intervista di Alvise Campostrini pubblicata in www.fattitaliani.it/2014/10/la-storia-ritrovata-nel-mito-intervista.html
La storia ritrovata nel mito. Intervista a Rosamaria Rita Lombardo, autrice de L'ultima dimora del Re che svela la tomba di Minosse
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Tutto imperniato sull'appassionante e suggestiva indagine della mitica
sepoltura di un re tra le viscere di Monte Guastanella in Sicilia, il
saggio storico-archeologico dalla peculiare valenza anche
etno-antropologica pubblicato da Fara Editore L'ultima dimora del Re. Una millenaria narrazione siciliana “svela” la tomba di Minosse di Rosamaria Rita Lombardo
(pagg. 112, €14,00), illustra e motiva l'ipotesi sensazionale che tale
sito possa essere il vero luogo di sepoltura del mitico re cretese
Minosse in Sicilia.
L'autrice, di origini siciliane, archeologa, ricercatrice e docente
liceale, laureata all'Università Statale di Milano in Lettere
classiche-indirizzo archeologico, sostiene con forza, passione e
determinazione, dopo anni fecondi di studio di tradizioni scritte ed
orali con indagini archeologiche sul campo, simile sbalorditiva
ipotesi archeologica.
Ad avvalorare quest'ultima sembrerebbero concorrere sia i dati forniti
dalle fonti storiche sul triste epilogo dell'avventura del re Minosse
in Sicilia (Erodoto, Aristotele, Diodoro Siculo, Eraclide Lembo,
Strabone, Lico etc.) sia quelli emergenti dall'indagine
autoptica, topografica, toponomastica ed idrografica effettuata sul
territorio in questione, oggetto inoltre di una preziosissima memoria
popolare raccolta e verificata direttamente dall'autrice in ambito
familiare ed in loco (“Il re Mini-Minosse è sepolto nella montagna di
Guastanella. È tutto pieno d'oro e quando lo scoprono egli diventa un
capro d'oro e uno degli scopritori dovrà sacrificare la propria vita”)
che conclude il libro con queste significative parole: “Il futuro per
tutti noi - ne sono fermamente convinta - ha un cuore antico”.
Incontriamo Rosamaria Rita Lombardo nel corso del tour estivo di
presentazione e promozione in Sicilia del suo libro finalizzato
precipuamente a calamitare l'attenzione del mondo accademico e
scientifico, oltre che quello del pubblico dei lettori, sull’ipotesi
archeologica di cui sopra cui possa far seguito, questo è l'auspicio e
l'intento dell'autrice, l'attivazione, sotto la sua egida, di una
sistematica campagna di scavi che possa suffragare o meno la
fondatezza della medesima.
L'intervista
Quale rilevanza può assumere in ambito storico-archeologico il
frutto del suo studio e che ruolo ha giocato il dato mitico, unito alla
trasmissione orale del medesimo, nella conduzione della sua ricerca?
Ritengo, in verità, che la portata di questa mia ricerca in campo
storico-archeologico possa rivelarsi una “pietra miliare “sotto
diversi aspetti.
La possibile identificazione, da me avanzata, del tempio-sepolcro del
re Minosse con l'insediamento ubicato sul monte Guastanella, monte
ancora in gran parte di mia proprietà dell’agrigentino, credo
difatti possa rivoluzionare sul piano storico, se accreditata e
convalidata come ipotesi dall’avallo scientifico ed accademico
conseguente ad una seria campagna di scavi che auspico e caldeggio con
la mia opera, il panorama dei contatti e dei rapporti in antico tra
Grecia e Sikania, anticipandoli di diversi secoli (XVI-XIII sec. a.C.) rispetto a quelli assodati della colonizzazione greca d’età storica (VIII sec. a.C.), nonché sul piano filologico-letterario possa
servire a riconoscere, in maniera incontrovertibile, piena veridicità
storica ai miti antichi e alla loro trasmissione orale conservatasi,
come nel nostro caso, miracolosamente immutata nei millenni.
