giovedì 26 luglio 2018

Intervista a Giovanna Passigato, autrice di "Storie di Nueva Tijuana"

Domande di Bianca Toni a Giovanna Passigato




1) Perché ha scelto di ambientare i suoi racconti nel Messico, una terra tanto lontana?

Mio figlio negli anni ’90, assieme a degli artisti della c.d. “scuola bolognese del fumetto”, aveva fondato a quel tempo una rivista di comics il cui il titolo era “Fuego”. Le varie storie erano tutte ambientate nel Messico, paese che nell’immaginario rappresenta la quintessenza del mélo, accompagnato spesso anche dal grottesco. Evidentemente quella era la loro “cifra”. Fu inventata da loro anche la città immaginaria di Nueva Tijuana, che sorgeva sulle rovine dell’autentica Tijuana. Io, che collaboravo col gruppo con lavori di “bassa manovalanza”, tipo pulizia delle tavole, contabilità, lettere al direttore, ecc., mi feci prendere dal clima, e quelle storie nacquero quasi di getto. Si trattava dei miei primi lavori in prosa, infatti venivo dalla poesia esercitata sporadicamente, e con risultati molto alterni.
Non pensavo di aver scritto chissà che quando mi trovai finalista al prestigioso Premio Calvino.
Da allora non ho più smesso, anche se da allora ho sempre scritto storie totalmente diverse. 


2) I personaggi dei suoi racconti e le storie stesse sono particolari, hanno personalità… quando scrive prende spunto da persone e vicende che conosce o è tutto frutto della sua fantasia?

Domanda antica quanto è antica la letteratura. Nessun personaggio assomiglia a qualcuno che io conosca  e nemmeno le vicende. Però non c’è mai niente di nuovo nelle storie del mondo, sono sempre quelle, direi che non le storie ma i temi sono eterni: amore, odio, dimenticanza, malinconia, la morte e il desiderio, ecc., bisogna solo coglierle quando te le suggerisce il vento. Oppure una parola sentita da lontano, una musica, un sogno. Per esempio, Guardia all’infanta e Il Giardino italiano sono nate proprio da due sogni. Naturalmente tutto questo è soggettivo!


3) Le conclusioni sono spesso tragiche oppure si ha un ritorno allo stato iniziale: come si deve interpretare la malinconia e l’amaro dei desideri insoddisfatti che emergono dai suoi racconti?

La malinconia e l’amaro: beh, la vita è proprio così, io non credo negli happy end, che se ci sono durano pochissimo. Per natura io sono una pessimista “felice”, per così dire: non mi aspetto niente dal mondo, e quando arriva qualcosa di buono o di belle (Platone direbbe che è la stessa cosa) io mi stupisco e so coglierlo (questa è un’arte davvero difficile) e ne gioisco forse più di tanti altri.


interpretazione della copertina

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