte da un’anima sempre in allerta, inarcata sul filo del contrappunto o del paradosso; ma altrettanto decisivi quanto gli stacchi e i contrasti (marcati perlopiù da trattini e parentesi) sono gli endecasillabi e i settenari capaci di creare fasci energetici, nodi epifanici, slarghi musicali dell’immaginario” (…)” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. XLI).
“Anche questa raccolta (Il tredicesimo invitato N.d.A.) esprime quel sentimento che nutre tutta l’opera di Fernanda; la fede nella poesia non in quanto pura invenzione ma in quanto via per la verità: la speranza che l’Ospite, aprendo la porta dell’Altrove, potrà dirle malgrado le sue colpe: Vieni, un tuo verso ti ha salvato” (…)” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. XLVI).
“Nessun vero poeta può mai racchiudere le sue creazioni in un bilancio perché la poesia è sempre un’opera aperta, un discorso affidato al futuro, all’anima dei lettori, ai soffi dello spirito o del vento, all’infinito” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. XLV).
“La lingua di questa intrepida avventuriera dell’esistenza è fra le più intense, plastiche e corrusche della poesia, non solo italiana, del Novecento. L’originalità, l’unicità dei suoi timbri non esclude la molteplicità delle risonanze: senza mai farsi intreccio di voci altrui, pastiche o arazzo manieristico, la voce guizza come una fiamma tra contorsioni moderne e cadenze antiche (…), ma sa anche allentare, a tratti, il pathos per abbandonarsi alle cose, al trascorrere inerme della vita e alla luce trepida delle occasioni (…).
Impura e sfolgorante, cretosa e venosa, lacerata e ricca di una passione irriducibile, impetuosa e sarcastica, perentoria e angosciata, percorsa da siepi di esclamativi, interrogativi, vocativi o da sentenze, sospiri, sussulti, intrisa dei più profondi sensi di umiliazione e d’un bisogno terribile di giudicarsi, ma sempre capace di balzi improvvisi nelle regioni scoscese e indecifrabili della bellezza, la poesia della Romagnoli è una specie di ossimoro, di paradosso vivente: un contrappunto continuo tra figure opposte, un trionfo (come ha osservato Sereni) di quel ‘genio dell’improprietà’ che ‘ha segnato così a fondo l’opera di Baudelaire e illuminato il discorso dei grandi mistici’. Sul piano della resa stilistica è la sua musica a colpire più di tutto: una musica fatta non solo di bellissimi versi ma anche di una trama ora ondosa, frusciante e impalpabile ora puntuta, crepitante e graffiante, in ogni caso estremamente sapiente, di echi, reverberi, rime, assonanze, consonanze, allitterazioni.
Vorrei soffermarmi a lungo sulla ricchezza musicale di Fernanda, sulla sua sensibilità al ‘tocco’ linguistico e alle cadenze del ritmo, sul suo orecchio per i registri, i cromatismi, le scale, i contrappunti verbali: come dimenticare che era anche una pianista? Vorrei scegliere, dal ricchissimo territorio dei suoi versi, alcuni tra i più belli – belli come gioielli eppure mai bloccati in un’astratta perfezione di matrice parnassiana: sempre capaci di respirare, di palpitare, di farci sentire la vita fluente (…), la vita che è sé stessa e altro da sé, la vita come danza o fuga perpetua fra lo strazio e la luce, la carne e il cielo, il sangue e la grazia (…)
Nella sete di una lingua musicale che nutre a fondo i versi della Romagnoli, la pulsione ascensionale raccoglie i semi di povertà e dolore della condizione umana e sa farne germogliare arbusti meravigliosi: dodecasillabi, endecasillabi, novenari, settenari, quinari. Questi arbusti, però non sono mai immuni dai parassiti del male: tra le pieghe dello splendore si delineano di continuo piaghe, ferite, crepe, macchie, cavità oscure. L’armonia a cui tende Fernanda è un po’ come l’idea di musica coltivata da Ildegarda di Bingen: ‘L’anima dell’uomo ha in sé stessa un’armonia, suona un concerto dal quale si eleva spesso un lamento poiché ella rammenta di essere in esilio’” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. XLIX-LI).
