lunedì 13 ottobre 2014

Fattitaliani.it intervista Rosamaria Rita Lombardo (che ci svela la tomba di Minosse in terra di Sicilia)

intervista di Alvise Campostrini pubblicata in www.fattitaliani.it/2014/10/la-storia-ritrovata-nel-mito-intervista.html

La storia ritrovata nel mito. Intervista a Rosamaria Rita Lombardo, autrice de L'ultima dimora del Re che svela la tomba di Minosse

Tutto imperniato sull'appassionante e suggestiva indagine della mitica sepoltura di un re tra le viscere di Monte Guastanella in Sicilia, il saggio storico-archeologico dalla peculiare valenza anche etno-antropologica pubblicato da Fara Editore L'ultima dimora del Re. Una millenaria narrazione siciliana “svela” la tomba di Minosse di Rosamaria Rita Lombardo (pagg. 112, €14,00), illustra e motiva l'ipotesi sensazionale che tale sito possa essere il vero luogo di sepoltura del mitico re cretese Minosse in Sicilia.
L'autrice, di origini siciliane, archeologa, ricercatrice e docente liceale, laureata all'Università Statale di Milano in Lettere classiche-indirizzo archeologico, sostiene con forza, passione e determinazione, dopo anni fecondi di studio di tradizioni scritte ed orali con indagini archeologiche sul campo, simile sbalorditiva ipotesi archeologica. Ad avvalorare quest'ultima sembrerebbero concorrere sia i dati forniti dalle fonti storiche sul triste epilogo dell'avventura del re Minosse in Sicilia (Erodoto, Aristotele, Diodoro Siculo, Eraclide Lembo, Strabone, Lico etc.) sia quelli emergenti dall'indagine autoptica, topografica, toponomastica ed idrografica effettuata sul territorio in questione, oggetto inoltre di una preziosissima memoria popolare raccolta e verificata direttamente dall'autrice in ambito familiare ed in loco (“Il re Mini-Minosse è sepolto nella montagna di Guastanella. È tutto pieno d'oro e quando lo scoprono egli diventa un capro d'oro e uno degli scopritori dovrà sacrificare la propria vita”) che conclude il libro con queste significative parole: “Il futuro per tutti noi - ne sono fermamente convinta - ha un cuore antico”. Incontriamo Rosamaria Rita Lombardo nel corso del tour estivo di presentazione e promozione in Sicilia del suo libro finalizzato precipuamente a calamitare l'attenzione del mondo accademico e scientifico, oltre che quello del pubblico dei lettori, sull’ipotesi archeologica di cui sopra cui possa far seguito, questo è l'auspicio e l'intento dell'autrice, l'attivazione, sotto la sua egida, di una sistematica campagna di scavi che possa suffragare o meno la fondatezza della medesima.  


L'intervista
Quale rilevanza può assumere in ambito storico-archeologico il frutto del suo studio e che ruolo ha giocato il dato mitico, unito alla trasmissione orale del medesimo, nella conduzione della sua ricerca? 
