lunedì 15 ottobre 2012

Su Diversità apparenti

recensione di Adele Nacci

Ho avuto il piacere di leggere Diversità Apparenti, che ritengo un libro interessante, che tocca vari punti di riflessione da quello sociale e politico a quello economico. Questo potrebbe apparire fuori luogo parlando di disabilità, invece no. Dico questo, perché quello della disabilità costituisce un campo di ricerca dominato in larga parte dal paradigma medico specialistico il quale utilizzando, come riferimento concettuale, la categoria di normalità, non fa altro che considerare la malattia o il deficit come un’interruzione dello stato normale. Dunque questo tipo di approccio specialistico, fa leva sull’assunto ideologico individualista, per analizzare la vita delle persone nelle loro condizioni sociali e materiali di vita.
Al contrario in Diversità Apparenti, è possibile riscontrare un approccio, nel trattare la disabilità, di tipo “sociale”, al quale siamo meno abituati, e che interpreta la salute come uno stato di benessere complessivo che comprende non solo l’aspetto fisico, mentale e sociale, ma anche – cosa fondamentale – l’interazione della persona con l’ambiente circostante. In questo tipo di approccio sociale, la malattia o il deficit è calato nell’ambito della più ampia relazione con fattori sociali, ambientali e fisici, e non sono considerati isolatamente. È  partendo da tale approccio alla disabilità, che si può mettere in evidenza come gli ostacoli all’interazione con gli altri, così come lo stigma, nascono dal sociale, sono il frutto di costruzioni sociali e quindi di condizioni costruite e contingenti. Come giustamente mi fa notare Carla, la mancanza di segnalatori acustici negli attraversamenti pedonali, rappresenta un ostacolo all’interazione sociale, ostacolo che non deriva da una difficoltà funzionale, ma è costruito culturalmente. Nel caso specifico è la concezione dello spazio, così com’è stato pensato, ad essere alla base degli ostacoli. Per rifarmi al sociologo Goffman, il normale e lo stigmatizzato non sono persone, ma prospettive che si producono in interazioni sociali in virtù di norme. Così i luoghi per le persone disabili sono pensati e costruiti in relazione alla patologia e quindi sull’assenza di quelle condizioni che fondano la socialità, la comunicazione, la capacità lavorativa… La caratteristica sociale dei luoghi e degli spazi è quella di poter essere attraversati, scelti, significati da chiunque voglia collocarsi in essi. Mentre i luoghi pensati per i disabili non possono essere utilizzati o frequentati da altre persone! Inoltre, rifacendomi all’approccio sociale teorizzato da M. Oliver, in una società complessa ogni individuo è coinvolto in dinamiche di interdipendenza con altri individui e istituzioni: se ad essere individuato come dipendente è il solo disabile, non è in ragione del deficit, ma del dispositivo di gestione sociale della disabilità, delle forze economiche, politiche e sociali che se ne occupano. Ecco dunque che il libro, sostanzialmente mette in luce tutti quelli che sono i dispositivi istituzionali e culturali che tentano di considerare la disabilità come una tragedia personale, non tenendo conto, invece, che alla base della disabilitazione stanno le contingenze economiche e l’organizzazione del sociale che vi corrisponde.
Infine, vorrei mettere in evidenza, come la disabilità viene affrontata in questo libro, attraverso la narrazione di una esperienza quotidiana con la disabilità, in quanto Carla De Angelis è madre. Allora ben vengano queste narrazioni dei disabili da parte di familiari, amici, educatori, specialisti. Si ha bisogno di una pratica discorsiva che sia capace di mettere in luce gli spazi attraverso cui possono costruirsi le relazioni fra i diversi punti di vista, i loro nodi critici, i vincoli normativi, istituzionali che possono ostacolare queste relazioni continuando a dare spazio al sapere specialistico, che è dominante ed esclusivo nel parlare di disabilità. Carla definisce il libro un atto d’amore e come tutti gli atti d’amore è semplice e complesso: semplice perché sgorga direttamente dal cuore, complesso perché ogni atto d’amore richiede tempo, dedizione, comprensione e com-passione.

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