Traduzione di Katia De Marco
pp. 80 - € 7,00
recensione di Giambattista Bergamaschi
“[…] gli anni passarono
senza che Silver desse segno di vita, nemmeno per sentito dire. Alla fine il
suo spettro si stancò di intrufolarsi nella mia testa d’adolescente anche se mi
domandavo spesso che fine avesse fatto” (p. 10).
Tramite annotazioni del
genere – in un’intrigante premessa per la verità dal gusto non poco manzoniano –
è Jim Hawkins a dimostrarsi ancora una volta depositario delle leggendarie
peripezie che il pirata Long John Silver va stilando di suo pugno, durante
notti insonni in cui persino gli accade di scordare la propria esistenza e, se
possibile, l’orrido marciume del mondo.
Un giorno gli viene
recapitata una busta che un vecchio marinaio appena tornato dall’Africa ha
lasciato a suo nome. Contiene un manoscritto di una cinquantina di pagine
recanti l’inconfondibile impronta di Long John.
È così che, in un romanzo
brevissimo (63 paginette), Björn Larsson torna a narrarci qualcos’altro di quell’uomo
affascinante ed inquietante nel medesimo tempo: in un certo senso – quello
migliore –, di sé stesso.
Propriamente, non lo si
direbbe libro d’“avventura”, nell’accezione classica e usuale del termine, bensì
in quella, assai più avvincente, etimologica, per cui “avventura” è “ciò che mi viene incontro”, meglio ancora se del tutto abrupto e inatteso,
proprio come accade a Long John in quest’ultima sua storia: “Iniziò con Jack
che si precipitò nella mia stanza come se avesse visto all’orizzonte le prime
nubi del diluvio universale” (p. 19).
E sembra quasi di vederlo, mentre
studia il mare dal suo maniero sulla scogliera, al modo di un Innominato o un
Master of the World alla Jules Verne o Jan Fleming: “un mascalzone
affascinante quanto letale” di cui il mondo credeva d’essersi finalmente liberato.
Dal suo inaccessibile fortino sulle
coste del Madagascar, Silver fa sfilare tutto un mondo (agito tra verità comprovata
e invenzione per niente affatto “romanesque”) di straordinarie avventure terrestri
e marine, di squallidi “gentiluomini” e pirati giustizieri, una varia umanità
che sembra trascendere il tempo, sfidando la morte, proprio come lui:
“promettimi di farmi leggere il tuo scritto, quando sarà finito”, qualcuno gli
domanda, e Silver risponde: “Allora ti conviene mantenerti in forma, perché ho
intenzione di scrivere finché campo. La mia vita sembra non voler mai finire.”
Ed è esattamente su tale ricorsiva (e
ricorrente) suggestione larssoniana – sorta di leit motiv che testimonia fino a che punto l’autore scandinavo ami
la narrazione (considerata nella più ampia gamma dei suoi valori e significati,
sociali e individuali), tanto da doverne giocoforza parlare nel corso delle
proprie storie piuttosto di frequente e a scadenze regolari, come per una sorta
di “libido nominativa” – che va ad innestarsi, in almeno una quindicina di luoghi
(su 63 paginette non sono pochi: dunque non casuali né irrilevanti),
un’affascinante “narratologia disseminata nel racconto” che a mio avviso
andrebbe sistematicamente indagata ed esplicitata in una trattazione organica.
Qualche intenso passaggio (su cui
meditare):
1. “[…] forse scrivere le proprie
memorie, nel migliore dei casi, è un modo di liberarsi dai debiti di fronte
alla morte, di ripagare con la stessa moneta, di gettare a mare i cadaveri
nella stiva una volta per tutte e cancellarli dalle liste, di liquidarli con il
teschio che i capitani usano disegnare sul giornale di bordo per ogni marinaio
che muore. È questo forse che a volte fa pensare a uno come me che tutto il mio
scrivere sia l’unica cosa che mi tiene ancora in vita, che continuerò per così
dire a vivere sul mio cadavere vivente finché morirò?” (L'ultima avventura del pirata Long John
Silver, p. 18)
2. “Sembra una storia terribilmente tediosa.”
“Ma vera”, disse Barrington. “Appunto”, risposi con il miglior sorriso. “Cosa
intendete dire?” chiese perplesso. “Esattamente quello che ho detto. La vostra
storia non è particolarmente divertente per nessuno. Non potreste arrivare al
punto?” “Al punto?” “Sì. Il motivo per cui dovrei sopportare un fallito come
voi, nemmeno in grado di raccontare una storia come si deve.” (ibidem, p. 44)
3. L’alba è vicina. Mi lacrimano gli
occhi e ho male al pollice per tutto questo scarabocchiare. Non è assurdo? Sono
rimasto seduto a questo tavolo a scrivere per quasi ventiquattr’ore, per nessun
altro motivo che dimenticare che a questo mondo c’è gente come Barrington. […].
E in fondo a uno scopo è servito. Per qualche ora ho quasi dimenticato di
esistere. (ibidem, p. 71)
AUTORE
Björn Larsson, nato a Jönköping nel
1953, docente di Letteratura Francese all'Università di Lund, è filologo,
traduttore, scrittore, appassionato velista, nonché uno degli autori svedesi
più noti in Italia, dove tutti i suoi libri (una decina) sono stati tradotti e
pubblicati da Iperborea.
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