martedì 11 novembre 2014

Su Dove sta andando il mio italiano? 2


AA.VV. Dove sta andando il mio italiano ? Fara 2014

di Vincenzo D'Alessio

L’incontro tra poeti, scrittori, musicisti, che la casa editrice Fara di Rimini promuove, è materia magmatica effusa nell’energia vitale nascosta in ogni partecipante che si rivela attraverso l’uso della parola: magico suono che, dal silenzio contenuto nella mente del soggetto, rivela tutto il calore, la sofferenza, la gioia, nella condivisione umana. La poesia permette al poeta di riconoscersi nella lingua utilizzata, nell’uso che ne fa, nell’anagogia che sprigionano i versi verso chi ascolta.
Il contributo offerto dalla poeta Enrica Paola Musio reca come chiave d’accesso a questo difficile passaggio il provocatorio titolo: “Non capisco mai bene l’italiano” ed è collocato nell’Antologia: Dove sta andando il mio italiano?, resoconto della kermesse tenutasi a “Fonte Avellana” dal 20 al 22 giugno di quest’anno. Il convento camaldolese è per antonomasia luogo ascetico e di preghiera. Quanta forza ispiratrice evoca nei partecipanti è difficile stabilirlo dai soli contributi raccolti in Antologia: gran parte delle emozioni, dei turbamenti spirituali, delle purificazioni interiori, restano patrimonio delle singole coscienze.
Le diciassette poesie che compongono il contributo della Musio trasmettono al lettore un profondo senso di smarrimento esistenziale: Madre Natura, gli animali, gli oggetti, i luoghi, i contemporanei, sono soggetti alla sofferenza,all’inganno, alle costrizioni: “(…) la nostra mamma natura che vive / nel mondo del tutto / o del niente” (Come una mamma, pag. 105); “(…) oggetti naturali / nella loro esistenza irreprensibile / verso un inganno organizzato / un silenzio solenne / fosse una vita precisa” (Fosse una vita, pag. 107) ; “(…) lo sguardo di qualcuno / che scivola nel buio / la messa stanca del prete senza fede / tanta voglia di parlare” (Come un prete senza fede, pag. 109).
Lo smarrimento della poeta è l’interrogativo che l’Umanità si pone da millenni, ancor prima della venuta di Gesù Cristo: l’angoscia con la quale il reale distrugge la passione per una vita sincera, in comunione con il prossimo, vissuta con la dignità quale abito esemplare e immutato del percorso esistenziale. In tutte le composizioni poetiche si affaccia il tema del comprendere attraverso la parola: “La parola più importante / è quella ancorata a terra / detta a bassa voce / come un sussurro impercettibile” (La parola più importante, pag. 110). La parola che dovrebbe declinare l’aspirazione sincera e singolare della Musio: “Mi addormentavo con le favole fantastiche / trovavo un mondo tutto mio / mi sembrava un bel gioco / mi faceva tanta compagnia / (…) non sapevo dei dolori / delle difficoltà / della poesia / parlavo con i miei angeli custodi” (Nella memoria della giostra, pag. 111).
Una poetica, questa della Nostra, intinta di soggettività: versi leggeri che si legano anche con delle rime, anafore, dediche, come quella per il corridore Marco Pantani considerato “unico e grande mito” nella quale la poeta intesse un dialogo affettivo che chiude con il verso: “Marco ora riposa, chiudi gli occhi” (pag. 108) quasi a voler placare nella dolcezza di un sonno ristoratore il dolore della grande perdita.
La Speranza c’è ed è autenticamente cercata nella Fede, con le incertezze e le cadute che l’esistenza impone anche contro la volontà della poeta: “(…) nella estensione di una perfezione fuggevole / dentro me traccia faticosamente / i percorsi di un sogno e la luce si addensa / su un indecifrabile futuro” (Fosse una vita, pag. 107).

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