“Un luogo a sé nella partitura della Romagnoli occupano le frequentissime rime. Nel Novecento (…) il ricorso alla rima ha conosciuto flussi e riflussi, drastici rifiuti e ritorni non di rado segnati dai crismi dell’originalità progettata in laboratorio. Questa piega fondamentale della lingua poetica ha invece in lei la natura schietta di una forza antica ma sempre nuova, di una forza fluente dalle radici dantesche della lingua italiana, e per questo, sempre aperta a tutte le esperienze, le ricerche, i mutamenti di prospettiva, gli scavi tra le forme del linguaggio che custodiscono echi e correspondaces, nodi o viluppi di suono e di senso (…).
Ma è soprattutto in quelle collocate alla fine dei testi, giocate riprendendo una parola più o meno lontana, che La Romagnoli sa creare mirabili rintocchi gnomici, bruschi e illuminanti cortocircuiti di senso (…).
Forse soprattutto una cosa riconosciamo in questi rintocchi che spostano o rovesciano la ‘lettera’ dei testi legando tra loro, in extremis, pena e luce, strazio e meraviglia: la fatale accettazione del mistero doloroso e gaudioso dell’universo, al modo del ‘sì’ gettato dal saggio di Nietzsche all’eterno ritorno: e, al fuoco di questo assenso, il risolversi di tutte le dissonanze in un accordo bruciante, in una specie d’impossibile armonia cadenzata sui tamburi selvaggi del cuore” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. LIII-LV).
Massaia
“E s’affanna, massaia poco accorta / che ha dissipato l’ore del mattino, / che il mezzodì – ragno divino – ha colto / nella rete del fare e del non fatto. / E già il passo dell’Ospite è alla porta. //” (pag. 30)
Io
“Quella donna dal viso indifeso / un poco sfiorita – / che passa nello specchio / in una scolorita veste rossa, /senza fruscio, di fretta, / rialzando sul capo i capelli / con mano distratta: / quella donna dall’anima dimessa / dicono che son io.//” (pag. 42)
Tu sapessi
“Tu, che senza sospetto mi sei amico, / non osare cercarmi. Tu sapessi / quest’amore che s’apre a tradimento / dentro di me – questo coltello a scatto, /affilato in cantine d’insonnia / e di vergogna, sepolto nel cuscino / a tormento dei sogni – cerca te. / M’inebrio al colpo che t’assalirebbe / all’altezza dell’anima. M’inebria / pensare come il volto / ti si farebbe pallido, e smarrita /l’onestà dello sguardo. / Chiaro sguardo – offuscato. / Animo – morsicato. Per mia colpa. / Tua Eva, divenuta, tuo serpente – / io – battezzata!//” (pag. 72)
Caino
“Ma se sono diversa. Se non posso / applaudire con voi, se non odio / quello che odiate – ho colpa? / Io, lo confesso, lascerei sul podio / il vincitore; io la mano vorrei stringerla al vinto. / Voi fate gran compianto per Abele, / per lo scaltro innocente, così certo / del consenso divino. / Ad un buio sudore io penso, al fiele / d’un cuore nella polvere respinto. / Io piango l’altro: Caino.//” (pag. 74)
Eresia
“Quest’uccello dal canto vermiglio, / questa piaga segreta, questo tarlo, / quest’amore come spada in fiore, / questo giglio, questo cardo: / a furia di rintuzzarlo nel petto, pestarlo nel sangue, / ne ho tessuto allo Spirito un tremendo / cilicio – un eretico saio – / in cui ardo con tutto il corpo mio, / sulla via del patibolo – già fiamma – / ridendo del rogo di Dio.//” (pag. 78)
Il tredicesimo invitato
“Grazie – ma qui che aspetto? / Io qui non mi trovo. Io fra voi / sto come il tredicesimo invitato, / per cui viene aggiunto un panchetto / e mangia nel piatto scompagnato. / e fra tutti che parlano – lui ascolta. / Fra tante risa – cerca di sorridere. / Inetto, benché arda, / a sostenere quel peso di splendori, / si sente grato se qualcuno casualmente / lo guarda. Quando in cuore / si smarrisce atterrito «Sto per piangere!» / e all’improvviso capisce / che siede un’ombra al suo posto: / che – entrando – lui è rimasto chiuso fuori.//” (pag. 104)
Rossa gallina
