lunedì 27 febbraio 2017

News da Adele Desideri

Gentili lettori, segnalo quanto segue:

*Recensione di Giuseppe Marchetti al romanzo di Adele Desideri La figlia della memoria (Moretti&Vitali 2016, prefazione di Davide Rondoni, nota critica di Franco Loi), ne la Gazzetta di Parma, 17 febbraio 2017. 



*La poesia 31 ottobre, Merzò (tratta da Stelle a Merzò, Moretti&Vitali 2013, postfazione di Paolo Lagazzi), tradotta in francese dagli studenti del Master 1-2 Traduction Littéraire et Édition Critique de l'Université Lumière Lyon II, a cura della docente Sandra Bindel, è stata pubblicata in Lichen Revue de poésie, n° 11, février 2017,
http://lichen-poesie.blogspot.it/p/adele-desideri.html , febbraio 2017

*Cinquanta foglie. Tanka giapponesi e italiani in dialogo. A cura di Paolo Lagazzi, traduzioni di Yasuko Matsumoto, Ikuko Sagiyama e Yasuko Tatsumura, tavole di Satoshi Hirose e Daniela Tomerini. (Moretti&Vitali 2016).

Recensione di Ugo Piscopo, ne il Quotidiano del Sud, rubrica La domenica de il Quotidiano, Cultura&Spettacoli, 29 gennaio 2017, pag. 13. 






*Recensione a Carlos Sánchez, Continuerò a cantare, Lìbrati, 2015, in Capoverso, rivista di scritture poetiche, n. 32, luglio-dicembre 2016, Edizioni Alimena – Orizzonti Meridionali, 2016. 



