martedì 20 luglio 2010

Su Colibrì di Anna Maria Tamburini

recensione di Marcello Tosi

Un libro di piccole dimensioni con ali grandi per volare, Colibrì di Anna Maria Tamburini rimanda a suggestioni (“commovimento in volo di elementi”) che riportano all’antico e insieme modernissimo, senso di estatica contemplazione della natura di Lucrezio.
io lei e la romagna“Sull'equoreo seno” dello specchio marino, laddove “all’orizzonte minuscole faci / l’adriatico mattino / pulsano a oriente…“), spira sulle acque superiori di una marina primordiale il senso di un ritorno all’origine del mondo, il soffio vitale che vivifica l’anima e il corpo e mostra la natura come universo formato da atomi, da nuclei di “moti infinitesimi”“lontano dalle scie dell’uomo / dal frastuono di inutili transiti”.
I versi dell’autrice riminese fanno percepire il moto necessario alla vita, l’onda di energie gravitazionali, il desiderio profondo d’immergersi nelle concrezioni di materia, nei sottosuoli di molecole ed atomi, per ridare alla poesia la stupefatta capacità d’interrogarsi sul corso delle leggi naturali: “quanto misura un giorno? e la misura chi, a che cosa?”. Fuoriuscita necessaria per giungere alla rasserenata consapevolezza che “per dar nome alle stelle è bene dire / ogni amore”, poiché “la Parola distilla umori a tratti impreveduti e silenzi chiarori”.
Il colibrì che emerge da “strati del vissuto” è “il cuore che palpita / all’attesa, / all’incrocio degli incontri” (ecphrasis)”. È nesso, intreccio fecondo, puro fuoco “nel fuoco / d’amore / di vita /(…) / di aria, si nutre / al respiro / di fuoco”. E fa sentire vibrare l’anima, come nell’umile e grande e amata poesia di Padre Agostino Venanzio Reali, come un giunco che ha “dentro la vita del lichene…”: energia segreta, luce che emana libera dai colori, come le minuscole piume azzurro verdi del colibrì.
Come per Lucrezio afferrare il segreto, il mistero dell’essere significa pertanto per l’autrice, afferrare ad un punto fondamentale la vita, che avvampa come “l’amore che avvolge, / che dona perdona congiunge”, e che fa affiorare l’adamàh, lo splendore dissepolto degli strati della terra lungo cicli di ere minerali.

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