domenica 20 ottobre 2013

Su Chi scrive ha fede?

AA.VV., a cura di A. Ramberti, FaraEditore, 2013 

recensione di Vincenzo D'Alessio


L’Antologia Chi scrive ha fede? curata da Alessandro Ramberti nasce dall’incontro di poeti e scrittori a Rapallo (GE) dall’8 al 10 febbraio 2013 in favore della forza creativa che ognuno di essi porta con sé. Per l’editore Fara di Rimini non è la prima antologia ma segue, nel canone della collana Nèfesh, il cammino dei padri fondatori e degli eremiti nel deserto incontro allo Spirito.

La domanda posta a tema dell’incontro è una provocazione a riprendersi senza sosta, a confrontare la solitudine necessaria alla creatività individuale, per aprirla alle altre. Gli scrittori, i poeti, i musicisti, gli artisti, i filosofi, sono sovente anime solitarie intente a confrontarsi con la forza del mondo sconosciuto, con il desiderio di affrontare il paesaggio dell’oltre, con l’accogliere il dramma dell’esistenza. Ha scelto questi intenti il curatore dell’ antologia inserendo nell’esergo il pensiero del poeta Fernando Pessoa: “Il poeta è colui che sempre eccede quello che può fare. (…) Esiga da sé ciò che sa di non poter fare. Non c’è altro cammino alla Bellezza” (pag. 8).

Ramberti continua nelle pagine della premessa all’opera: “chi scrive desidera lasciare una traccia, comunicare un sentire, condividere una esperienza, una emozione, un ideale, una passione che lo trascendono: lo scrittore è una antenna, un decoder capace di analizzare con parole vere e ricche di senso la condizione umana (in primo luogo la sua). (pag. 10).

Con questa chiave musicale lo spartito seguente degli autori, presenti all’incontro, si presenta più chiaro, armonico, cantabile. Assecondando i luoghi dove si è svolto il reading, tornano alle mente la voce inconfondibile del poeta/cantautore Fabrizio De André e quella di don Andrea Gallo partigiano soprattutto nel cammino per una Fede vera, a sostegno dei meno abbienti.

La Fede: piena fiducia nel proprio IO e in quella sete di Eternità che ci accomuna da milioni di anni ai nostri antenati. Non so proprio diversamente come descriverla. Mi mancano le parole, questa forza soprannaturale che ci appartiene da quando nasciamo, per dare significato a questa energia di fronte al dolore universale: troppa morte. C’è troppa morte nei nostri giorni: dalle fughe in mare aperto dalle guerre, al saccheggio delle risorse del pianeta Terra; dalla prepotenza dei ricchi verso i poveri, alla mancanza di empatia verso i malati terminali o costretti da Madre Natura a vivere attaccati alla bombola di ossigeno come al capezzolo materno.
Non sono bastati i milioni di morti di due Guerre Mondiali. I campi di sterminio nazifascisti. La distruzione di intere etnie nell’Est dell’Europa, in Africa, fino ai nostri giorni. Chi è l’uomo che ha il diritto di esercitare la violenza sul genere umano?
“C’è fede nella scrittura ?”
Certamente, chi scrive vuole bene all’umanità.
Con le favole accompagna i fanciulli. Con i racconti, i romanzi, si rianimano i cuori degli uomini. Con il sublime dei versi si vincono le buie notti della violenza umana. Carla De Angelis, poetessa inclusa in queste pagine, lo fa raccontando l’energia della sua fede con sincerità: “Quando mi alzo la mattina provo un sentimento di gioia e attesa per l’emozione di trovarmi sui miei quaderni sparsi fra letto e scrivania. Vivo a fior di pelle l’attesa di quella improvvisa parola che acquieterà per un po’ la mia ricerca” (pag. 57).
Dunque la Nostra ha fede nell’incontro con sé stessa, il paesaggio interiore che ha costruito e che destruttura ogni qualvolta risorge dal riposo necessario. L’oasi nel deserto del dolore quotidiano è rappresentata dall’attesa struggente dell’emozione provata nell’incontro con il foglio vergine del quaderno dove rendere visibile, a sé stessa e a chi legge, l’energia che dentro si agita, ribolle, si frammenta. Sul foglio i versi scritti sono il gesto più vero della libertà condivisa.
Dunque la fede, per Carla De Angelis è nelle sue parole: “Chi scrive è più legato alla fede nella libertà del pensiero e della parola che a una fede religiosa o politica che imporrebbero obbedienza cieca e assoluta” (pag. 57). Con questo messaggio e con i versi di alcune sue poesie la prima voce solista nel coro ha preso corpo e ci ha trasmesso “le emozioni” che parlano all’anima e indicano la strada scelta e offerta alla memoria del Tempo: “La vita è strana / esiste solo se / hai voglia di vederla / in un angolo / con le ginocchia tra le braccia / vorrei darle il mio sogno / (…) raccogliere l’onda e riprovare a volare” (pag. 60).
L’estraneità della vita è sorta in mezzo a noi come un malessere antico. L’ansia violenta di far patire qualcuno per appropriarsi dei mezzi sociali di sopravvivenza: benessere, denaro, apparenza, immagine, platealità, popolarità. Sempre desti, anche di notte, anche con l’uso di droghe. Perché insegnano che bisogna godere di ogni bene della vita senza perdere nessuna occasione. I sogni?, sono emozioni per i deboli, per quelli che tanti adolescenti preferiscono definire “coglioni!”.
De Angelis ha conosciuto la brevità della vita, i meandri opachi del dolore, la forza liberatrice del verso che la induce ad avere fede. Tra le braccia si stringono le gambe, quelle del viaggio, le stesse che hanno permesso all’uomo di allontanarsi dai luoghi noti e avventurarsi nel cammino della speranza verso il mare. La Nostra ha partecipato a questo incontro in absentia portando il contributo già scritto: da casa ha aggiunto al suo paesaggio interiore.
Ho scelto un canto ripreso dai 57 canti NAVAJO (Mondadori, I Miti, 2008) per restare nell’atmosfera che lo spartito dei partecipanti ha ispirato: “Egli mi parla / avvolto in vesti variopinte, / adorne di penne d’aquila / e di fili di pioggia, / i piedi chiusi in neri mocassini. / Mi parla di albe e di tramonti / mi parla di tuoni e di tempeste / di uccelli sospesi nel cielo, / di vita che non muore, / di gioia che non muta.”


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