Carlos Sánchez, Continuerò a cantare, Lìbrati, 2015, pag. 133, euro 12

Continuerò a cantare - la più recente raccolta poetica di Carlos Sánchez, come già le precedenti, scritta dall’autore in versione italiana e spagnola - dà voce a un malinconico inno alla vita, e della vita riconosce le fatiche del corpo, gli spasmi delle emozioni, gli afflati dello spirito.
Con un dettato sinuoso - il cui ritmo ricorda quello lento, semplice e complesso al tempo stesso, delle maree - Sánchez affronta i temi critici dell’esistenza, e ne rivela il senso per mezzo di metafore singolari. I versi si snodano docili lungo la pagina, mentre i suoni, i significati, le parole penetrano - quasi dessero forma ad un mantra - nell’animo del lettore.
Sánchez è nato a Buenos Aires nel 1942, è cittadino italiano da molti anni. È stato consulente ed esperto in comunicazione sociale per differenti organismi delle Nazioni Unite e della cooperazione internazionale. Nei suoi libri, i riferimenti alla storia e alla politica sono consistenti.
A volte appaiono tramite la messa in scena di una fotografia (grande passione, e mestiere amato, per Sánchez, la fotografia) che - nei colori ormai sbiaditi e negli orli slabbrati della carta - riconduce alla memoria esperienze, incontri, preziosi dialoghi: “Caro Jurij Gagarin/ quel 12 aprile del 1961/ io festeggiai il tuo nome/ e nella tua foto di motociclista/ - abbastanza ingiallita -/ sento quella vibrazione/ un po’ atea/ di ammirazione/ di immensità.//”.
Altre volte, invece, la riflessione sulle intemperie sociali - mosse dall’ingiustizia e dalla corruzione dilaganti - genera una partitura segnata da morbide cadenze e tonalità soffuse d’amarezza: “No, oggi non canto/ mi pesa la cieca tecnocrazia italiana/ mi morde la giustizialista Argentina/ il fratricidio siriano/ presenziato dalle Nazioni Unite/ mi fa a pezzi l’olocausto di Gaza./ So bene che è solo/ un pezzo piccolo di mondo./ (…)/No, oggi non canto.//”.
Il mal di vivere epocale, infatti, corrode il poeta. Egli è inevitabilmente portato a percepirsi “diverso” rispetto alle miriadi di persone che - incapaci di accorgersi in quale trappola esistenziale il consumismo globalizzato e tecnocratico li ha ingabbiati - credono di essere ricchi e soddisfatti, molto trendy, ma si rifugiano, in realtà, in un vuoto, ingannevole presenzialismo, indotto - nei modi e nelle scansioni orarie - da oscure forze finanziarie internazionali: “Vivo in un mondo folle/ dove la mia pazzia/ passa inosservata/ tra tante pazzie./ Nel manicomio/ le ideologie sono morte/ dicono i dottori/ i laboratori farmaceutici/ producono tranquillanti/ per curare qualsiasi barlume/ di libertà./ Così si calma il sistema/ si democratizza la rassegnazione./ Gli dèi seduti/ in una nuvola immensa/ non si danno pace/ e cercano senza consolazione/ di scoprire/ dove sia stato l’errore.//”.
Sánchez, inoltre, conosce bene la sofferta bipolarità del sentirsi gettati nel mondo, la contraddizione dell’essere carne e spirito, l’antinomia della memoria individuale e collettiva. La lacerazione interiore, insomma, che scuote i cuori davvero sensibili e può soffocare l’esistenza, oppure renderle merito: se “il passato è/ una maledetta droga./”, talvolta è necessario “(…) ammutolire i sentimenti.//”, per potere affrontare ancora le albe - dopo i tramonti. E se alcuni affetti sono perduti, ne resta indelebile la traccia; non ne è svanito il ricordo, con il suo carico di crepuscolare emotività: “Una corda senza nodo/ (…)/ una carezza senza mano/ una resurrezione senza morte./ Così gli amici nuotano/ nel mio bicchiere di vino.//”.
Nemmeno la morte li ha annullati: “con la tua morte Clide/ e altre morti/ che si sono succedute/ fumando una sigaretta/ ti scrivo.//”.
La consolazione della scrittura è una certezza, ma non esime l’autore dalle proprie responsabilità, anche spicciole. Nelle faccende di tutti i giorni, seriali e fastidiose, si cela, per l’artista, una possibile - non duratura - via salvifica di fuga: “La vita che ho scelto/ passeggia per la casa/ accarezza le foto e i libri./ Ogni tanto una piuma nera/ cade sul terrazzo/ sui fiori./ Che voli che voli.//”.
Perché Sánchez è un uomo, un padre, un nonno, un cittadino simile a tanti altri - con una marcia, però, in più, quella della poesia: “Un buon calzolaio/ protegge i suoi attrezzi/ e tratta con saggezza i cuoi/ un buon panettiere/ prepara i suoi ingredienti/ e mette il forno a temperatura/ un buon poeta/ lavora le sue parole/ (…)/ Paga la bolletta della luce/ il telefono/ traffica in cucina/”.
Sánchez è come il vino: gli anni che passano lo rendono sempre più virtuoso. La sua saggezza sa attendere, sa vedere oltre, sa intuire nella disillusione la perla rara, nel dolore il tesoro da non sciupare, nella gioia la pregiata conchiglia, nascosta troppo a lungo nei marini abissi: “La mia gioventù/ è migliorata molto con gli anni/ (…)/ Ogni tanto mi trattengo e guardo/ ho imparato a guardare.//”.
Il sentimento del divino, può essere - forse - una lente di ingrandimento valida per comprendere l’animo dell’uomo: “Un dio vendicatore/ mi accompagna dall’infanzia/ mi vede dove altri non mi vedono/ dove io non mi guardo/ non so a cosa gli serva spiarmi/ se dopo non risponde/ (…)/ Non sarà/ che alla fine/ lui avrà il mio volto?//”.
Eppure, l’enigma dell’infinito, dell’assoluto, del trascendente si manifesta solo nell’effimera e prodigiosa “(…) scoperta dell’istante/ che completa la balbuzie del (…) canto.//”.
Per continuare, comunque, a vivere. Per continuare, appunto, a cantare

Adele Desideri




*Segnalo il corposo volume di Letizia Lanza, Donne e società. Genealogia di genere ai tempi della serenissima, Aracne, 2014.
Ricco di testimonianze antiche e moderne, articolato in due parti e con un intermezzo sullo sguardo maschile, il volume offre, tra luci e ombre, una panoramica ampia e aggiornata della presenza femminile nei lunghi secoli della Serenissima Repubblica.
La prima parte propone uno spaccato della società lagunare nella varietà dei suoi aspetti, continuamente attraversata da donne di ogni età, estrazione, tipologia; la seconda presenta un’affollata galleria di ritratti in cui rifulgono le più autorevoli protagoniste della cultura, dell’arte, della giocondità salottiera.
Un testo fondamentale sulla caleidoscopica venezianità muliebre, dalle lontane origini agli ultimi bagliori del Settecento.


