lunedì 10 maggio 2010

Lectio da S. Miniato



Kieran Doherty, Blind Light (2009)

 

 

"Padre, se vuoi, allontana da me questo calice!"
(Luca 22,42)



Carissime e carissimi amici di San Miniato al Monte,

l'immagine e il versetto lucano qui sovrastante vogliono segnalare i contenuti dell'ultimo tratto di strada percorso dal nostro gruppo di Lectio divina che, accompagnato da Stefano e dalle sue intense riflessioni, in queste settimane sta rileggendo la narrazione della Passione del Signore Gesù per come ci è narrata dal Vangelo di Luca. Tutto questo sembrerebbe a prima vista confliggere col tempo pasquale che stiamo vivendo in questo arco di settimane che va da Pasqua e Pentecoste, cinquanta giorni ritmati dal giubilo incessante dell'alleluia, ma in realtà rileggere proprio adesso la Passione significa tornare ad immergersi nella totalità del mistero pasquale e farci ritrovare il segreto di speranza nascosto nella morte in Cristo. A questo proposito lasciatemi condividere un bellissimo passaggio della meditazione esequiale tenuta da Papa Benedetto in morte del Cardinale Paul Augustin Meyer, l'ultimo porporato benedettino: «"Pater, in manus tuas commendo spiritum meum" (Lc 23,46). Le ultime parole di Gesù sulla croce ci guidano nella preghiera e nella meditazione, mentre siamo raccolti attorno all'altare per dare l'estremo saluto al nostro compianto Fratello. Ogni nostra celebrazione esequiale si colloca sotto il segno della speranza: nell'ultimo respiro di Gesù sulla croce (cfr Lc 23,46; Gv 19,30), Dio si è donato interamente all'umanità, colmando il vuoto aperto dal peccato e ristabilendo la vittoria della vita sulla morte. Per questo, ogni uomo che muore nel Signore partecipa per la fede a questo atto di amore infinito, in qualche modo rende lo spirito insieme con Cristo, nella sicura speranza che la mano del Padre lo risusciterà dai morti e lo introdurrà nel Regno della vita».

Queste lectiones sulla Passione proseguiranno per il mese di maggio nei giorni giovedì 13 e giovedì 27 maggio, alle ore 18.40 e includeranno così il nostro pellegrinaggio verso Torino per partecipare all'ostensione della Sindone. Il 20 maggio (e non il 21 come avevamo inizialmente programmato) ci ritroveremo alle ore 5.45 davanti alla scalinata della Basilica di San Miniato per partire, entro le 6-6.10 alla volta di Torino. Avevamo prenotato 208 ingressi in cattedrale e tanti saremo, suddivisi in 4 pullman secondo indicazioni che faremo pervenire a tutti gli iscritti. Purtroppo non siamo riusciti a soddisfare le (inaspettate) richieste dei tantissimi che avevano domandato di unirsi a noi: terremo presente tutto questo nell'organizzare in futuro iniziative simili.
Infine Vi anticipo che Sabato 15 alle ore 15.30 si terrà qui in Abbazia un incontro di approfondimento e studio dedicato alla bellissima riflessione di Bendedetto XVI sul ruolo del monachesimo nella costituirsi della cultura europea, un discorso tenuto a Parigi nel settembre del 2008 presso il Collège des Bernardins (http://www.collegedesbernardins.fr/). Lo commenteranno, oltre a chi Vi scrive, il teologo don Andrea Bellandi, il filosofo Pietro De Marco e lo storico Roberto Vivarelli. Vi segnalo qui il testo del Papa (http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2008/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20080912_parigi-cultura_it.html) e Vi invito a partecipare a questa iniziativa per l'alto profilo dei relatori e l'oggettivo interesse della questione trattata che non è solo storica o erudita ma, come è consueto nel magistero del Papa, una riflessione profondamente ancorata ai problemi e alle sfide del nostro oggi. L'iincontro è stato organizzato con il decisivo sostegno degli amici di Scienza e Vita, in particolare del suo presidente, Marcello Masotti che coordinerà l'incontro.