Ritengo, in verità, che la portata di questa mia ricerca in campo storico-archeologico possa rivelarsi una “pietra miliare “sotto diversi aspetti. La possibile identificazione, da me avanzata, del tempio-sepolcro del re Minosse con l'insediamento ubicato sul monte Guastanella, monte ancora in gran parte di mia proprietà dell’agrigentino, credo difatti possa rivoluzionare sul piano storico, se accreditata e convalidata come ipotesi dall’avallo scientifico ed accademico conseguente ad una seria campagna di scavi che auspico e caldeggio con la mia opera, il panorama dei contatti e dei rapporti in antico tra Grecia e Sikania, anticipandoli di diversi secoli (XVI-XIII sec. a.C.) rispetto a quelli assodati della colonizzazione greca d’età storica (VIII sec. a.C.), nonché sul piano filologico-letterario possa servire a riconoscere, in maniera incontrovertibile, piena veridicità storica ai miti antichi e alla loro trasmissione orale conservatasi, come nel nostro caso, miracolosamente immutata nei millenni. A questo titolo va sottolineato che il dato mitico, tràdito oralmente e corroborato dai dati materiali, “archeologici”, è uno degli elementi di cui chi si occupa di storia (e l'archeologo è in primis uno storico e non un mero classificatore di cocci!), come ben sostiene persino lo stesso Tucidide, può avvalersi per ricostruire epoche per le quali non esistono fonti scritte. Anzi la trasmissione orale del mito può trovare forma nella riesumazione di prove storiche oggettive acquisite mediante un capillare e rigoroso studio scientifico ed archeologico. Il mito pertanto merita sovente, a mio avviso, di far parte a pieno titolo della Storia e costituire illuminante elemento spia e guida, come lo è stato per me, nella conduzione della ricerca archeologica. Mi sia consentito dissentire quindi a tal riguardo, da classicista, dalle posizioni rappresentate dalla scuola di pensiero tradizionale e storica sul Mito e da una certa ortodossia accademica che, con aprioristica diffidenza verso di esso, davanti ad ipotesi quale la mia o similari “si straccia le vesti” e si rifiuta, con l'accusa di “sensazionalismo archeologico” o ingenuità di ricerca, di riconoscere, laddove si manifesti patente, la convergenza fra l'evidenza archeologica ed i motivi mitico-leggendari, ciò pur di non mettere in discussione il tabù fondatore di una certa storiografia classica: tutto è falso, niente è vero nel dato mitico. Come potrebbe difatti un ricercatore “sensato e serio” ritenere che Minosse sia un personaggio realmente esistito? Quando autorevoli storici, fra cui lo stesso Tucidide, lo menzionano non intendono certo riferirsi ad una figura storica! O forse no? A questo titolo esiste però, a mio avviso, un modo di esprimere il singolare in funzione di popolo, di comunità e ancor più di esseri che possono esser compresi in quel significato: una sorta di uso del singolare collettivo. Quindi Minosse avrebbe forse senso come popolo minoico? La domanda rimane aperta per tutti coloro i quali manifestano perplessità e riserve in merito alla storicità di una figura quale quella del sovrano minoico, come di altre figure mitiche, annosa e spinosa querelle fra archeologi, storici, filologi ed antropologi di questi secoli, ed alla sensatezza del parlare della sua “vera” tomba su monte Guastanella. Personalmente a questo riguardo forte è per me la tentazione di fare mia la celebre affermazione del poeta Pindaro, tramandataci da Erodoto, che tanto ha ispirato e guidato le mie ricerche: “Un fatto muore quando nessuno più lo racconta”. A me è toccato in sorte di raccogliere e registrare un racconto, una memoria aedica mai morta nel volger dei millenni proprio perché riferentesi, a mio modesto modo di vedere, non ad una semplice tradizione riportata dalla fonti classiche, concepita ad hoc e costruita ex post dai Sicelioti per nobilitare e legittimare la presenza degli Elleni venuti in età storica a colonizzare la Sicilia, ma ad un fatto realmente accaduto, sia esso la morte di Minosse in Sicilia con conseguente sepoltura in loco, oppure la presenza minoico-micenea in antico nell'isola di Trinacria, come testimoniano i risultati delle ricerche condotte da eminenti archeologi quali P. Orsi, B. Pace, G. Pugliese Carratelli e L. Bernabò Brea, l'attestazione figurativa della saga del re