lunedì 9 febbraio 2009

Intervista a Drazan Gunjaca: guerra e "pace”



Caro Alessandro,
in allegato si trova l'intervista che ho dato verso l'inizio di dicembre a Vlatko Simunovic, giornalista del giornale POBJEDA di Titograd (Montenegro).

Ora si trova on-line qui: www.pobjeda.co.me/citanje.php?id=158530

Dato che in quel momento Srdja Orbanic aveva tradotto l'intervista in italiano, uso l'opportunità di mandartela.
L'intervista non è nulla di particolare, non dice nulla di me (come se fosse importante) ma, indirettamente, dice molto dell'atteggiamento dei media nell'ex Jugoslavia verso alcuni temi e punti di vista.
Naturalmente, nemmeno questo è particolarmente importante. Ma alla fine, una volta che fai la somma (e prima o poi devi farla), noti che alcuni "dettagli" non sono poi così insignificanti, come pure che molte cose "grosse" alla fine non lo sono.
Cordiali saluti,
Drazan



POBJEDA
Podgorica, Montenegro
Vlatko Simunović


1. La guerra nei territori dell'ex Jugoslavia, specie in Croazia,è stata decisiva per la Sua narrativa, e penso in primis alla trilogia composta da Congedi balcanici, Amorte come pena e A metà strada dal cielo. Ho torto se dico che l'orribile realtà funge da impulso per scrivere?


No, non ha torto. Lo scontro con tale realtà è stanto così terribile e in ultimo devastante per la mia forma mentis che questa “disarmonia bellica” tra me e l'ambiente circostante cogli anni si è andata approfondendo, anche se la guerra – dicono – sia finita nel 1995. Le guerre né iniziano né finiscono con le date riportate nei libri di storia. La loro genesi dura molti anni, la loro fine procede per anni. Tra l'altro le guerre sono terribilmente impegnative e spossanti da tutti i punti di vista. Sopravvivete alla guerra per vivere il periodo postbellico in cui le angosce belliche vengono sostituite da quelle esistenziali ed altre, per le quali neanche sapevate che esistessero… Credo di aver definito la nostra realtà in modo migliore nel romanzo Buona notte, amici miei, quando scrivo delle depressioni: «Nelle nostre depressioni sono racchiusi tutti i sogni finanziari, amorosi e d’altro tipo andata a farsi friggere come nel resto mondo, ma da noi tutto ciò è condito con una fine salsa di sungue e sudore, di morti che non si lasciano seppellire, di vivi che non vogliono vivere, di confini statali vecchi e nuovi che durante la vita media di un povero cittadino cambiano almeno alcune volte, di valori biblici di cui neanche il Signore tiene più conto già da alcuni millenni...»

2. Nei Suoi romanzi predominano le amicizie maschili, che né le guerre né i capipopolo possono intaccare. Crede che la peculiarità della Sua scrittura si rifletta proprio in questa umanità che la gente ama riconoscere in altri?

Da qualche parte ho scritto che le amicizie non le avevo fatte grazie agli stati e ai capipopolo e quindi neanche le interromperò. Io queste amicizie le ho instaurate autonomamente e non per altri, per cui neanche permetto ad alcuno di giudicarle.
La cosa più atroce è quando l'amico nei tempi difficili ti gira le spalle… D'altro canto, molte amicizie non hanno superato la prova del peso della guerra. Le persone non ce la facevano sotto tutti i punti di vista, mentre la paura per la propria sopravvivenza aveva anch'essa un suo prezzo… Quando la guerra è passata e la paura è diminuita, si sono guardati attorno e sono rimasti terrorizzati dal deserto emotivo che le circondava. Io con i miei libri voglio far ricordare a queste persone che “vivevano” anche prima di questo deserto. Le porto in quel mondo che (ri)conoscono, in quel mondo in cui l'uomo era uomo, e il lupo era lupo…
Sono d'accordo che nulla è né più sarà come prima, però ricordando le persone che con la loro bontà hanno segnato il nostro passato, sono sicuro che possa essere molto meglio di com'è in questi tempi da lupi. Penso che pian pianino inizino a capirlo anche coloro che se si sono bevuti la storia della terra promessa…

3. L'azione benefica dell'amicizia si riconosce anche nel romanzo Buona notte, amici miei, e sebbene il romanzo non tratti di guerra, i suoi protagonisti sono “deviati” da quegli ani Novanta. Dopo tutto ciò che abbiamo vissuto (lo sfascio dello stato, delle famiglie, delle aziende, dei sistemi dei valori), oggi è possibile vivere e pensare normalmente, e in che misura?