AugurandoVi un felice proseguimento di giorni pasquali e la gioia di ritrovarci in occasione di queste nostre iniziative, con Stefano e tutta la comunità monastica di San Miniato Vi abbraccio con vivo e profondo affetto,

Bernardo F.M. Gianni


ABBAZIA DI SAN MINIATO AL MONTE
lectio.divina@libero.it
LECTIO SAN MINIATO ~ 1 ~ Giovedì 30 Aprile 2010
“ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre” (Luca 22,53)
 


Luca 22,47-62
47Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. 48Gesù gli disse: "Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?". 49Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: "Signore, dobbiamo colpire con la spada?". 50E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio destro. 51Ma Gesù intervenne dicendo: "Lasciate, basta così!". E toccandogli l'orecchio, lo guarì. 52Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: "Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? 53Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre".
54Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. 55Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro. 56Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: "Anche questi era con lui". 57Ma egli negò dicendo: "Donna, non lo conosco!". 58Poco dopo un altro lo vide e disse: "Anche tu sei di loro!". Ma Pietro rispose: "No, non lo sono!". 59Passata circa un'ora, un altro insisteva: "In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo". 60Ma Pietro disse: "O uomo, non so quello che dici". E in quell'istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. 61Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". 62E, uscito, pianse amaramente.
 

Giovedì 30 Aprile 2010 - Riflessioni sul Vangelo di Luca 22, 47-62
 

Giuda e Pietro, protagonisti insieme a Gesù, di questo brano del Vangelo, rappresentano due aspetti della fragilità dello stato di discepoli. Da una parte la fragilità di Pietro che non si lascia vincere dalla disperazione, dall’orgoglio, da satana e dall’altra quella di Giuda, il discepolo sconfitto dal male, anche se la sua fine è nel mistero di Dio, nel suo imperscrutabile giudizio. Dobbiamo vedere il Giuda che è in noi, il Pietro che è in noi, e lasciare che lo sguardo di Gesù, il suo pianto, la sua dichiarazione di amicizia, possano condurre tutte le nostre esperienze negative verso un cammino di apertura obbedendo all’apostolo Paolo che dice:“Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”(2 Cor 5, 20). Ripetiamoci questa esortazione quando viviamo esperienze di disperazione, di male, di fragilità o di fallimento, Dio è più grande del nostro cuore e dobbiamo avere fiducia nel suo amore senza mai perdere la speranza.
Luca 22, 47 “47Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo”. Giuda viene presentato da tutti gli evangelisti come uno dei Dodici. Viene dunque subito sottolineato il fatto sconcertante che il responsabile effettivo della consegna e della morte di Gesù è un apostolo; da questa circostanza deriva il dramma, la sofferenza della comunità cristiana, la difficile accettazione che non un Giudeo avversario, non un pagano, ma uno degli apostoli sia stato il traditore. Questo dato appare sconcertante e altamente drammatico per chiunque, battezzato o chiamato da Gesù con una particolare vocazione, intenda essere discepolo e seguire il Signore anche oggi: essere con Lui, dalla parte del Giusto, non rende automaticamente giusti, la sequela non dà garanzia di salvezza. Anche Giuda era stato chiamato.
C’è un vangelo apocrifo di Giuda, scoperto agli inizi del 900, è un testo gnostico, distante perciò dalla Chiesa, in cui Giuda appare come l’unico vero discepolo, come colui che veramente ha eseguito fino in fondo la volontà di Dio, perché la volontà di Dio era la salvezza degli uomini attraverso la crocifissione del Figlio. Questa vulgata, quasi più conosciuta della versione evangelica, non tiene conto che la visione del mondo e di Dio che sta dietro la gran parte dei testi apocrifi, soprattutto quelli gnostici, è una visione altamente drammatica con pochissimo spazio salvifico all’interno. Vi si prospetta una visione di Dio dualistica: un Dio dell’antico Testamento vendicativo e crudele e poi Gesù, il Dio buono e misericordioso; interpretazione che serpeggia nella coscienza cristiana ma costantemente rifiutata dalla Chiesa perché falsa la volontà di Gesù che è venuto per rivelarci il vero volto del Padre, non si è posto come alternativa al Dio di Israele.
 

Luca22, 48 “48Gesù gli disse: ”.