“Rossa gallina, in te odio / – più che del tuo chiocciolio di spavento, / dell’occhietto puntuto, / dello sconcio berretto – in te odio / il mezzo metro di vento / che spenni nel fracasso d’uno slancio / già rantolo e frattura / allo spiccarsi. In te odio / la mia storpia fiammata, / il mio abortito amplesso con lo spazio, / l’implacata natura che m’aizza / a un volo compromesso.//” (pag. 125)
Lei
“Lei non ha colpa se è bella, / se la luce accorre al suo volto, / se il suo passo è disciolto / come una riva estiva, / se ride come si sgrana una collana. / Lo so. Lei non ha colpa / del suo miele pungente di fanciulla, / della sua grazia assorta / che in sé non chiude nulla. / Se tu l’ami, lei non ha colpa. / Ma io – la vorrei morta.//” (pag. 152)
L’inquilina
“Ah, ragazzo: la vita, e come s’abita, / e chi ne dà la chiave… Domandarlo / proprio a me! L’inquilina irregolare / mezza matta, che vive su in soffitta, / discorrendo col passere e col tarlo; / che il portinaio vigila, una sera / non scenda come nulla per le scale, / canticchiando: ma in fuga la tradisce / la valigetta – e il fitto da saldare.//” (pag. 187)
*Giulia Alvarez, Il tempo delle farfalle, traduzione di Luisa Corbetta, Giunti 1997, 2019
Un romanzo che narra la storia delle sorelle Mirabal, cui è dedicata la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Un romanzo che narra “la storia delle quattro sorelle Mirabal – nome di battaglia Las mariposas – passate alla storia come le eroine della lotta di liberazione domenicana contro la terribile dittatura del generale Trujillo e assassinate in un’imboscata. Nate in una famiglia benestante e colta, le quattro ragazze rimasero sempre legate da un affetto complesso e profondo, nonostante le notevoli diversità di indole e di destino: la ribelle Minerva sceglie giovanissima di essere l’avvocato degli oppressi, Patria la devota arriva alla guerriglia per le vie imperscrutabili della fede religiosa, la frivola e romantica Maria Teresa si impegna nella causa per amore, mentre Dedé, l’unica sopravvissuta e la meno incline all’impegno politico e alla rivolta, narrando molti anni dopo la loro polifonica storia, si riunisce finalmente e senza riserve alle sorelle. Nel 1999, in onore delle sorelle trucidate, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite designò il 25 novembre quale Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” (al link https://www.ibs.it/tempo-delle-farfalle-libro-julia-alvarez/e/9788809864313).
*La rivista SENECIO, Direttori Andrea Piccolo e Lorenzo Fort,
con i seguenti contributi:
Rinaldo Caddeo, Il sogno di Bruto
Fabio Dainotti, Testi (Traduzioni catulliane - 2) Barbara Fragogna, Orfeo sogna. Morfeo
Rosa Elisa Giangoia, Editoriale su Antonio Spagnuolo
Enrico Peyretti, Due interventi
Adam Vaccaro, Microcosmi e globalizzazioni. Bonefro: esempio di un microcosmo tra i rischi di dispersione definitiva nell’attuale globalizzazione
Al link HYPERLINK http://www.senecio.it/" http://www.senecio.it. Per accedere direttamente, cliccare sulla data dell'ultimo aggiornamento nell'homepage, sopra o sotto il ritratto di Paul Klee.
*È poi in linea - postato in data 13 maggio per ricordare il dies natalis di Emilio Piccolo, fondatore e primo direttore della rivista, prematuramente scomparso - l’aggiornamento di SENECIO, Direttori Andrea Piccolo e Lorenzo fort, con i seguenti contributi:
Giuseppe Baldassarre, In ricordo di Giuseppe Panella
Otello Fabris, Bartolomeo Sacchi, l’onesto ghiottone di Piadena Alexandra Mitakidis, Testi (Tre haiku)
Paolo Puppa, Parole di Giuda - I parte
Enzo Santese, Nella sfera di Irene, ovvero della Pace
Antonio Spagnuolo, Testi (Crepitio)
Al link HYPERLINK "http://www.senecio.it/" http://www.senecio.it. Per accedere direttamente, cliccare sulla data dell'ultimo aggiornamento nell'homepage, sopra o sotto il ritratto di Paul Klee.
