Giuseppe Vetromile è nato a Napoli nel 1949, vive ed opera a Sant’Anastasia, nei pressi del Santuario della Madonna dell’Arco. È promotore culturale di eventi ed incontri letterari presso il “Circolo Letterario Anastasiano”, fondato nel 2004. Poeta e scrittore, ha pubblicato numerosi testi di poesia. È il fondatore del concorso Nazionale di Poesia “Città di Sant’Anastasia”, del quale si sono svolte sinora otto edizioni annuali. Ha recentemente pubblicato, per conto delle edizioni Kairòs, un libro di narrativa intitolato Il signor Attilio Cindramo e altri perdenti. Vetromile è un’artista che non finisce mai di stupire, un poeta che sa alzare la voce del suo canto oltre i confini della sua terra. In questa intervista parliamo del suo percorso artistico dominato da un’ispirazione ricca e varia che si amplifica e fortifica continuamente.
Quando è avvenuto il suo primo incontro con la scrittura?
In realtà non c’è stato un momento particolare. Fin da ragazzo mi è sempre piaciuto scrivere. Ricordo che già ai tempi della scuola media, parlo degli anni sessanta, mi cimentavo nella scrittura di brani di fantasia, per lo più di fantascienza (mi piacevano molto i romanzi di “Urania”, di cui ero accanito lettore e collezionista). Ho così proseguito scrivendo racconti di genere fantascientifico e sfiorando a volte anche l’horror o il fantastico; naturalmente ero alle prime armi, e il contenuto di questi racconti, come anche lo stile, era piuttosto ingenuo e superficiale. Ma hanno segnato l’inizio della mia attività letteraria, e ne conservo ancora gelosamente i manoscritti: si tratta di quaderni ormai lisi, odorosi di muffa, uniti insieme con lo scotch, a seconda della lunghezza del racconto. Ogni tanto li tiro fuori: sono una reliquia, per me! La poesia è invece più tardiva: ho cominciato a comporne all’età di vent’anni, ma era un verseggiare infrequente, saltuario: si sa, a quell’età si pensa a tutt’altre cose! Per esempio, alle ragazze, all’amore, al futuro…
Che cos'è la poesia per Lei?
Lungi da me dal voler definire la poesia e farla aderire ad uno schema preconfigurato. Non esistono definizioni valide, lo sappiamo tutti. Ma posso dire che, per me, la poesia è comportamento. È l’estrinsecazione della persona, il suo apparire artistico e creativo, il suo “biglietto da visita” che denota particolare propensione alla ricerca, alla verità ultima, all’essenza delle cose. Lo scrivere poesie non è un diletto né un passatempo, né un vezzeggiarsi o un divertirsi in pubblico. La poesia resta un fatto molto intimo, che mette a nudo il proprio sentimento e quindi la propria anima. Se, in seconda battuta, il frutto di questo rovello, di questa profonda ricerca creativa, si estrinseca in forma artistica scritta, cioè in poesia, e “commuove” in qualche modo il lettore, allora possiamo dire che la poesia è servita pure a qualcosa. È diventata “comunicazione” pura.
Qual è il suo rapporto quotidiano con la scrittura?
Scrivo quasi tutte le sere, dopo cena. Che sia cosa buona o cartaccia da cestinare, comunque scrivo. Poi leggo quello che ho scritto, aggiungo, tolgo, correggo, cambio, controllo, invento. Lascio il tutto a “decantare” un giorno, due, anche tre. Alla fine il “prodotto” è pronto: mi accorgo che ho scritto tutt’altro, seguendo finalmente quello che avevo nel cuore, non nella mente!
Naturalmente è importante l’esperienza e la tecnica, e qui subentra la “mente”. È necessario armarsi di santa pazienza, cercare di seguire uno stile originale, proprio, creare qualcosa di nuovo, o almeno tendervi… Ma è importante, sempre, tenere a portata di mano il vecchio caro vocabolario della lingua italiana. E la grammatica! Di tanto in tanto, però, una parola “strana”, un neologismo inusitato, può saltar fuori: ben venga, ma deve essere preso con le molle! Del resto, è così che si arricchisce il lessico.
Quali autori predilige?
Di poesia, i tre pilastri: Quasimodo, Ungaretti, Montale. E poi Gatto, Sinisgalli, la Merini, Luzi… Ma ce ne sono tanti altri, anche miei contemporanei. Di narrativa, senz’altro Erri De Luca.
Un autore indispensabile per viaggiare nel futuro?
Se per viaggiare nel futuro si intende il patrimonio di creatività e di immaginazione plausibile che un autore possiede, e che meglio esprime e rende credibili le sue proiezioni narrative nel tempo a venire, allora posso affermare tranquillamente che indispensabile, in questo senso, è stato il grande scrittore di fantascienza Isaac Asimov. Uno scrittore geniale, che accosterei a Verne per le sue ipotesi tecniche e scientifiche che potrebbero realmente avverarsi.
Ci parli del suo passaggio dalla poesia alla prosa?
Lavoro su due piani differenti, con maggiore frequentazione della poesia, per la quale non c’è bisogno di eccessiva “progettazione” o pre-impostazione, cosa necessaria quando si vuole scrivere un racconto o addirittura un romanzo. Diciamo che quando voglio distendermi, in tutti i sensi, scrivo racconti.
Quali sono le storie più difficili da raccontare?
Certamente quelle che implicano una trattazione socio-psicologica dei personaggi, delle relazioni e dei comportamenti. Anche in una storia di fantasia, se non si vuol rimanere sul superficiale, i personaggi devono essere verosimilmente reali, e devono essere descritti nella loro completezza personale. Un racconto che si limiti a narrare un fatto, un episodio, la descrizione sommaria di un luogo, senza mettere in risalto le persone che vi agiscono, rimane un fatterello, divertente e piacevole quanto si vuole, ma nulla di più.
Ritornando alla poesia, su cosa sta lavorando ora?
Attualmente scrivo poesie a “grappolo”. Nel senso che l’idea poetica, se così vogliamo definirla, non si esaurisce in una sola poesia di tot versi, bensì prosegue, formando un corpo poetico composto da più testi, insomma quasi un poemetto.
Lei è Presidente dell'associazione e del Premio “Città di Sant’Anastasia”. Ci vuole parlare di questo circuito che ha ospitato tanti bravi autori?
Il discorso sarebbe troppo lungo. La prima edizione del concorso risale a otto anni fa. Ma fin dalla prima edizione abbiamo avuto il piacere di premiare poeti veramente bravi, molto noti a livello nazionale. E questo grazie anche ad una Giuria molto qualificata.
Con il Circolo Letterario Anastasiano, invece, cerchiamo di portare la poesia qui in provincia. La buona poesia e la buona narrativa.
In un intervista apparsa sulla rivista «Il Filo» (anno 7, n.1, marzo/giugno 2008), Gianrico Carofiglio afferma: “Ogni libro deve poter lasciare spazio sufficiente a chi legge non tanto per completare quanto piuttosto per prolungare il lavoro di chi lo ha scritto”. Lei è d'accordo con questa definizione?
Sono senz’altro d’accordo. Effettivamente un buon lettore non si limita a chiudere il libro alla parola “fine”, bensì ne fa tesoro e punto di partenza per successivi coinvolgimenti, implicazioni, prolungamenti, ipotesi. È un vero e proprio studio che si sviluppa sulla base di quello che si è letto. È bello pensare che l’utilità di un libro stia anche, o soprattutto, in questo.
Nessun commento:
Posta un commento