Per la prima e unica volta Gesù chiama Giuda per nome, è un dato significativo.
Il pastore luterano Bonhoeffer (cf.
Riconoscere Dio al centro della vita - Editrice Queriniana 2004) in una sua predica del 1937: “Sermone della domenica judica” fa un interessante commento. Egli prospetta i due punti di vista, di Gesù e di Giuda: “Giuda, uno dei Dodici, eletto da Gesù, da lui inserito tra i suoi intimi, amato:questo significa che egli vuole mostrare e dimostrare anche al suo traditore tutto il suo amore? Significa che pure Giuda deve sapere che nel caso di Gesù in fondo non è possibile compiere alcun tradimento? Significa che Gesù ama così profondamente la volontà di Dio che si compie nella sua via dolorosa da amare anche colui attraverso il cui tradimento tale via si dischiude e che ha adesso, per un istante, nelle proprie mani il suo destino? Significa che egli lo ama come esecutore della volontà divina, pur sapendo una cosa: guai a colui per mezzo delle cui mani ciò avviene (Mt 26, 24)? Si tratta di un mistero grande e insondabile: Giuda, uno dei Dodici.”….. E “Giuda che cosa vuole vicino a Gesù? “Deve trattarsi indubbiamente del fatto che il malvagio non riesce a staccarsi dall’innocente” ….. “Il malvagio sa di dover servire Dio e ama Dio a motivo della sua potenza, che egli non ha, ed è tuttavia animato solo da un impulso, l’impulso di acquisire potere su Dio”. Sono tremende queste considerazioni se pensiamo al nostro sottile rapportarci a Gesù soprattutto se da Lui ci sentiamo chiamati e se facendo le nostre scelte, i nostri sacrifici, pensiamo di poter accampare una sorta di diritto su di Lui, l’impulso di acquisire potere su Dio è una tentazione strisciante. Giuda deve necessariamente tradire Gesù, perché ha pervertito il senso più profondo della sequela che è quello di sentirsi, al fianco di Cristo, solo peccatori perdonati.
Bonhoeffer prosegue, citando Matteo :“ Gesù e Giuda uniti da un bacio. Ascoltate queste parole incredibili: “Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: E subito si avvicinò a Gesù e disse:< Salve Rabbì>. E lo baciò. E Gesù gli disse:< Amico, perché sei venuto?> Allora si fecero avanti e misero le mani addosso Gesù e lo arrestarono”. E ancora, citando Luca: “Giuda, con un bacio tradisci il figlio dell’uomo?”. Gesù ama ancora Giuda, lo chiama amico anche in quest’ora. Forse questo è l’ultimo tentativo di Gesù di convertire il suo cuore e non possiamo sapere se questo tentativo in extremis non sia arrivato a buon esito: è il mistero della salvezza, il mistero dell’adesione, il tempo di Dio è tempo fino all’ultimo istante di vita. Certamente nella concezione cristiana il tempo decisivo, l’occasione della salvezza è data in questa vita, nella nostra azione responsabile, ma chi può conoscere il mistero della conclusione di una vita? Gli ultimi istanti della vita sono nel mistero di Dio, sono momenti di solitudine ma nello stesso tempo si è abbracciati dalla comunione della Chiesa. Maria nell’ora della morte non intercederà quando nell’Ave Maria abbiamo detto: “Prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”?
Don Primo Mazzolari nella sua celebre omelia “Fratello Giuda” (
cf. Don Primo Mazzolari Con Dio e con il mondo, Edizioni Quiquajon Comunità di Bose 2010) pronunciata a Bozzolo il giovedì santo del 1958, era l’epoca dei negazionisti della fede, del rifiuto e della rivolta militante contro la Chiesa, si domanda da dove nasca il male e, a proposito di Giuda, fa alcune importanti sottolineature e scrive: Vedete, Giuda, fratello nostro! Fratello in questa comune miseria e in questa sorpresa! Qualcheduno però, deve avere aiutato Giuda a diventare il Traditore. C’è una parola nel Vangelo, che non spiega il mistero del male di Giuda, ma che ce lo mette davanti in un modo impressionante: “Satana lo ha occupato”. Ha preso possesso di lui, qualcheduno deve avervelo introdotto .Quanta gente ha il mestiere di Satana: distruggere l’opera di Dio, desolare le coscienze, spargere il dubbio, insinuare l’incredulità, togliere la fiducia in Dio, cancellare Dio dai cuori di tante creature. Questa è l’opera del male, è l’opera di Satana. Ha agito in Giuda e può agire anche dentro di noi se non stiamo attenti. Anche Pietro aveva negato il Maestro; e poi lo ha guardato e si è messo a piangere e il Signore lo ha ricollocato al suo posto: il suo vicario. Tutti gli Apostoli hanno abbandonato il Signore e son tornati, e il Cristo ha perdonato loro e li ha ripresi con la stessa fiducia. Credete voi che non ci sarebbe stato posto anche per Giuda se avesse voluto, se si fosse portato ai piedi del calvario, se lo avesse guardato almeno a un angolo o a una svolta della strada della Via Crucis: la salvezza sarebbe arrivata anche per lui. Parole non prive di valore anche ai giorni nostri pur nelle mutate condizioni socioculturali. Poi Don Primo sottolinea quello che, a suo parere, è il più grande dei peccati:disperare è ancor peggio che vendere Cristo. Anche Pietro aveva negato il Maestro; e poi lo ha guardato e si è messo a piangere e il Signore lo ha ricollocato al suo posto: il suo vicario. Tutti gli Apostoli hanno abbandonato il Signore e son tornati, e il Cristo ha perdonato loro e li ha ripresi con la stessa fiducia. Credete voi che non ci sarebbe stato posto anche per Giuda se avesse voluto, se si fosse portato ai piedi del calvario, se lo avesse guardato almeno a un angolo o a una svolta della strada della Via Crucis: la salvezza sarebbe arrivata anche per lui. Così non è stato, gli Atti degli apostoli ci danno una versione agghiacciante della morte di Giuda, secondo Matteo dopo che si era pentito del tradimento, si uccise impiccandosi; aveva voluto rendere ai capi dei sacerdoti i denari frutto del tradimento ma satana divide e non conosce solidarietà ed essi non li vollero chiamandoli prezzo del sangue (Mt 27,3-10), di fatto voltando anch’essi le spalle a Giuda, come sempre accade tra i complici del male, e lasciandolo cadere nella disperazione. Don Primo termina: Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore. E forse l’ultimo momento, ricordando quella parola e l’accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni. Un corteo che certamente pare che non faccia onore al figliolo di Dio, come qualcheduno lo concepisce, ma che è una grandezza della sua misericordia.
La Chiesa in fedeltà al dato biblico afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità, d’altra parte se dichiara solennemente la presenza di cristiani nella gloria di Dio, in Paradiso, e li venera come santi, assolutamente non dichiara di nessuno che è all’inferno. La nostra vita e la storia non sono semplice illusione, così il mistero del male di cui facciamo triste e amara esperienza; la vita è il luogo della libertà e responsabilità di scelta e della possibilità di accogliere la salvezza di Dio o di rifiutarla; tuttavia rimane ardente il desiderio della Speranza cristiana che è una virtù teologale.
A questo proposito è noto quanto affermato dal teologo svizzero Hans Urs von Balthasar (che Papa Giovanni Paolo II volle creare cardinale, senonché la morte lo colse pochi giorni prima di ricevere la porpora), egli ha affermato in consonanza con il desiderio di Dio che tutti gli uomini siano salvi (cfr 1Tim 2,4) il dovere del cristiano di sperare per tutti: “Quando tutti gli impulsi che si oppongono allo Spirito della luce sono stati rimossi dall'anima, una libera decisione contro di lui è divenuta infinitamente inverosimile. Allora la fede in una illimitatezza dell'amore e della grazia divina giustifica anche la speranza in una universalità della redenzione [...] La libertà umana non può esser spezzata e messa fuori causa da quella divina, però può esser per così dire aggirata. La discesa della grazia nell'anima umana è un'azione libera dell'amore divino. E alla sua diffusione non esistono limiti. Può Dio perdere l'ultima pecorella smarrita del suo gregge? La creatura, per cui egli ha versato il suo sangue e ha patito l'abbandono da parte del Padre?”. In questo spazio della Speranza Don Mazzolari s’inserisce osando sperare che la parola di Gesù “amico” non sia stata pronunciata invano.
Quando abbiamo il peso e la gloria di dover sopportare grandi lutti e pene e la nostra esperienza di credenti si fa più sofferta, lasciamoci condurre dallo Spirito Santo in queste dimensioni della fede: se io posso sperare per tutti, se posso far penetrare luce nelle disperazioni della mia vita e in quella dei miei cari allora il Vangelo ha da dirmi qualcosa, allora la parola di Gesù ha ancora un senso, una forza, una capacità trasformante.
Dilato così anche la frontiera di speranza per gli altri, perché se c’è speranza per me, per la mia situazione, per la mia famiglia, per la mia comunità, allora lo spazio da me attraversato con le lacrime di Pietro alla ricerca dello sguardo di Gesù o aiutato da Gesù ad entrare nel silenzio del Padre, nel silenzio dell’angelo mandato dal Padre a consolarmi, allora il Vangelo continua nella mia vita e porta ancora salvezza nella storia.
 