Minosse in Sicilia da me individuata, secondo una personale esegesi interpretativa, nell'anfora cipriota Hubbard dell'VIII sec. a.C. (vedi appendice del mio libro), nonché risultanze ed esiti di altri studi da me condotti in zona su persistenze di riti, cibi e danze di matrice cretese che mi riservo a breve di pubblicare. Va ricordato a tale titolo che l'identificazione di molti siti da parte del mio indimenticabile Professor Orlandini – vedi fra tutti il Thesmoforion di Bitalemi in quel di Gela negli anni Sessanta – è scaturita, prima che dall'effettuazione degli scavi veri e propri, da indagini toponomastiche, memorie folcloriche e persistenze di culti antichi pagani in analoghi culti moderni cristiani. Si fa riferimento altresì ad analogo procedere nella conduzione degli scavi da parte della professoressa Zancani Montuoro (1934-1940) in quel di Paestum alla ricerca del santuario di Hera Argiva (Heraion alla foce del Sele di memoria straboniana / Santuario della Madonna del Granato di Capaccio). Io, in verità, provengo da questa scuola di pensiero e di ricerca, appartengo a questa formazione scientifica, aperta, poliedrica, a trecentosessanta gradi, dei miei Maestri, gli esimi professori Pietro Orlandini, Dinu Adamesteanu, Dario Del Corno, Momolina Marconi, Paul Faure, e oggi lo stesso Andrea Carandini, che di recente ha scoperto sul Palatino le mura romulee, “arrendendosi” al dato mitico, per i quali il mito è “storia sacra “ e quindi “storia vera” perché, come ben sostiene Mircea Eliade, si riferisce sempre a delle realtà in qualche modo attendibili storicamente. Esso difatti ha sempre in nuce, a mio modo di vedere, una sua veridicità storica ed affonda le sue radici nella Storia. Anzi, per dirla con le parole di Mario Zoli, “il mito è la storia scritta una volta per sempre”, anche se talora, e qui cito il mio compianto professore Dario Del Corno “la mitologia è paragonabile ad un labirinto di cui sembra essersi smarrito irrimediabilmente l'ingresso”. Quindi la memoria mitica della sepoltura di un re dal nome “Mini Minosse” nei più segreti recessi della mia montagna, memoria questa, non so per quale arcano disegno della Moira, tramandatami sin dalla mia fanciullezza da mio padre, “aedo” moderno e inconsapevole custode di una verità appartenente al tempo “aionico” del mito, unita alla sorprendente concordanza dei dati forniti dalle fonti storiche sul triste epilogo dell’avventura del re Minosse in Sicilia con quelli emersi dall’indagine autoptica, topografica, toponomastica, idrografica e folklorica da me effettuata sul territorio in questione, indurrebbe ad avvalorare, sfidando acquisizioni, anche di prestigio, considerate certe e incontrovertibili (ma in ogni cosa è salutare, di tanto in tanto – come ben ci insegna il celeberrimo e da me amatissimo aforisma di Bertrand Russell – mettere un punto interrogativo a ciò che a lungo si era dato per scontato!), la suggestiva ipotesi archeologica avanzata e a considerare l’identificazione della fortezza dedalica di Camico e del tempio-sepolcro del talassocrate cretese col sito di mia proprietà, altamente probabile nell'ambito di un quadro identificativo della stessa ancora oggi, a mio avviso, controverso e problematico. 
Quale fine, secondo le fonti storiografiche, incontrò Minosse in Sicilia? 
Minosse è il protagonista indiscusso della tradizione storiografica sulla saga infausta cretese in Sicilia nonché della narrazione “aedica” da cui sono scaturite tutte le ricerche e indagini esposte e illustrate nel mio saggio. Primo grande talassocrate cretese, Minosse, re di Cnosso figlio di Zeus ed Europa, trovò la morte in Sicilia a Camico, nell’inseguire Dedalo colà rifugiatosi quale ospite dal re indigeno sicano Cocalo, che l’uccise con l'aiuto delle figlie in un bagno bollente. Il suo corpo fu dai compagni che lo avevano seguito nella spedizione punitiva sepolto con grande pompa nell’isola. Quest’ultimi difatti, come narra la fonte diodorea, “costruirono un doppio sepolcro e posero le ossa nella parte nascosta, mentre in quella scoperta edificarono un tempio ad Afrodite”. Più tardi la sua tomba sarebbe stata scoperta da Terone, tiranno di Agrigento, e le spoglie trasportate a Creta, dove gli si sarebbe stato eretto un monumento sepolcrale ovvero la Temple-Tombe rinvenuta a Cnosso da Evans.
