Trascrivo la pagina di un poeta, che è a sua volta insegnante, Fabio Pusterla. Non trovo parole migliori per dire quanto sia importante la frequenza della scuola e il rapporto alunno docente, ancor di più in questo tempo di assenza forzata. Dedico questa pagina di Fabio Pusterla (da Una goccia di splendore. Riflessioni sulla scuola, nonostante tutto, Casagrande, 2008) a tutti gli insegnanti che in questi mesi, con impegno e tanta passione, svolgono la loro funzione nella didattica a distanza.
Mi piacerebbe pensarlo esposto in tutte le sale docenti.
Una goccia di splendore
Riprendo le tradizioni, proviamo ad aprire l’anno con un augurio per gli insegnanti? Ma non è facile augurare qualcosa agli insegnanti. Appena si parla di loro, c’è qualcuno che fa la voce grossa, che spara nel mucchio: lazzaroni, e quel che segue; anche gli auguri adesso? Non sarebbe meglio far finta di nulla, parlare di altro e non attirare nuove ire sulla categoria? No, non sarebbe meglio. Anzi, un augurio che mi piacerebbe fare sarebbe questo: che chi vuol criticare la scuola, lo faccia con vigore e con chiarezza; ma sempre pensando dentro di sé ai buoni insegnanti che ha avuto e non solo a quelli cattivi. I cattivi insegnanti ci sono, certo: come i cattivi dentisti, i cattivi avvocati, i cattivi politici (e non mi pare davvero che si possa dire: quella degli insegnanti è la categoria messa peggio; basta leggere i giornali). Ma i buoni insegnanti, quelli che ci hanno dato una mano, che ci hanno ascoltato, sorriso, incoraggiato, compianto; quelli che hanno corretto i nostri errori passando lunghe ore solitarie a leggere i nostri componimenti e i nostri esercizi; quelli che si sono portati a casa, senza dirlo a nessuno, il dolore dei nostri dolori, il problema dei nostri problemi, e ci hanno perso il sonno, per pura simpatia umana, per affetto, cercando la parola giusta, il gesto appropriato, il consiglio utile… Chi parla di questi insegnanti, che nella vita di ciascuno di noi hanno svolto un ruolo tanto importante? Nessuno ne parla, e non mi illudo che questo articoletto cambi le cose. Dunque, l’augurio di partenza sarebbe soltanto un augurio retorico? Forse, e allora provo subito a modificarlo in senso realistico. Nell’anno che sta iniziando, si continuerà infatti a parlare molto male degli insegnanti; gireranno ancora le vecchie battute sulla loro presunta incapacità, le accuse alle loro vacanze eccessive, e tutto il resto. Se i politici penseranno che la cosa si possa fare senza troppi problemi, proporranno nuovi tagli sulla scuola pubblica, e le proteste degli insegnanti serviranno solo a rinfocolare il disprezzo generale verso di loro.
Benissimo. In questa situazione che l’annunciata bagarre pre-elettorale dei prossimi mesi potrebbe persino peggiorare, forse c’è solo una cosa che possiamo davvero augurare. Ci sono degli istanti, nell’attività scolastica, in cui capita qualcosa che è difficile spiegare. Per esempio: gli studenti stanno facendo un compito, una prova scritta, chini sui banchi, tutti tacciono per un po’, e l’insegnante li osserva in silenzio, con commozione. Cosa sta succedendo? Come chiamare quel sentimento strano che improvvisamente appare in tutta la sua chiarezza? C’è una pagina nel recente romanzo di Frank McCourt (Ehi, prof!) che esprime benissimo questa sensazione: una ragazza, Phyllis, dopo aver letto ad alta voce il suo componimento, dove racconta della sera in cui, mentre alla televisione Neil Amstrong scendeva sulla luna, nell’altra stanza suo padre stava morendo, si mette a piangere davanti ai compagni; il professore non sa cosa fare, la abbraccia, lei continua a piangere, piangono anche gli altri, e poi qualcuno grida «Brava Phyllis», tutti applaudono. Phyllis accarezza la guancia del professore, torna al posto sorridendo tra le lacrime. E l’insegnante annota: «Questa carezza non la dimenticherò mai, e neanche Phyllis, il padre morto e Amstrong sulla luna».
C’è infatti un’intensità, nel rapporto d’affetto che talvolta lega l’insegnante ai suoi studenti, difficile da manifestare, e persino da descrivere. Quando ci penso e quando lo provo, a me viene in mente un’immagine che dalle poesie di Alvaro Mutis rimbalza in una delle ultime canzoni di Fabrizio De André: una goccia di splendore. Ecco cos’è quella cosa che splende ogni tanto nelle aule, il segreto che nei momenti migliori unisce studenti e insegnanti, la piccola luce di cui è impossibile parlare agli altri, che forse non capirebbero: una goccia di splendore. Ed ecco allora il mio augurio, a me stesso, ai miei amici, ai miei colleghi: che non ci dimentichiamo di quella goccia e di quello splendore.
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