Ogni tempo ha le sua ragion d'essere, quindi anche questo in cui viviamo. Questo non è il mio tempo, ma mi sopporta ancora. Fino a quando, non lo so. Credo che molti la pensino allo stesso modo. Un nuovo sistema dei valori, a cui Lei si riferisce in verità non esiste. Se esistesse, saprei rapportarmi ad esso, definire se è per me acettabile o no. La mia generazione ha avuto una decina d'anni che meritavano d'essere vissuti (penso agli “aurei anni Ottanta”). Poi siamo usciti da un sistema e non siamo ancora entrati in un altro, sicché oggi ci troviamo nel nulla. Più precisamente, vaghiamo tra il social-realismo e il capitalismo. Inoltre, gli Americani, che ci fungono da esempio indiscutibile, hanno esportato da noi e nel resto del mondo una grave crisi economica, che da queste parti appena deve mietere le sue vittime… Ci vorranno alcuni anni finché il mondo avrà sanato la crisi, dopo di che gli Americani ridefiniranno la loro idea neoliberale affinché la crisi non si ripeta… Quindi, ecco, forse tra qualche tempo, diciamo una decina d'anni, tuttavia sapremo dove stiamo andando… Ma forse gli Americani avranno troppo da fare e dimenticheranno di avvisarci sulle nuove direttrici, per cui continueremo a vagare… Sono troppi i piccoli che credono di essere grandi… Sono rari i grandi consapevoli della loro pochezza….
In sintesi, ciò che noi conoscevamo come “vita normale” non esiste più. Purtuttavia, si può e si deve riflettere, perché questo è l'unico modo di facilitare il percorso a quelli che vengono dopo di noi e che hanno altrettanto diritto ai loro “anni d'oro”… Come disse qualcuno, il futuro arriverà, sia che ne siamo in attesa o no. E dato che è così, allora facciamo cioììò che possiamo, anche se poco.

4. Dai Suoi libri si può notare che i Balcani sono una valle di lacrime in cui la roulette porta sempre allo stesso risultato – alla morte. Perché è così?

La percezione stereotipa dei Balcani si riduce alla polveriera intorno alla quale c'è sempre qualcuno che gioca con i fiammiferi e aspetta l'occasione di mandare tutto per aria. Ogni tanto qualcuno ci riesce. Tale percezione è di buona resa per la scrittura, lo schermo, ed è particolarmente di buona resa per i facendieri internazionali che giocano d'azzardo con i nostri destini. E che regolarmente ci forniscono di polvere da sparo e di fiammiferi, chiaramente a credito, e quando la polveriera scoppia, sono i sopravvissuti che devono saldare il debito.
Ho scritto il dramma Roulette balcanica in cui parlo dell'uomo semplice i cui ideali sono stati distrutti dal tempo e che contro la propria volontà è diventato vitima della percezione di cui sopra, tanto che togliendosi la vita trasforma quella percezione nella realtà.
È inverosimile quanto siamo manipolati. Dal settimo secolo in poi, come sono soliti dire i nostri vati nazionali…
Ritornando alla Sua domanda: perché è così? Beh, perché qualcuno ha interesse che sia così. Io e i miei consimili di sicuro non ce l'abbiamo.

5. Nell'ex Jugoslavia è stato ufficiale della marina militare, ora è avvocato e scrittore. Nei Suoi libri ha descritto i destini reali dei suoi ex colleghi. Ha avuto qualche informazione di ritorno? Come hanno reagito? Chi sono i suoi lettori?

