lunedì 12 dicembre 2011

Parola & Immagine 12

«Un anno di grazia del Signore»


Praga. Fotografia di Jan Jindra

In modo del tutto appartato, quasi impercettibile, in queste ultime
ore giunge al suo compimento l’anno liturgico. Per singolare
paradosso l’estremo confine delle stagioni in cui celebriamo giorno
dopo giorno gli eventi che stanno a fondamento della nostra salvezza
in Cristo è quasi del tutto ignorato. I più sono ormai costretti a misurare il
tempo e lo scorrere degli anni solo nella scansione fredda e lineare dei
calendari, album spesso raffinati di variopinte e seducenti immagini, ma di
fatto repertori di giorni identici e provvisori come lo è il nostro senso del
tempo. Il nostro, infatti, è ormai un tempo privo di qualità perché spesso
sazio e saturo di tutto fuorché di speranza e di apertura ad un compimento
ragionevole e definitivo. Una simile e certo sconsolante diagnosi non ci è
stata proposta da autorevoli organismi ecclesiali ma da un osservatore tutto
laico e civile quale il Censis che un anno fa nel suo 44° Rapporto sulla
situazione sociale del Paese poteva scrivere: «nel Paese sono evidenti
manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa, comportamenti e
atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattivi,
prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza
profondità di memoria e di futuro». In sostanza «siamo una società
pericolosamente segnata dal vuoto, visto che ad un ciclo storico pieno di
interessi e di conflitti sociali si va sostituendo un ciclo segnato
dall’annullamento e dalla nirvanizzazione degli interessi e dei conflitti».
Gli italiani soffrono di un vero e proprio «calo di desiderio» che si
manifesta in ogni aspetto della loro vita: appagati i traguardi che ci si
prefiggeva in passato ci si confronta oggi con la frenetica rincorsa ad
oggetti «in realtà mai desiderati». «Tornare a desiderare – fa notare il
Censis – è la virtù civile necessaria per riattivare una società troppo
appagata ed appiattita».
Impressiona doverci riconoscere in un ritratto sociologico così estraneo
alla fisionomia proposta dall’antropologia cristiana e d’altro canto l’aridità
di un simile paesaggio sociale e culturale dovrebbe riattivare in noi
credenti in Cristo una più profonda e responsabile coscienza della
centralità della memoria, della speranza e del desiderio in ordine ad una
esperienza del tempo finalmente evangelica: dono affidabile di Dio dentro
al quale ci è data la possibilità di misurare la sua provvidente fedeltà alla
storia dei nostri giorni e al suo progetto per la vita di ciascuno di noi. In
quel silenzioso orologio architettonico del desiderio, della memoria e della
speranza che è la Certosa di Serra San Bruno, poche settimane fa Papa
Benedetto aveva spiegato a quei monaci solitari che «in questo consiste la
bellezza di ogni vocazione nella Chiesa: dare tempo a Dio di operare con il
suo Spirito e alla propria umanità di formarsi, di crescere secondo la
misura della maturità di Cristo, in quel particolare stato di vita. In Cristo
c’è il tutto, la pienezza; noi abbiamo bisogno di tempo per fare nostra una
delle dimensioni del suo mistero». In effetti, solo la riscoperta umile e
realistica che noi portiamo un deficit di pienezza ancora da colmare ci
potrebbe restituire il desiderio responsabile e creativo di guardare al
futuro come possibilità di crescita, di maturazione e magari di
compimento. Corrisponde a questa esperienza personale proprio l’inizio
dell’anno liturgico che ben diversamente dai congestionati capodanni del
mondo civile, ci invita a riscoprire e a patire un’assenza, un vuoto e una
mancanza che le nostre presuntuose e malferme sicurezze materiali e
ideologiche troppe volte censurano e che invece solo un cuore vigilante,
abitato dal desiderio e proteso al futuro di Dio sa finalmente riconoscere
come la ragione estrema di quel grido che da sempre è l’incessante
invocazione della Sposa, la Chiesa, al suo Signore: «Vieni, Signore Gesù»,
memore di quanto egli stesso, rassicurante, le ha risposto: «Sì, vengo
presto» (Ap 22,20). Nel frattempo si dà lo svolgimento dei nostri giorni:
finalmente fondati sulla memoria della prima venuta del Signore Gesù a
Bethlemme e orientati dalla speranza che germoglia nella promessa
affidabile del suo ritorno alla fine dei tempi, questi possono tornare ad
essere i giorni in cui torna percepibile nelle strade del mondo il «lieto
annunzio» di Gesù a Cafarnao, inviato dallo Spirito «a proclamare ai
prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli
oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Saprà
dunque testimoniare la nostra vita che con questo Avvento inizia davvero,
per noi e per tutti, un «anno di grazia del Signore»?

Bernardo, San Miniato al Monte
Dicembre 2011
lectio.divina@gmail.com

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