Luca 22, 61-62 “61Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". 62E, uscito, pianse amaramente”.
Paradossalmente Pietro è l’eroe positivo. Nella visione di Luca egli è quel discepolo che ha affrontato il suo tradimento preceduto, accompagnato, sostenuto e infine da Gesù riaccolto e inviato a sostenere nella fede i fratelli. La missione di Pietro è la nostra: ravveduti e vaccinati dall’umiliazione, peccatori perdonati dopo il nostro peccato, dopo il fallimento, siamo inviati a confermare i fratelli. Lo sguardo di Gesù per Pietro può essere letto da due angolazioni: Gesù gli assicura la sua preghiera e che il pentimento espresso col pianto lo aprirà al suo perdono, ma è anche un monito contro ogni orgoglio. Pietro si guadagna l’autorevolezza che gli permette di parlare al popolo della fede in Cristo. Chiamato prima a fare esperienza di fallimento, poi rinnovato, amato da Cristo e perdonato, completamente trasformato, si assume la responsabilità esistenziale dell’annuncio della Buona Novella, sanato da Cristo, comprende che i titoli: messia, figlio dell’uomo, profeta, re, che troviamo nei versetti successivi relativi alle accuse e al processo che Gesù subisce davanti al sinedrio e a Pilato, esprimono la reale identità di Gesù, salvatore della sua vita. Il suo è l’esempio del cammino di conversione, il grande cammino di ogni cristiano.