Da cosa prende avvio la sua ricerca e a cosa tende? 
Senza ombra di dubbio quella da me avanzata si configura come un’ipotesi sensazionale che prende avvio dalla caparbia convinzione, nutrita sin da quando adolescente la registrai in ambito familiare ed in loco, che la memoria mitica della sepoltura di un re dal nome “Mini Minosse” che aleggia da tempi immemorabili sul mio monte, costituisse per il carattere orale della sua trasmissione, nonché per il fatto che a tramandarla fossero degli “aedi” moderni, privi e sprovvisti di qualsivoglia conoscenza delle fonti letterarie in merito, la prova più autentica e fededegna della conservazione nei millenni della tradizione leggendaria di un evento realmente accaduto e testimoniato dalle fonti classiche. A conforto dell’ipotesi che identificherebbe il maestoso e svettante sito rupestre, pregno di arcaica e fascinosa sacertà, ubicato nelle remote e solenni campagne dell’agrigentino, con l’ultima dimora del re Minosse in terra di Sicilia di cui parla in specifico Diodoro Siculo nella Biblioteca storica concorrono e risultano elementi altamente probanti ed inoppugnabili la peculiare localizzazione geografica della rupe, i patenti caratteri minoico-micenei della rocca ivi costruita (una sorta di piccola Micene come si può evincere dalle immagini satellitari delle due rocche da me poste a confronto e qui allegate), seppur frammisti ai successivi interventi contaminatori operati in seguito dai dominatori bizantini, musulmani, normanni e svevi succedutisi nell'occupazione del sito (gli studi precedenti la mia indagine si limitano per lo più a considerare e a classificare tale insediamento come genericamente altomedievale), nonché la preziosissima memoria popolare da me raccolta e verificata direttamente in loco. Alla luce di tutto ciò, confido con forza e tenacia nella risposta di illuminati, lungimiranti e visionari accademici capaci di raccogliere la mia “provocazione” archeologica, scommettere su di essa e implicarsi con me in una seria campagna di scavi su monte Guastanella i cui esiti possano suffragare o meno la fondatezza dell'ipotesi da me avanzata che identificherebbe quest'ultimo con un sito minoico-miceneo di rilievo della Sikania agrigentina. Va precisato difatti che l'archeologia è sì scienza che si basa su dati di fatto, ma grande importanza ha in essa l'intuito unito all'illuminazione di fronte ai momenti di stallo della ricerca a causa delle aporie sinora non risolte (vexata quaestio dell'identificazione dei siti riportati dalla saga di Minosse e Cocalo). Se scavi e leggenda dovessero convergere e confermarsi a vicenda, la saga infausta di Minosse in Sicilia uscirebbe dall'ombra in cui è stata relegata per secoli e che ha alimentato una storiografia molto incerta ed accompagnata da molti punti interrogativi. 
Cosa ha in serbo in futuro per il suo pubblico di lettori? Può darci qualche anticipazione al riguardo? 
Non saprei dire: in verità, adesso come adesso, se Minosse costituisca l’inizio o la conclusione di questo memorabile “viaggio a ritroso nel tempo del Mito”. Certo è che la stessa appendice del mio libro farebbe presagire un prosieguo della storia, dai risvolti per certi versi, arcani e misteriosi. Molteplici indizi e testimonianze raccolti poi nel corso degli studi realizzati in Sicilia mi hanno spinto ad espandere il versante delle mie ricerche a particolari “relitti” folklorici (riti, danze, fiabe, canti e cunti), per il loro sostrato e la loro matrice in stretto rapporto di filiazione e derivazione dall’antica civiltà ellenica, che mi riservo di approfondire e le cui risultanze a breve pubblicare. Mio precipuo fine è difatti quello di far riaffiorare alla luce simili tracce e relitti di una Storia “ritrovata” nel Mito, convinta che un popolo senza memoria, e noi Italiani rischiamo talora di esserlo, perda la sua storia ma anche il suo futuro. 

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