A questo titolo va sottolineato che il dato mitico, tràdito oralmente
e corroborato dai dati materiali, “archeologici”, è uno degli
elementi di cui chi si occupa di storia (e l'archeologo è in primis uno storico e non un mero classificatore di cocci!), come ben sostiene
persino lo stesso Tucidide, può avvalersi per ricostruire epoche per le
quali non esistono fonti scritte.
Anzi la trasmissione orale del mito può trovare forma nella
riesumazione di prove storiche oggettive acquisite mediante un capillare
e rigoroso studio scientifico ed archeologico.
Il mito pertanto merita sovente, a mio avviso, di far parte a pieno
titolo della Storia e costituire illuminante elemento spia e guida,
come lo è stato per me, nella conduzione della ricerca archeologica.
Mi sia consentito dissentire quindi a tal riguardo, da classicista, dalle posizioni rappresentate dalla scuola di pensiero tradizionale e
storica sul Mito e da una certa ortodossia accademica che, con
aprioristica diffidenza verso di esso, davanti ad ipotesi quale la mia o
similari “si straccia le vesti” e si rifiuta, con l'accusa di
“sensazionalismo archeologico” o ingenuità di ricerca, di riconoscere,
laddove si manifesti patente, la convergenza fra l'evidenza
archeologica ed i motivi mitico-leggendari, ciò pur di non mettere in
discussione il tabù fondatore di una certa storiografia classica: tutto
è falso, niente è vero nel dato mitico.
Come potrebbe difatti un ricercatore “sensato e serio” ritenere che
Minosse sia un personaggio realmente esistito? Quando autorevoli
storici, fra cui lo stesso Tucidide, lo menzionano non intendono certo
riferirsi ad una figura storica! O forse no?
A questo titolo esiste però, a mio avviso, un modo di esprimere il
singolare in funzione di popolo, di comunità e ancor più di esseri che
possono esser compresi in quel significato: una sorta di uso del
singolare collettivo. Quindi Minosse avrebbe forse senso come popolo
minoico?
La domanda rimane aperta per tutti coloro i quali manifestano
perplessità e riserve in merito alla storicità di una figura quale
quella del sovrano minoico, come di altre figure mitiche, annosa e
spinosa querelle fra archeologi, storici, filologi ed antropologi di
questi secoli, ed alla sensatezza del parlare della sua “vera” tomba su
monte Guastanella.
Personalmente a questo riguardo forte è per me la tentazione di fare
mia la celebre affermazione del poeta Pindaro, tramandataci da Erodoto, che tanto ha ispirato e guidato le mie ricerche: “Un fatto muore
quando nessuno più lo racconta”.
A me è toccato in sorte di raccogliere e registrare un racconto, una
memoria aedica mai morta nel volger dei millenni proprio perché
riferentesi, a mio modesto modo di vedere, non ad una semplice tradizione
riportata dalla fonti classiche, concepita ad hoc e costruita ex
post dai Sicelioti per nobilitare e legittimare la presenza degli
Elleni venuti in età storica a colonizzare la Sicilia, ma ad un fatto
realmente accaduto, sia esso la morte di Minosse in Sicilia con
conseguente sepoltura in loco, oppure la presenza minoico-micenea in
antico nell'isola di Trinacria, come testimoniano i risultati delle
ricerche condotte da eminenti archeologi quali P. Orsi, B. Pace, G.
Pugliese Carratelli e L. Bernabò Brea, l'attestazione figurativa della
saga del re Minosse in Sicilia da me individuata, secondo una personale
esegesi interpretativa, nell'anfora cipriota Hubbard dell'VIII
sec. a.C. (vedi appendice del mio libro), nonché risultanze ed esiti di
altri studi da me condotti in zona su persistenze di riti, cibi e
danze di matrice cretese che mi riservo a breve di pubblicare.
