Di Daniele Borghi
Recensione di Ilaria Brandi
“Guardati intorno. C'è un sacco di
gente che spreca il tempo pensando che non finirà mai. Tutti sperano
in qualcosa che non sanno neanche che è, o in un colpo di fortuna
che li tiri fuori da tutta sta merda. Il Superenalotto, una lotteria
o qualsiasi altra cazzata del genere. Certo, può succedere, ma io
non ho mai conosciuto qualcuno che si sia risolto la vita così.”
Non è un libro che fatica a farsi amare:
la trama è interessante, i personaggi ben costruiti, il ritmo
scorrevole. Quello che stupisce davvero sono i dialoghi e l'uso del
linguaggio. Infatti, essendo i protagonisti ragazzini cresciuti nella
periferia romana, troviamo una parlata strettamente dialettale, un
maltrattamento della lingua, in realtà, alternato a un italiano
efficiente e formale, che comunque mantiene la spontaneità dei
giovani che lo parlano.
La trama: otto adolescenti, un'estate
afosa, niente da fare. Quando vengono invitati a lavorare per un
ignoto magnate in un'attività molto probabilmente illegale, questi
ragazzini, ognuno con i suoi problemi ( Accaivù che è
sieropositivo, Dienneà che a venticinque anni ancora non ha un
lavoro e neanche lo vuole) e i suoi difetti ( Pinocchio che non ha
mai detto la verità in vita sua, Candito che mangia troppo per il
suo stesso bene), ma, tutti caratterizzati da una particolare e
storpiata etica morale che non esclude furti e ricatti, decidono di
approfittarne. Hanno un piano, che può non sembrare particolarmente
realizzabile, ma hanno anche un vantaggio, cioè che per tutta la
loro vita (non molto lunga) sono stati sottovalutati.
Raggiungono il loro scopo ? Non
importa. Importa come ci provano sfruttando tutti gli strumenti che
hanno a portata di mano.
Otto ragazzini con la lingua lunga
imparano ad affilarla.
Tutto qui.
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