*La rivista Agorà IRC, mensile di attualità, cultura, informazione a cura dei dirigenti sindacali e dei volontari del Dipartimento UIL Scuola IRC, anno III, N. 3, marzo 2022, e N. 4 aprile 2022, dove curo La rubrica di Adele Desideri. Spunti di lettura.
https://www.agorairc.it/agora-irc-n-03-marzo-2022/
https://www.agorairc.it/agora-irc-n-04-aprile-2022/
https://www.agorairc.it/agora-irc-n-05-maggio-2022/
*La raccolta poetica Sophia de Mello Breyner Andresen, HYPERLINK https://www.ilramoelafogliaedizioni.it/libro.asp?ISBN=9791280223128
Fernanda Romagnoli, nata nel 1916 a Roma da una famiglia piccolo-borghese, si diplomò alle magistrali e poi in pianoforte all’Accademia di Santa Cecilia. Sposatasi con Vittorio Raganella, militare in carriera, visse sempre accanto a lui e alla loro unica figlia Caterina lavorando come maestra elementare. Gravemente malata per molti anni, morì nel 1986. Le sua poesie, pubblicate tra il 1943 e il 1980 in sole quattro raccolte (Capriccio, Berretto rosso, Confiteor e Il tredicesimo invitato), sono testi altamente drammatici, segnati da un’intensità visionaria, da una passione mistica e tragica unica nel Novecento italiano (dalla nota biografica inserita nel volume di Interno Poesia).
“Promotrice di questa antologia, intitolata La folle tentazione dell’eterno e pubblicata dalla casa editrice Interno poesia diretta da Andrea Cati, è la figlia della poetessa, Caterina Raganella, messa in contatto con l’editore da Gabriella Sica. La scelta dei testi è stata realizzata dalla stessa Raganella insieme a Paolo Lagazzi, esperto dell’opera di Attilio Bertolucci che fu amico e attento lettore di Fernanda Romagnoli. La presente antologia permette non solo di far circolare testi diventati da alcuni anni irreperibili (…) ma ristabilisce anche un ordine cronologico nella produzione letteraria di Fernanda Romagnoli” (Laura Toppan, Ambra Zorat, Nota filologica, in Fernanda Romagnoli, La folle tentazione dell’eterno, a cura di Paolo Lagazzi e Caterina Raganella, nota filologica di Laura Toppan e Ambra Zorat, Interno Poesia Editore, 2022, pag. 194).
“Quante voci poetiche nel Novecento sono giunte a un'altezza mistica, tragica e visionaria, a una forza lancinante e struggente paragonabile a quella di Fernanda Romagnoli? Ancora pochi, tuttavia, la conoscono davvero. Poeti come Carlo Betocchi, Vittorio Sereni e Attilio Bertolucci credettero in lei e si adoperarono per promuoverne l’opera, ma la sua grandezza non è stata ancora riconosciuta in modo adeguato. Vissuta per tutta la sua non lunghissima vita (1916-1986) in una specie di aspro esilio spirituale, in una terra dell’anima segnata da piaghe invisibili e atroci, la Romagnoli continua a essere lontana, remota, imprendibile dalla maggior parte dei lettori di poesia. La folle tentazione dell’eterno, la più ampia scelta dei suoi versi finora apparsa in Italia, vuole contrastare l’indifferenza che per troppo tempo ha avvolto questa creatrice di liriche potenti e perfette, vibranti di dolore e arse da un immenso pathos metafisico, percorse dai venti ingovernabili dello spirito e innervate da un’inesausta, tormentosa ricerca dell’assoluto” (al link https://www.ibs.it/folle-tentazione-dell-eterno-libro-fernanda-romagnoli/e/9788885583702).
“Per quanto Capriccio sia nella parabola della Romagnoli, dal punto di vista strettamente poetico, una premessa o un antefatto assai più che un esito compiuto, il suo valore in prospettiva è quello di un imprinting, d’uno stigma di destino. È in questa raccolta, infatti, che la poetessa dichiara per la prima volta il lato religioso della sua anima e insieme il suo sentirsi refrattaria alle formule rigide della realtà, il suo riconoscersi nella famiglia ideale dei nomadi dello spirito e il suo presagire che, proprio per questo, la sua vita sarà tutt’altro che un cammino di pace (…).
In Berretto rosso ritroviamo qualche tocco di una letterarietà datata, alcune parole desuete o preziosistiche; nell’autrice, però, si è intensificata la coscienza della propria diversità (…). Sul filo di questa coscienza il linguaggio tende a purificarsi, a farsi tetro e saettante, a filtrare i propri aloni e colori puntando sugli effetti del ritmo, sull’intensità dei versi, sui palpiti, sui contrappunti e sugli incisi marcati nervosamente dai trattini (…)” (Paolo Lagazzi, In sangue e fuoco: le vertigini dell’anima, in Fernanda Romagnoli, La folle tentazione dell’eterno, a cura di Paolo Lagazzi e Caterina Raganella, nota filologica di Laura Toppan e Ambra Zorat, Interno Poesia Editore 2022, pag. XXXVI).
