lunedì 14 settembre 2009

Altra lettera sull’intensità

recensione di Massimo Sannelli a Publiners di Francesco Gaggi (Fara, 2009)




preferisci rimanere solo
qua
nella provincia denuclearizzata
a sei km di curve dalla vita

(Samuele Bersani, Coccodrilli)

1.
Un giorno «il mondo sarà il teatro delle nostre rappresentazioni e una sfi lata dolorosa di «fantasmi pubblicitari»: una rappresentazione permanente e non occasionale, a differenza del Coro di morti di Leopardi.
Daguerre ha capito che l’immagine si fi ssa. Nella parola immagine sopravvivono i suoni di anime: l’iMmAgINE le blocca e mostra che «l’uomo è un soggetto inutile», le rappresentazioni sembrano stabili e durature – allora è bello immaginarle anche viventi e parlanti; e la rappresentazione è anche un altro nome dello spettacolo. Ecco un testo che appartiene per natura al mondo del teatro, più che alla tradizione del dialogo.
Qui la fotografi a non è un’arte, e nemmeno una tecnica: è una pratica da sciamano che imprigiona animeimmagini.
Lo scrittore asseconda e completa la pratica: le immagini-anime parlano.
Anche i colloqui attitudinali sono una rappresentazione irreale, che non potrà rimanere. I candidati sono anime sbiadite, moltiplicate all’infi nito: il loro flusso di coscienza non è esprimibile nel rito delle domande/risposte, quindi rimane inespresso. Il candidato che parla
ad un colloquio di lavoro è un’immagine, dotata di una parola limitata e formulare («Tutte cose dette. E stradette»); è di poco superiore ad una fototessera a cui si dia, per gioco, la parola. Quello che non entra nel rito attitudinale è confi nato nella mente, da cui non esce.

2.
Il rischio di chi scrive è sempre il solito: passare dal lavoro al non-lavoro, dalla conoscenza al gioco nobile, e dal gioco al perdere tutto, con l’apparenza della vittoria. Come chi inventa labirinti specchi sogni tigri mentre un Paese brucia; come chi parla della parola innamorata negli anni in cui «si esce poco la sera, compreso quando è festa». Come Cortázar, «predicante
rivoluzioni latinoamericane dal suo appartamento di Parigi»: una «letteratura con pochissimo cuore, al massimo con qualche briciola di sensibilità». Carlo Coccioli, che scrive così nel Piccolo karma, amava il suo cane più di sé stesso e trovava letteraria una buona telenovela. Perché ora importano gli effetti delle cose, non le cose in sé: e se una telenovela ha cuore, una telenovela
ben fatta basta al nostro cuore. Non è poco, è tutto.
Il rischio che i testi diventino come i «sacchi di sabbia» di Lucio Dalla c’è sempre. Che la letteratura diventi una specie di colloquio attitudinale («Ho finto quello che non sono. Ho millantato qualità inesistenti»), con un pubblico-esaminatore, libero di disprezzare il candidato: «Cosa speri di mostrarmi che non abbia visto una miriade di altre volte?». Quelli sono solo «maldestri tentativi di attirare la mia attenzione» di lettore.
In fondo, il vero problema è che nessuna parola, nel mondo delle anime-immagini, è oggetto di una loved Philology (Emily Dickinson, poem 1651). La parola è solo il contorno orale di una fi nzione che non si accontenta di apparire. Il candidato deve dire qualcosa, per
completare il rito; lo scrittore deve pubblicare qualcosa, per completare un rito simile; quindi il selezionato e il selezionatore tendono a coincidere, mortifi cando entrambi i ruoli. E poi gli scrittori urlano, per dovere: l’epoca del grande Libro è fi nita! manca il Libro! quindi
manchiamo noi!
Questo è ovvio. Il Libro – la nuova Comedìa – non deve esistere, perché accenderebbe la luce dove si scrive che «il latte era finito» e che il testo «non sbrana».
Nessuna intensità è permessa nella provincia denuclearizzata e nel «tempo delle inezie», perché la «spada affilata a doppio taglio» direbbe: «Ti si crede vivo e invece sei morto», «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo» (Apocalisse, 3,15). Un colpo di cannone sventra il palco d’onore. Un fulmine devasterà le gallerie. L’Apocalisse è letterale: «almeno una volta, un brivido»! Non può essere vero che «gli uomini non sopportano troppa realtà».
Intanto possiamo cedere sùbito le «qualità inesistenti» del millantatore ad un attore: la sua «forza» è «inarrestabile». Quello è l’esperto di finzione, non meno sciamano dello sciamano Daguerre. Ma è vivo, incatenato alla sua tecnica totale: è un uomo o una donna deformabile solo per abilità. Il suo corpo è attivo e ha la sua voce.

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