 

Per una memoria di Santa Caterina da Siena
Giovedì 30 Aprile 2010 Solennità di Santa Caterina da Siena
Dottore della Chiesa
Patrona d’Italia e Patrona d’Europa
Dal «Dialogo della Divina Provvidenza» di santa Caterina da Siena, vergine
O Deità eterna, o eterna Trinità, che, per l’unione con la divina natura, hai fatto tanto valere il sangue dell’Unigenito Figlio! Tu. Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo; e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile; e l’anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce.
Io ho gustato e veduto con la luce dell’intelletto nella tua luce il tuo abisso, o Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura. Per questo, vedendo me in te, ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi vien donata della tua potenza, o Padre eterno, e della tua sapienza, che viene appropriata al tuo Unigenito Figlio. Lo Spirito Santo poi, che procede da te e dal tuo Figlio, mi ha dato la volontà con cui posso amarti.
Tu infatti, Trinità eterna, sei creatore ed io creatura; ed ho conosciuto perché tu me ne hai data l’intelligenza, quando mi hai ricreata con il sangue del Figlio che tu sei innamorato della bellezza della tua creatura.
O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo! E che più potevi dare a me che te medesimo? Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell’anima. Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità.
Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu cibo degli angeli, che con fuoco d’amore ti sei dato agli uomini. Tu vestimento che ricopre ogni mia nudità. Tu cibo che pasci gli affamati con la tua dolcezza. Tu sei dolce senza alcuna amarezza. O Trinità eterna.
Caterina da Siena, santa laica, da illetterata, ma sperimentando senza insuperbirsi l’amore di Dio, scopre la sua dignità di creatura. Alla luce di Cristo si rivelano, infatti, la grandezza e la dignità dell’uomo (Gaudium et Spes). Nel brano che leggeremo oggi apriremo le piaghe del peccato, del male che è nell’uomo ma il suo valore verrà preservato e rivelato dall’esperienza dell’amore fedele di Cristo: teologia che si fa esperienza mistica nelle parole di santa Caterina; i santi rendono il vangelo vivo, attuale, praticabile e trainante, non interessante intellettualmente. E’ il nostro stesso anelito: essere condotti dal Signore e comprenderne la volontà, su di noi e sulla realtà, per metterci a disposizione, nascosto o pubblico che sia il ruolo di ciascuno di noi, come fece santa Caterina che cambiò la storia, gli assetti della sua contemporaneità, con la forza, la dignità e la fierezza che vengono dall’esperienza di Dio, inesauribile sorgente che disseta e mette sete di una sempre maggiore apertura e dilatazione del cuore.

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