*Link della registrazione della presentazione di Stelle a Merzò di Adele Desideri (Moretti&Vitali 2013, postfazione di Paolo Lagazzi, quarta di copertina di Tomaso Kemeny, disegno di copertina di Daniela Tomerini)
Relatori Paolo Lagazzi, Tomaso Kemeny, Francesco Napoli, Alberto Sinigaglia, Accompagnamento musicale del maestro Emanuele Pegorari
13 novembre 2013, Sala del Grechetto, Palazzo Sormani, via Francesco Sforza 7, Milano
In
https://www.youtube.com/watch?v=lhAS-dabVbo <https://www.youtube.com/watch?v=lhAS-dabVbo> , a cura di Giovanni D’Ammassa


*Infine, last but non list, La Gravidanza della Terra. Antologia di poesia rurale, a cura di Daniela Marcheschi, Olio Officina, 2017
La Gravidanza della Terra è stata allestita con l’intento di riportare sulla campagna l’attenzione dei poeti italiani ed europei: il lettore troverà qui anche versi di autori croati, francesi, portoghesi, rumeni, svedesi e svizzeri. Questa antologia ha cioè inteso proporre loro l’idea di rifare in qualche modo i conti con ciò che, nel Ventunesimo secolo, può essere e significare la vita rurale (…). Mutano i tempi, e i fenomeni sociali ed economici di industrializzazione e post-industrializzazione – nella loro sostanza multiforme e nelle loro conseguenze – si presentano ora in maniera assai più articolata, inconsueta. Ciò vale anche per altri fenomeni e aspetti che, per meri pregiudizi ideologici o pigrizia, sono stati sovente relegati all’ambito di residuo del passato. Ma a torto: è un fatto che oggi il settore agricolo sia in grado di trainare di nuovo l’economia. Ciò impone un ripensamento critico su differenti piani: sociologico, economico, storico o culturale in senso lato. Una simile riflessione la si deve pretendere anche in poesia, che non può ritenersi un giardino chiuso, uno spazio ripiegato esclusivamente su un soggettivismo esasperato, sulle limitate ragioni di un io ipertrofico, pertanto immune dalle lacerazioni o dagli interrogativi dell’esistenza comune e della cultura (…). Abbiamo cercato di stare il più possibile lontani dalle tentazioni dell’idillio, dal richiamo della campagna come rifugio, quasi astorico, per una borghesia che si sente comunque superiore ai contadini o alle classi ancora legate alla terra. Come se oggi la campagna fosse ancora quella di secoli fa, pochissimo o nulla meccanizzata, non industrializzata, quindi sospesa in una dimensione priva di consistenza. Abbiamo tentato di evitare le nostalgie arcadiche, connesse a una vecchia concezione della Storia reputata un Assoluto, con le maiuscole appunto, quindi astrattamente: una Storia che accerchia o annienta la Natura, allo stesso modo considerata un Assoluto (…). Questo non significa sottovalutare le gravi questioni connesse ad esempio alla produzione dei beni alimentai, fatti oggetto di un attacco economicistico senza pari; connesse all’ecologia, all’urgenza di salvaguardare le acque, l’aria, la campagna – il pianeta intero, come casa prima e una dell’essere umano (…). Non a caso La Gravidanza della Terra è un’antologia a tema, la prima del genere rurale in Italia e, forse, non solo. Ampliare il ventaglio degli autori e delle poesie rappresentate ha inteso essere un modo per cedere meglio le molte sfaccettature di una realtà problematica tutta da inventare, scoprire e ricreare. La condivisione di un invito a rimboccarci le maniche e tornare a coltivare la terra fertile delle idee poetiche. Fra tanti, ci sarà sicuramente qualcuno che, nel tracciate il solco, nell’arareil campo, riuscirà appunto a fare cultura nell’accezione originaria della parola: e, così, nuova poesia. (Dalla prefazione di Daniela Marcheschi)

*E poi, ancora, presentazione de La figlia della memoria (Moretti&Vitali 2016, prefazione di Davide Rondoni, nota critica di Franco Loi), presso l’ISIS Andrea Ponti, Piazza Giovine Italia 3, Gallarate, 6 aprile 2017, ore 20.30, a cura di Annitta Di Minneo



Nicola
Barbagia, dicembre 2006

“Il ceppo è il mio maestro. Mi suggerisce
l’ora della potatura, quando la pianta
ancora dorme. A marzo le prime
gemme, ad aprile i grappoli.
A giugno, gli impollinati fioriscono.

È l’allegagione - conosco il mio tempo”.

Gravidanza del contadino - la sua terra.
 
(Adele Desideri, dalla raccolta inedita L’eremo dei pensieri sospesi)


Adele Desideri

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