“Otto anni dopo Berretto rosso, Confiteor punta in modo ancora più netto su un orizzonte di drammatica religiosità (…). In uno stile ancora più mobile e incisivo, zigzagante fra immagini memorabili, ancora più ricco di trattini che separano e legano, che tagliano e cuciono segmenti di pensieri, frammenti di emozioni o ansie, stupori, apnee, esclamazioni, impennate e cadute, ancora più epifanico, corrusco e vibrante (soprattutto gli endecasillabi), l’anima si specchia nei tempi e nei luoghi del proprio cammino in bilico fra sistoli e diastoli, fra espansioni e contrazioni del respiro, fra i sentimenti della giovinezza perduta (…), e i duri confini che il tempo della vita le ha alzato attorno (…)” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. XXXIX).
“Nel libro-testamento di Fernanda, Il tredicesimo invitato, (…) l’incisività stilistica assume (…) spessissimo i tratti di gesti fulminei, di rasoiate spirituali prodotte da un’anima sempre in allerta, inarcata sul filo del contrappunto o del paradosso; ma altrettanto decisivi quanto gli stacchi e i contrasti (marcati perlopiù da trattini e parentesi) sono gli endecasillabi e i settenari capaci di creare fasci energetici, nodi epifanici, slarghi musicali dell’immaginario” (…)” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. XLI).
“Anche questa raccolta (Il tredicesimo invitato N.d.A.) esprime quel sentimento che nutre tutta l’opera di Fernanda; la fede nella poesia non in quanto pura invenzione ma in quanto via per la verità: la speranza che l’Ospite, aprendo la porta dell’Altrove, potrà dirle malgrado le sue colpe: Vieni, un tuo verso ti ha salvato” (…)” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. XLVI).
“Nessun vero poeta può mai racchiudere le sue creazioni in un bilancio perché la poesia è sempre un’opera aperta, un discorso affidato al futuro, all’anima dei lettori, ai soffi dello spirito o del vento, all’infinito” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. XLV).
“La lingua di questa intrepida avventuriera dell’esistenza è fra le più intense, plastiche e corrusche della poesia, non solo italiana, del Novecento. L’originalità, l’unicità dei suoi timbri non esclude la molteplicità delle risonanze: senza mai farsi intreccio di voci altrui, pastiche o arazzo manieristico, la voce guizza come una fiamma tra contorsioni moderne e cadenze antiche (…), ma sa anche allentare, a tratti, il pathos per abbandonarsi alle cose, al trascorrere inerme della vita e alla luce trepida delle occasioni (…).
Impura e sfolgorante, cretosa e venosa, lacerata e ricca di una passione irriducibile, impetuosa e sarcastica, perentoria e angosciata, percorsa da siepi di esclamativi, interrogativi, vocativi o da sentenze, sospiri, sussulti, intrisa dei più profondi sensi di umiliazione e d’un bisogno terribile di giudicarsi, ma sempre capace di balzi improvvisi nelle regioni scoscese e indecifrabili della bellezza, la poesia della Romagnoli è una specie di ossimoro, di paradosso vivente: un contrappunto continuo tra figure opposte, un trionfo (come ha osservato Sereni) di quel ‘genio dell’improprietà’ che ‘ha segnato così a fondo l’opera di Baudelaire e illuminato il discorso dei grandi mistici’. Sul piano della resa stilistica è la sua musica a colpire più di tutto: una musica fatta non solo di bellissimi versi ma anche di una trama ora ondosa, frusciante e impalpabile ora puntuta, crepitante e graffiante, in ogni caso estremamente sapiente, di echi, reverberi, rime, assonanze, consonanze, allitterazioni.
