Quando pensai di fermarmi per
raccogliere un sassolino e una foglia, mi venne incontro una civetta: ali
bianche e grandi occhi gialli. Gettandomi addosso un passero solitario, volò
poi alta e scomparve, ingoiata dalla luna.
Mi spaventai e mi ritrassi, come per
difendermi. Lesto, però, mi chinai. Lo presi con molta delicatezza, come quando
si coglie un papavero. Era vivo, caldo. Non cinguettò. Il tepore delle mie mani
lo rassicurò. Lo osservai e mi venne il bel canto d’un tempo: Passero
solitario, alla campagna / Cantando vai finché non more il giorno.
Il cuore, allor, ebbe un sussulto e un
sospiro e gli occhi lacrime salmastre. Oimè, quanto somiglia / Al tuo costume
il mio!, ricordo e gemo. E lui, piccolo, nell’incavo fattosi nido, par che mi
guardò partecipando, forse, al mio dolore.
È questa la strada che conduce alle
prime luci del buon mattino? Domandai con voce sommessa e speranza grande. Non
un fremito d’ali, non un cinguettio. Devo avanzare o tornare sui miei passi?
Chiesi, avvicinando le labbra al becco, sussurrando. Ma il passero tacque,
immobile eppur vivo. So che: Tu pensoso in disparte il tutto miri, e quindi
sai. Allor, lo portai e misi vicino al cuore, perché sentisse la mia tristezza.
E la sentì e cinguettò come ferito.
Chiusi gli occhi e udii, ancor meglio, la risposta: Guarda e va’! Guardare? Ho
già guardato, troppo. E andare, non mi va’. Guarda e va’! cinguettò ancora una
volta. Allora, guardai e vidi…
Vidi l’orizzonte prender fuoco come
incendio che sale verso il cielo e le stelle. Vidi colori che non avevo mai
messo dentro i miei occhi. Colori caldi, non spaventevoli. Potevano, questi,
essere quelli che il grande Oro getta scalando la Terra? Li vidi ed ebbi paura
di diventare cieco. Ed ebbi paura di non rivederli. Ma la paura si mutò in
ardore e l’ardore mi prese per mano ed io iniziai a camminare, passo dopo
passo.
Vieni con me, fratello! Vengo con te,
sorella! Uscii e la foresta si allontanò e in men che si dica scomparve.
E il buon mattino s’inchinò come un
santo Re davanti ai suoi sudditi. Io tenni la bocca chiusa, ma il riso mi fece
tremar le labbra e chinai la testa respirando il risveglio di mille e mille
fiori. E quando risollevai gli occhi, ecco il mattino venirmi incontro, come
amico fa al suo ritorno. Anch’io, allor, mi mossi verso quell’infinito dono.
Così, m’accorsi che piangevo. Ma lui mi aveva già abbracciato e stretto.
Sentii tutte le sostanze entrarmi
dentro e profumare le mie tristezze che, infastidite, aprirono i cassetti e,
come api affamate, volarono via, lontano dalle mie stanze.
Il buon mattino si sedette ed io,
sorseggiando una limonata, fischiettai due tre note come il giorno primaverile
canta nei giardini del Mondo.
Ed il passero? Non so! Forse, è volato
da lui per narrargli di un incontro felice con un uomo povero ma baciato dalle
sorelle che ora danzano pazzerelle.
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