Grazie al tipo di scrittura usata (una combinazione di ironia e grottesco, di lacrime e riso) ho un pubblico alquanto ampio. Chiaro i lettori più fedeli sono quelli che appartengono alla mia generazione, specie quelli che negli anni Novanta hanno lasciato queste terre andandosene in Canada, Australia, Nuova Zelanda… Viaggio di sola andata, chiaro. In genere, da noi i viaggi sono di sola andata. I popoli normali trovano sempre una via di ritorno, nel caso di bisogno, ma noi no. Una volta partiti, non si ritorna indietro… E così, partiamo nel nostro glorioso passato, finché tutti i ponti non vengono distrutti… E dopo, chi sa nuotare, nuota… Mi scuso per la digressione.
Quindi, ho ricevuto innumerevoli lettere da queste ed altre persone. Se ne facessi un libro (ma non lo farò), credo che il libro sarebbe molto più interessante di parecchi libri contro la guerra che ogni tanto vengono pubblicati nei Balcani. Ogni tanto per non dire raramente, come se ci fosse di che vergognarsi… Sono convinto che questa “raccolta di lettere” sarebbe uno shock per molti, specialmente per coloro che “sanno” cosa pensa la gente e che sulla base di questa “cognizione” direttamente o indirettamente decidono in nome della gente.
Ancora una cosa che è importante per me. I miei libri sono ugualmente ben accetti in tutti gli stati della ex Jugoslavia. Da tutti eccetto che dalle élites politiche, mediatiche, editoriali. Le élites non mi amano, nulla da fare. A dire il vero, il sentimento è reciproco. Per fortuna si trova sempre qualche eccezione che conferma la regola. In fin dei conti, grazie alle eccezioni, viene cambiata anche qualche regola…


6. Ultimamente ha ricevuto parecchi premi all'estero, specie in Italia, dove ha avuto una cinquantina di riconoscimenti letterari. Come gli stranieri percepiscono le Sue tragiche storie belliche e posbelliche?

Le percipiscono come di solito si percepiscono le altrui tragedie belliche. Prima con incredulità che col passar del tempo, a causa della loro durata esagerata e della grande concorrenza (non passa un giorno che nel mondo non succeda almeno una tragedia), si trasforma in disinteresse. Di conseguenza, si potrebbe dire che la nostra guerra già da tempo ha oltrepassato la data di scadenza. Ora è il tempo di pagare le spese belliche.
Tuttavia, grazie al tipo di scrittura di cui sopra e al tratto universale delle storie, i miei libri sono ritenuti interessanti. In primis agli ambienti letterari, ma anche al lettore medio se si trova in occasione di conoscere la mia opera.


7. Dato che scrive nei lassi di tempo che Le rimangono dopo le Sue attività professionali, come e quanto segue la scena letteraria dell'ex Jugoslavia? Ascolta anche altre voci letterarie?

Nello scontro con il tempo, io sempre me la passo peggio. Mi sfugge e mi manca sempre… Ecco si avvicina il Natale per cui lascio spazio all'immaginazione. Immaginate che un bel giorno qualcuno ci conceda una pensione sufficiente per (sopra)vivere, ci paghi l'abbonamento alla biblioteca civica e che il buon Dio ci dia la salute… e poi noi leggiamo. Leggiamo tutto ciò che volevamo leggere ma non avevamo tempo per farlo. Nel caso nostro, ciò è esagerato anche se si tratta di auguri di Natale. Quindi sotto la pressione della banale realtà purtroppo non ho molto tempo da dedicare alla lettura. Tuttavia, lo rubo al mio impegno professionale e alla vita familiare e spesso a notte fonda seguo i destini letterari di coloro che il destino ha condannato a vivere nei Balcani.
Per fortuna, molti scrittori contemporanei dell'ex Jugoslavia sono miei amici e mi mandano i loro libri, per cui almeno non ho problemi a procurarmeli. Ecco, proprio in questi giorni sto attendendo che lo scrittore montenegrino Vujica Ognjenović venga alla fiera del libro a Pola e che mi porti l'atmosfera del litorale montenegrino e l'ultimo libro della scrittrice Bosiljka Pušić «Arancia sotto l'elmo».
Personalmente mi sembra che non ci sia una soddisfacente produzione lettararia antibellica, almeno è così in Croazia. E anche ciò che è stato scritto in buona parte è stato artatamente ignorato, sottaciuto… Ciò diventa tanto più palese quando pensiamo quanti soldi sono stati spesi per i libri di tendenze opposte… Perciò dico che la guerra ovvero la politica bellica non è finita nel 1995, ma continua ad essere praticata con altri mezzi.

Vlatko Simunović (Montenegro)

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