Vorrei soffermarmi a lungo sulla ricchezza musicale di Fernanda, sulla sua sensibilità al ‘tocco’ linguistico e alle cadenze del ritmo, sul suo orecchio per i registri, i cromatismi, le scale, i contrappunti verbali: come dimenticare che era anche una pianista? Vorrei scegliere, dal ricchissimo territorio dei suoi versi, alcuni tra i più belli – belli come gioielli eppure mai bloccati in un’astratta perfezione di matrice parnassiana: sempre capaci di respirare, di palpitare, di farci sentire la vita fluente (…), la vita che è sé stessa e altro da sé, la vita come danza o fuga perpetua fra lo strazio e la luce, la carne e il cielo, il sangue e la grazia (…)
Nella sete di una lingua musicale che nutre a fondo i versi della Romagnoli, la pulsione ascensionale raccoglie i semi di povertà e dolore della condizione umana e sa farne germogliare arbusti meravigliosi: dodecasillabi, endecasillabi, novenari, settenari, quinari. Questi arbusti, però non sono mai immuni dai parassiti del male: tra le pieghe dello splendore si delineano di continuo piaghe, ferite, crepe, macchie, cavità oscure. L’armonia a cui tende Fernanda è un po’ come l’idea di musica coltivata da Ildegarda di Bingen: ‘L’anima dell’uomo ha in sé stessa un’armonia, suona un concerto dal quale si eleva spesso un lamento poiché ella rammenta di essere in esilio’” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. XLIX-LI).
“Un luogo a sé nella partitura della Romagnoli occupano le frequentissime rime. Nel Novecento (…) il ricorso alla rima ha conosciuto flussi e riflussi, drastici rifiuti e ritorni non di rado segnati dai crismi dell’originalità progettata in laboratorio. Questa piega fondamentale della lingua poetica ha invece in lei la natura schietta di una forza antica ma sempre nuova, di una forza fluente dalle radici dantesche della lingua italiana, e per questo, sempre aperta a tutte le esperienze, le ricerche, i mutamenti di prospettiva, gli scavi tra le forme del linguaggio che custodiscono echi e correspondaces, nodi o viluppi di suono e di senso (…).
Ma è soprattutto in quelle collocate alla fine dei testi, giocate riprendendo una parola più o meno lontana, che La Romagnoli sa creare mirabili rintocchi gnomici, bruschi e illuminanti cortocircuiti di senso (…).
Forse soprattutto una cosa riconosciamo in questi rintocchi che spostano o rovesciano la ‘lettera’ dei testi legando tra loro, in extremis, pena e luce, strazio e meraviglia: la fatale accettazione del mistero doloroso e gaudioso dell’universo, al modo del ‘sì’ gettato dal saggio di Nietzsche all’eterno ritorno: e, al fuoco di questo assenso, il risolversi di tutte le dissonanze in un accordo bruciante, in una specie d’impossibile armonia cadenzata sui tamburi selvaggi del cuore” (Paolo Lagazzi, ivi, pag. LIII-LV).
Massaia
“E s’affanna, massaia poco accorta / che ha dissipato l’ore del mattino, / che il mezzodì – ragno divino – ha colto / nella rete del fare e del non fatto. / E già il passo dell’Ospite è alla porta. //” (pag. 30)
Io
“Quella donna dal viso indifeso / un poco sfiorita – / che passa nello specchio / in una scolorita veste rossa, /senza fruscio, di fretta, / rialzando sul capo i capelli / con mano distratta: / quella donna dall’anima dimessa / dicono che son io.//” (pag. 42)
Tu sapessi
“Tu, che senza sospetto mi sei amico, / non osare cercarmi. Tu sapessi / quest’amore che s’apre a tradimento / dentro di me – questo coltello a scatto, /affilato in cantine d’insonnia / e di vergogna, sepolto nel cuscino / a tormento dei sogni – cerca te. / M’inebrio al colpo che t’assalirebbe / all’altezza dell’anima. M’inebria / pensare come il volto / ti si farebbe pallido, e smarrita /l’onestà dello sguardo. / Chiaro sguardo – offuscato. / Animo – morsicato. Per mia colpa. / Tua Eva, divenuta, tuo serpente – / io – battezzata!//” (pag. 72)
Caino
“Ma se sono diversa. Se non posso / applaudire con voi, se non odio / quello che odiate – ho colpa? / Io, lo confesso, lascerei sul podio / il vincitore; io la mano vorrei stringerla al vinto. / Voi fate gran compianto per Abele, / per lo scaltro innocente, così certo / del consenso divino. / Ad un buio sudore io penso, al fiele / d’un cuore nella polvere respinto. / Io piango l’altro: Caino.//” (pag. 74)