Va ricordato a tale titolo che l'identificazione di molti siti da parte
del mio indimenticabile Professor Orlandini – vedi fra tutti il
Thesmoforion di Bitalemi in quel di Gela negli anni Sessanta – è
scaturita, prima che dall'effettuazione degli scavi veri e propri, da
indagini toponomastiche, memorie folcloriche e persistenze di culti
antichi pagani in analoghi culti moderni cristiani. Si fa riferimento
altresì ad analogo procedere nella conduzione degli scavi da parte
della professoressa Zancani Montuoro (1934-1940) in quel di Paestum
alla ricerca del santuario di Hera Argiva (Heraion alla foce del Sele
di memoria straboniana / Santuario della Madonna del Granato di
Capaccio).
Io, in verità, provengo da questa scuola di pensiero e di ricerca, appartengo a questa formazione scientifica, aperta, poliedrica, a
trecentosessanta gradi, dei miei Maestri, gli esimi professori Pietro
Orlandini, Dinu Adamesteanu, Dario Del Corno, Momolina Marconi, Paul
Faure, e oggi lo stesso Andrea Carandini, che di recente ha scoperto
sul Palatino le mura romulee, “arrendendosi” al dato mitico, per i
quali il mito è “storia sacra “ e quindi “storia vera” perché, come ben
sostiene Mircea Eliade, si riferisce sempre a delle realtà in qualche
modo attendibili storicamente.
Esso difatti ha sempre in nuce, a mio modo di vedere, una sua
veridicità storica ed affonda le sue radici nella Storia. Anzi, per
dirla con le parole di Mario Zoli, “il mito è la storia scritta una
volta per sempre”, anche se talora, e qui cito il mio compianto
professore Dario Del Corno “la mitologia è paragonabile ad un
labirinto di cui sembra essersi smarrito irrimediabilmente l'ingresso”.
Quindi la memoria mitica della sepoltura di un re dal nome “Mini
Minosse” nei più segreti recessi della mia montagna, memoria questa,
non so per quale arcano disegno della Moira, tramandatami sin dalla mia
fanciullezza da mio padre, “aedo” moderno e inconsapevole custode di
una verità appartenente al tempo “aionico” del mito, unita alla
sorprendente concordanza dei dati forniti dalle fonti storiche sul
triste epilogo dell’avventura del re Minosse in Sicilia con quelli
emersi dall’indagine autoptica, topografica, toponomastica, idrografica e
folklorica da me effettuata sul territorio in questione, indurrebbe ad
avvalorare, sfidando acquisizioni, anche di prestigio, considerate certe
e incontrovertibili (ma in ogni cosa è salutare, di tanto in tanto –
come ben ci insegna il celeberrimo e da me amatissimo aforisma di
Bertrand Russell – mettere un punto interrogativo a ciò che a lungo si
era dato per scontato!), la suggestiva ipotesi archeologica avanzata e
a considerare l’identificazione della fortezza dedalica di Camico e del
tempio-sepolcro del talassocrate cretese col sito di mia proprietà,
altamente probabile nell'ambito di un quadro identificativo della stessa
ancora oggi, a mio avviso, controverso e problematico.
Quale fine, secondo le fonti storiografiche, incontrò Minosse in Sicilia?
Minosse è il protagonista indiscusso della tradizione storiografica
sulla saga infausta cretese in Sicilia nonché della narrazione “aedica”
da cui sono scaturite tutte le ricerche e indagini esposte e
illustrate nel mio saggio.
Primo grande talassocrate cretese, Minosse, re di Cnosso figlio di Zeus
ed Europa, trovò la morte in Sicilia a Camico, nell’inseguire Dedalo
colà rifugiatosi quale ospite dal re indigeno sicano Cocalo, che
l’uccise con l'aiuto delle figlie in un bagno bollente. Il suo corpo fu
dai compagni che lo avevano seguito nella spedizione punitiva sepolto
con grande pompa nell’isola. Quest’ultimi difatti, come narra la fonte
diodorea, “costruirono un doppio sepolcro e posero le ossa nella parte
nascosta, mentre in quella scoperta edificarono un tempio ad Afrodite”.
Più tardi la sua tomba sarebbe stata scoperta da Terone, tiranno di
Agrigento, e le spoglie trasportate a Creta, dove gli si sarebbe stato
eretto un monumento sepolcrale ovvero la Temple-Tombe rinvenuta a Cnosso
da Evans.
