Bruno Bartoletti, Ma i veri viaggiatori partono per partire, Youcanprint, 2018, pp. 150.
Nota di lettura di Ugo Perniola (Pordenone)
Carissimo prof. Bartoletti,
ho letto con piacere la recente fatica. La personale impressione è che un poeta è tale per sempre.
Non si può scrollare un’ipoteca di vita solo variando il genere. La narrazione mette a nudo il paradosso di un viaggio che mima quello del palloncino che il caso muove eternamente, un viaggio senza un perché, un desiderio di eguagliare le forme e il flusso delle nuvole, al riparo del hic et nunc, soggetto alla conflittualità che ci fa scoprire il nulla connesso al vivere quotidiano.
Tramonti, il protagonista, è tutto questo. Un letterato che si ritrova a contatto con le sole parole. Fra i fogli sparsi un grande quaderno con l’inizio di una storia personale che riporta a ritroso l’odore acre dello zolfo della granata e lo sforzo sovrumano della risalita nel groviglio del terriccio, impedito da un corpo bocconi che si spegne in un lamento sordo.
Impossibile la prosecuzione dell’abbozzo. La forza dell’idea s’arena nell’oscurità della malinconia, lo stigma pregnante dei poeti. A Tramonti si addice l’odore salso delle marine, il contatto un po’ macchiaiolo con minute figure di adolescenti o di coppiette che transitano nel bagnasciuga, l’incombenza dei gabbiani (una vera ossessione nel riquadro paesaggistico), le barche arenate, le navi all’orizzonte, il mitico faro, compagni consueti della passeggiata mattutina. Le ansie e le inquietudini del collegio, la cattiva educazione ricevuta, le vicende e i lutti familiari, le vicissitudini della guerra, dei compagni di studio, l’abbandono del paese e la vita professionale subiscono il background del poeta che è in lui. Le cose narrate si sostanziano nel riflusso della natura, nella poesia che è nell’aria, nelle acque, nelle cose, nelle persone che transitano.
Quando al “mattino” Tramonti parte “col cervello in fiamme/ e il cuore gonfio di rancori e amari desideri,/ se ne va” cullando il ritmo delle onde/ sul finito dei mari il nostro infinito”. Un infinito apparente e passeggero che imbattutosi nella verità della poesia, consolidata dalle lunghe letture, si dà per vinto e si abbandona “all’inerzia”, come peraltro lo era stato per Cechov, all’idea che “tutti i libri letti sarebbero stati dimenticati come spazzatura, inutili e vuoti”. L’apparente inutilità della musa alla fine vince sul racconto. I cinquantasei rimandi letterari nell’opera sono la resa a una verità che non conosce la tignola, la morte.
Le mie riflessioni, sia ben chiaro, non intendono menomare la tua capacità di impalcare il racconto e di consegnare al lettore un verosimile personaggio (o meglio il suo autore), ma di saper tratteggiare anche nello sviluppo di una trama il correlato vero della tua natura eminentemente poetica che ha fatto i conti con le conclusioni della letteratura preminente occidentale.
Accetta le riflessioni di un vecchio amico a cui hai restituito per qualche ora lo stato di grazia.
Con viva cordialità,
Nota di lettura di Ugo Perniola (Pordenone)
Carissimo prof. Bartoletti,
ho letto con piacere la recente fatica. La personale impressione è che un poeta è tale per sempre.
Non si può scrollare un’ipoteca di vita solo variando il genere. La narrazione mette a nudo il paradosso di un viaggio che mima quello del palloncino che il caso muove eternamente, un viaggio senza un perché, un desiderio di eguagliare le forme e il flusso delle nuvole, al riparo del hic et nunc, soggetto alla conflittualità che ci fa scoprire il nulla connesso al vivere quotidiano.
Tramonti, il protagonista, è tutto questo. Un letterato che si ritrova a contatto con le sole parole. Fra i fogli sparsi un grande quaderno con l’inizio di una storia personale che riporta a ritroso l’odore acre dello zolfo della granata e lo sforzo sovrumano della risalita nel groviglio del terriccio, impedito da un corpo bocconi che si spegne in un lamento sordo.
Impossibile la prosecuzione dell’abbozzo. La forza dell’idea s’arena nell’oscurità della malinconia, lo stigma pregnante dei poeti. A Tramonti si addice l’odore salso delle marine, il contatto un po’ macchiaiolo con minute figure di adolescenti o di coppiette che transitano nel bagnasciuga, l’incombenza dei gabbiani (una vera ossessione nel riquadro paesaggistico), le barche arenate, le navi all’orizzonte, il mitico faro, compagni consueti della passeggiata mattutina. Le ansie e le inquietudini del collegio, la cattiva educazione ricevuta, le vicende e i lutti familiari, le vicissitudini della guerra, dei compagni di studio, l’abbandono del paese e la vita professionale subiscono il background del poeta che è in lui. Le cose narrate si sostanziano nel riflusso della natura, nella poesia che è nell’aria, nelle acque, nelle cose, nelle persone che transitano.
Quando al “mattino” Tramonti parte “col cervello in fiamme/ e il cuore gonfio di rancori e amari desideri,/ se ne va” cullando il ritmo delle onde/ sul finito dei mari il nostro infinito”. Un infinito apparente e passeggero che imbattutosi nella verità della poesia, consolidata dalle lunghe letture, si dà per vinto e si abbandona “all’inerzia”, come peraltro lo era stato per Cechov, all’idea che “tutti i libri letti sarebbero stati dimenticati come spazzatura, inutili e vuoti”. L’apparente inutilità della musa alla fine vince sul racconto. I cinquantasei rimandi letterari nell’opera sono la resa a una verità che non conosce la tignola, la morte.
Le mie riflessioni, sia ben chiaro, non intendono menomare la tua capacità di impalcare il racconto e di consegnare al lettore un verosimile personaggio (o meglio il suo autore), ma di saper tratteggiare anche nello sviluppo di una trama il correlato vero della tua natura eminentemente poetica che ha fatto i conti con le conclusioni della letteratura preminente occidentale.
Accetta le riflessioni di un vecchio amico a cui hai restituito per qualche ora lo stato di grazia.
Con viva cordialità,
Ugo Perniola
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