Eresia
“Quest’uccello dal canto vermiglio, / questa piaga segreta, questo tarlo, / quest’amore come spada in fiore, / questo giglio, questo cardo: / a furia di rintuzzarlo nel petto, pestarlo nel sangue, / ne ho tessuto allo Spirito un tremendo / cilicio – un eretico saio – / in cui ardo con tutto il corpo mio, / sulla via del patibolo – già fiamma – / ridendo del rogo di Dio.//” (pag. 78)
Il tredicesimo invitato
“Grazie – ma qui che aspetto? / Io qui non mi trovo. Io fra voi / sto come il tredicesimo invitato, / per cui viene aggiunto un panchetto / e mangia nel piatto scompagnato. / e fra tutti che parlano – lui ascolta. / Fra tante risa – cerca di sorridere. / Inetto, benché arda, / a sostenere quel peso di splendori, / si sente grato se qualcuno casualmente / lo guarda. Quando in cuore / si smarrisce atterrito «Sto per piangere!» / e all’improvviso capisce / che siede un’ombra al suo posto: / che – entrando – lui è rimasto chiuso fuori.//” (pag. 104)
Rossa gallina
“Rossa gallina, in te odio / – più che del tuo chiocciolio di spavento, / dell’occhietto puntuto, / dello sconcio berretto – in te odio / il mezzo metro di vento / che spenni nel fracasso d’uno slancio / già rantolo e frattura / allo spiccarsi. In te odio / la mia storpia fiammata, / il mio abortito amplesso con lo spazio, / l’implacata natura che m’aizza / a un volo compromesso.//” (pag. 125)
Lei
“Lei non ha colpa se è bella, / se la luce accorre al suo volto, / se il suo passo è disciolto / come una riva estiva, / se ride come si sgrana una collana. / Lo so. Lei non ha colpa / del suo miele pungente di fanciulla, / della sua grazia assorta / che in sé non chiude nulla. / Se tu l’ami, lei non ha colpa. / Ma io – la vorrei morta.//” (pag. 152)
L’inquilina
“Ah, ragazzo: la vita, e come s’abita, / e chi ne dà la chiave… Domandarlo / proprio a me! L’inquilina irregolare / mezza matta, che vive su in soffitta, / discorrendo col passere e col tarlo; / che il portinaio vigila, una sera / non scenda come nulla per le scale, / canticchiando: ma in fuga la tradisce / la valigetta – e il fitto da saldare.//” (pag. 187)
*Giulia Alvarez, Il tempo delle farfalle, traduzione di Luisa Corbetta, Giunti 1997, 2019
Un romanzo che narra la storia delle sorelle Mirabal, cui è dedicata la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Un romanzo che narra “la storia delle quattro sorelle Mirabal – nome di battaglia Las mariposas – passate alla storia come le eroine della lotta di liberazione domenicana contro la terribile dittatura del generale Trujillo e assassinate in un’imboscata. Nate in una famiglia benestante e colta, le quattro ragazze rimasero sempre legate da un affetto complesso e profondo, nonostante le notevoli diversità di indole e di destino: la ribelle Minerva sceglie giovanissima di essere l’avvocato degli oppressi, Patria la devota arriva alla guerriglia per le vie imperscrutabili della fede religiosa, la frivola e romantica Maria Teresa si impegna nella causa per amore, mentre Dedé, l’unica sopravvissuta e la meno incline all’impegno politico e alla rivolta, narrando molti anni dopo la loro polifonica storia, si riunisce finalmente e senza riserve alle sorelle. Nel 1999, in onore delle sorelle trucidate, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite designò il 25 novembre quale Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” (al link https://www.ibs.it/tempo-delle-farfalle-libro-julia-alvarez/e/9788809864313).
*La rivista SENECIO, Direttori Andrea Piccolo e Lorenzo Fort,
con i seguenti contributi:
Rinaldo Caddeo, Il sogno di Bruto
Fabio Dainotti, Testi (Traduzioni catulliane - 2) Barbara Fragogna, Orfeo sogna. Morfeo
Rosa Elisa Giangoia, Editoriale su Antonio Spagnuolo
Enrico Peyretti, Due interventi
Adam Vaccaro, Microcosmi e globalizzazioni. Bonefro: esempio di un microcosmo tra i rischi di dispersione definitiva nell’attuale globalizzazione
Al link HYPERLINK http://www.senecio.it/" http://www.senecio.it. Per accedere direttamente, cliccare sulla data dell'ultimo aggiornamento nell'homepage, sopra o sotto il ritratto di Paul Klee.