Da cosa prende avvio la sua ricerca e a cosa tende?
Senza ombra di dubbio quella da me avanzata si configura come un’ipotesi
sensazionale che prende avvio dalla caparbia convinzione, nutrita sin
da quando adolescente la registrai in ambito familiare ed in loco, che
la memoria mitica della sepoltura di un re dal nome “Mini Minosse” che
aleggia da tempi immemorabili sul mio monte, costituisse per il
carattere orale della sua trasmissione, nonché per il fatto che a
tramandarla fossero degli “aedi” moderni, privi e sprovvisti di
qualsivoglia conoscenza delle fonti letterarie in merito, la prova più
autentica e fededegna della conservazione nei millenni della tradizione
leggendaria di un evento realmente accaduto e testimoniato dalle fonti
classiche.
A conforto dell’ipotesi che identificherebbe il maestoso e svettante
sito rupestre, pregno di arcaica e fascinosa sacertà, ubicato nelle
remote e solenni campagne dell’agrigentino, con l’ultima dimora del re
Minosse in terra di Sicilia di cui parla in specifico Diodoro Siculo
nella Biblioteca storica concorrono e risultano elementi altamente
probanti ed inoppugnabili la peculiare localizzazione geografica della
rupe, i patenti caratteri minoico-micenei della rocca ivi costruita (una sorta di piccola Micene come si può evincere dalle immagini
satellitari delle due rocche da me poste a confronto e qui allegate),
seppur frammisti ai successivi interventi contaminatori operati in
seguito dai dominatori bizantini, musulmani, normanni e svevi
succedutisi nell'occupazione del sito (gli studi precedenti la mia
indagine si limitano per lo più a considerare e a classificare tale
insediamento come genericamente altomedievale), nonché la preziosissima
memoria popolare da me raccolta e verificata direttamente in loco.
Alla luce di tutto ciò, confido con forza e tenacia nella risposta di
illuminati, lungimiranti e visionari accademici capaci di raccogliere
la mia “provocazione” archeologica, scommettere su di essa e implicarsi
con me in una seria campagna di scavi su monte Guastanella i cui esiti
possano suffragare o meno la fondatezza dell'ipotesi da me avanzata
che identificherebbe quest'ultimo con un sito minoico-miceneo di rilievo
della Sikania agrigentina. Va precisato difatti che l'archeologia è
sì scienza che si basa su dati di fatto, ma grande importanza ha in
essa l'intuito unito all'illuminazione di fronte ai momenti di stallo
della ricerca a causa delle aporie sinora non risolte (vexata quaestio
dell'identificazione dei siti riportati dalla saga di Minosse e
Cocalo).
Se scavi e leggenda dovessero convergere e confermarsi a vicenda, la
saga infausta di Minosse in Sicilia uscirebbe dall'ombra in cui è stata
relegata per secoli e che ha alimentato una storiografia molto incerta
ed accompagnata da molti punti interrogativi.
Cosa ha in serbo in futuro per il suo pubblico di lettori? Può darci qualche anticipazione al riguardo?
Non saprei dire: in verità, adesso come adesso, se Minosse costituisca
l’inizio o la conclusione di questo memorabile “viaggio a ritroso nel
tempo del Mito”. Certo è che la stessa appendice del mio libro farebbe
presagire un prosieguo della storia, dai risvolti per certi versi,
arcani e misteriosi.
Molteplici indizi e testimonianze raccolti poi nel corso degli studi
realizzati in Sicilia mi hanno spinto ad espandere il versante delle
mie ricerche a particolari “relitti” folklorici (riti, danze, fiabe, canti e cunti), per il loro sostrato e la loro matrice in stretto
rapporto di filiazione e derivazione dall’antica civiltà ellenica, che
mi riservo di approfondire e le cui risultanze a breve pubblicare.
Mio precipuo fine è difatti quello di far riaffiorare alla luce simili
tracce e relitti di una Storia “ritrovata” nel Mito, convinta che un
popolo senza memoria, e noi Italiani rischiamo talora di esserlo,
perda la sua storia ma anche il suo futuro.
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