Originaria di Lecce, frequenta Giurisprudenza
all’Università La Cattolica di Milano, Chiara Evangelista è tra le più giovani
autrici di poesia che abbiamo in Italia in questo momento ed è già al suo
secondo libro di poesie: dopo In medias
res (I. Q.d.B. 2017) ecco infatti Più
probabile che non (I Q.d.B. 2018) lavoro che porta la prefazione di Tomaso
Kemeny e la postfazione di Donato Di Poce. Un percorso, si potrebbe dire,
velocissimo nell’arte, e anche un percorso complesso che la vede infatti
protagonista in teatro sia come autrice che come attrice. Su questo già c’è
molto da riflettere. Laddove siamo indirizzati spesso fuoristrada da commenti e
illazioni che portano le firme più disparate, sui giovani: non interessati,
non motivati, non colti, non informati,
non… non … non… ebbene vivaddio non è così, non è solo così. Chiara ci offre un
esempio lampante di quanto amore, interesse, passione possa esserci tra le
giovani fila che si affacciano alla bellezza in senso lato, alla poesia nel
caso specifico, andando anche e soprattutto a sperimentare forme vecchie e
nuovissime di stile, di contenuto, di metamorfosi per cercare di trovare, di
arrivare, di approdare a quella che diverrà la propria dimensione, la propria
cifra e la propria visione poetica.
Ho letto dunque con estrema attenzione questo lavoro
di Chiara Evangelista che già dal titolo, ovviamente, incuriosisce per quella
sorta di provocazione che contiene, che se ne percepisce: cosa vuol dire “più
probabile che non”? che è probabile? o quasi sicuramente probabile? o non
improbabile?... si potevano trovare altri validi modi per esplicitare questo
che definirei il “paradigma delle probabilità”… ma l’autrice ha scelto parole
ben precise, ovvero “più probabile che non”… gioco di parole? (forse) furbesco
rigiro letterario? (e perché no…!) o
ancora scelta ragionata sulla base di un significato ben preciso, per altro
mutuato dalla disciplina oggetto del suo corso di studi, ovvero quella
giuridica? In materia civile nell’accertamento del nesso causale vige infatti
la regola del “più probabile che non”, regola che comporta un’analisi specifica
e puntuale di tutte le risultanze probatorie, laddove un evento è da
considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza
del secondo, regola che detta quindi la preponderanza dell’evidenza… di quale
evidenza parliamo in merito al contenuto della raccolta di poesie della nostra
autrice? Quali sono gli eventi che hanno dato origine alla sua stesura: il
secondo senza il quale non si sarebbe verificato il primo, e il primo
stesso?... Andando con ordine, a mio parere, gli elementi da considerare
nell’analisi del lavoro, pensando a questa direzione, sono di fatto almeno due:
il contenuto e lo stile, inscindibili per la dimensione interpretativa del
testo.
La modalità stilistica, è già stato detto anche dalle
voci autorevoli del prefatore e del postfatore, è spiccatamente sperimentale
con soluzioni che riprendono tesi dal “language poetry” – movimento
d’avanguardia per la poesia, emerso tra il ’60 e il ’70 in risposta alla poesia
tradizionale, sviluppatosi tra San Francisco e New York - ma io vi ritrovo una vicinanza anche di
quei ben noti Esercizi di stile che
sperimentò Raymond Queneau all’interno de l’Ou.Li.Po., ovvero dell’“officina di letteratura
potenziale” fondata nel 1960 in Francia allo scopo anche di avvicinare il
sapere scientifico e umanistico, oltre che di evidenziare l’incredibile potere
dell’alfabeto, della scrittura, della struttura del linguaggio in grado di riprodurre la totalità del reale
e di creare un numero altrettanto grande di permutazioni, di combinazioni di
lettere, parole e frasi...
Così, ad esempio, ci sembra
poter riconoscere in questa comparazione il testo:
Tanto per cominciare
non
tanto per
ma
tanto
per
un
per
laddove ci si
chiede la motivazione dell’inizio del tutto… o ancora il testo
CHICHIRI… CHE!
Non
so chi ero
so
che ero.
Non
so che sono
so chi sono.
laddove l’io poetico viene
messo in discussione a cominciare dal gioco onomatopeico del titolo… o ancora
il testo
Toccare una
corda sensibile
Ti
ho retto la corda
ti
ho dato corda
hai
tirato troppo la corda
mi
hai messa alle corde
e
giù di corda
con
la corda al collo
ho tagliato la
corda.
laddove il tira e molla tra i due protagonisti del siparietto si gioca tutto sullo spazio dato l’uno all’altro, attraverso modi di dire legati alla parola corda, e finisce con la fuga di uno dei due… molto divertente.
Vengono in mente certo le
filastrocche di Rodari, la sua Grammatica
della Fantasia o quel Lasciatemi
divertire di Palazzeschi, o ancora alcuni spassosi e rimati monologhi
scioglilingua di Campanile (penso a La
quercia del Tasso)… in questo testo che si sviluppa intorno a un contenuto di
metapoesia e che s’impone per l’attenzione alle rime, quindi ad una delle
particolarità retoriche della poesia stessa…
A rime
obbligate
A
rime obbligate?
Lasciatemi
fare.
Al
testo aggiungo un verso
sommerso
dal contesto di rigetto
e
mi getto in un altro capoverso.
A
rime obbligate?
Lasciate
che risponda per le rime
sulle mire
centrate e mancate.
In merito al contenuto, alla poetica del libro, nel
suo complesso, al di là dei singoli testi anche sinora esaminati, possiamo dire
– legandola allo stile – che questa affronta con la leggerezza (ma non con
l’incoscienza o con l’inconsapevolezza) insita nell’età e consona alla cifra
stilistica i temi fondamentali della vita: l’amore, il dolore, la ricerca di
identità, la nostalgia e si fa appunto metapoesia (come detto) raccontando come
l’autrice intende lo scrivere, il suo scrivere, il suo regalarsi in modo “più
probabile che non” ai suoi lettori.
Bologna, 15/02/2018
Cinzia Demi
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