*È poi in linea - postato in data 13 maggio per ricordare il dies natalis di Emilio Piccolo, fondatore e primo direttore della rivista, prematuramente scomparso - l’aggiornamento di SENECIO, Direttori Andrea Piccolo e Lorenzo fort, con i seguenti contributi:
Giuseppe Baldassarre, In ricordo di Giuseppe Panella
Otello Fabris, Bartolomeo Sacchi, l’onesto ghiottone di Piadena Alexandra Mitakidis, Testi (Tre haiku)
Paolo Puppa, Parole di Giuda - I parte
Enzo Santese, Nella sfera di Irene, ovvero della Pace
Antonio Spagnuolo, Testi (Crepitio)
Al link HYPERLINK "http://www.senecio.it/" http://www.senecio.it. Per accedere direttamente, cliccare sulla data dell'ultimo aggiornamento nell'homepage, sopra o sotto il ritratto di Paul Klee.
*La rivista Agorà IRC, mensile di attualità, cultura, informazione a cura dei dirigenti sindacali e dei volontari del Dipartimento UIL Scuola IRC, anno III, N. 3, marzo 2022, e N. 4 aprile 2022, dove curo La rubrica di Adele Desideri. Spunti di lettura.
https://www.agorairc.it/agora-irc-n-03-marzo-2022/
https://www.agorairc.it/agora-irc-n-04-aprile-2022/
https://www.agorairc.it/agora-irc-n-05-maggio-2022/
*La raccolta poetica Sophia de Mello Breyner Andresen, HYPERLINK https://www.ilramoelafogliaedizioni.it/libro.asp?ISBN=9791280223128
Il giardino di Sophia, Introduzione e traduzione di Roberto Maggiani, postfazione di Claudio Trognoni, Il ramo e la foglia edizioni, che raccoglie ottanta poesie della portoghese Sophia de Mello Breyner Andresen, selezionate dalle sue raccolte pubblicate dal 1944 al 1998 (testo portoghese a fronte). Si tratta di una importante pubblicazione che porta all’attenzione del pubblico italiano uno dei maggiori poeti di lingua portoghese, la prima donna del Portogallo a vincere il prestigioso Premio Camões (il premio, istituito dal governo del Brasile e del Portogallo nel 1988, è attribuito agli autori che hanno contribuito all’accrescimento del patrimonio letterario e culturale della lingua portoghese).
Al link https://www.ilramoelafogliaedizioni.it/libro.asp?ISBN=9791280223128
*L’Ombra delle Parole. Rivista Letteraria Internazionale.
Al link https://lombradelleparole.wordpress.com/2022/03/14/uno-spettro-si-aggira-per-il-mondo-della-poesia-di-accademia-che-si-fa-in-italia-lo-spettro-della-poetry-kitchen-poesie-kitchen-di-francesco-paolo-intini-mauro-pierno-saverio-marconi-gino-rago-l/
*Il video Chissà che suono avrà la pace, al link
https://www.facebook.com/100006222946913/videos/1046328139642675/
“Chi sta sempre bene non sarà in comunione col dolore del mondo, né troppo sensibile ed empatico, ma vuoi mettere come vive piacevolmente?
A noialtri che abbiamo qualche scompenso chimico o psicologico o sociale, o un po’ tutto questo, tocca invece di impegnarci parecchio per stare bene, o almeno discretamente. A volte serve una vita intera”
(Daria Bignardi, Libri che mi hanno rovinato la vita. E altri amori malinconici, Einaudi, 2022, pag. 132)
Al link https://www.ilramoelafogliaedizioni.it/libro.asp?ISBN=9791280223128
*L’Ombra delle Parole. Rivista Letteraria Internazionale.
Al link https://lombradelleparole.wordpress.com/2022/03/14/uno-spettro-si-aggira-per-il-mondo-della-poesia-di-accademia-che-si-fa-in-italia-lo-spettro-della-poetry-kitchen-poesie-kitchen-di-francesco-paolo-intini-mauro-pierno-saverio-marconi-gino-rago-l/
*Il video Chissà che suono avrà la pace, al link
https://www.facebook.com/100006222946913/videos/1046328139642675/
“Chi sta sempre bene non sarà in comunione col dolore del mondo, né troppo sensibile ed empatico, ma vuoi mettere come vive piacevolmente?
A noialtri che abbiamo qualche scompenso chimico o psicologico o sociale, o un po’ tutto questo, tocca invece di impegnarci parecchio per stare bene, o almeno discretamente. A volte serve una vita intera”
(Daria Bignardi, Libri che mi hanno rovinato la vita. E altri amori malinconici, Einaudi, 2022, pag. 132)
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