recensione di Vincenzo D’Alessio (scheda del libro qui)
Leggere un romanzo, in gran parte autobiografico, resta una prova feconda per ogni essere umano: dilata gli orizzonti come un nuovo viaggio, anche in luoghi già conosciuti; rimuove gli orgogli personali, riducendoli ad esperienze sul campo; fa dell’esistenza dei personaggi l’abbrivo per una nuova sagace esistenza. Questa ed altre forze ancora si muovono all’interno del fluido racconto di BASAGOITIA.
Diventa forte l’acqua di questo fiume chiamata esistenza quando si mettono in gioco vite piene di esperienze disagevoli, disancorate dai luoghi comuni europei, dagli esempi vividi dei testi pedagogici o sociologici che tanta letteratura e pensiero muovono nella nostra civiltà contemporanea. Allora mi ritornano alla mente le lezioni di Lévi Strauss, sulle diversità etnico culturali; le belle letture di Isabel ALLENDE de La casa degli spiriti (Feltrinelli, 2008) e tanti passaggi autorevoli legati all’esperienza del viaggio nelle terre ingannate dalla civiltà europea qual’è l’America Latina.
Un fiume con acque umane, con volti dispersi nel suo fluire, con vicende circolari che non sboccano nel mare infinito dell’Umanità ma si disperdono, ignorate, nel fango della foresta locale. La foresta, la madre, la Natura, le sue leggi, le sue paure che diventano le nostre quando ci affacciamo nel buio che la foresta nasconde e gli spazi di luce che la stessa rivela: argini di un percorso indicibile. Lo sanno bene molti degli antropologi francesi partiti alla scoperta delle popolazioni interne del Rio delle Amazzoni o di altre foreste lungo la catena delle Ande. Il Perù di BASAGOITIA è solo una piccola tessera variegata di quel mosaico che non ha ancora completato il suo percorso di Democrazia.
L’autrice di questo romanzo/racconto mi ha riportato alla mente il mio amico missionario padre Michele PISCOPO, che operava negli anni settanta/ottanta, nella poverissima regione dell’Ancash, tra vette estreme, povertà estrema, violenza estrema. Allora mi sovvengono le parole: quechua, palomito, Pomabamba, soroche, Lima e altro ancora. Il mio giovane amico missionario dei Padri Giuseppini di Asti si ammalò di “soroche” ai polmoni e ben due volte dovette sottoporsi a interventi ospedalieri in Italia. Oggi è vescovo a Lima e aiuta quanti sono scampati a “Sendero Luminoso”, alla schiavitù dei nuovi padroni indigeni pagati dai ricchi della città, e i bambini sempre indifesi.
In queste pagine, che ai miei occhi sono apparsi come un sogno interminabile, sono ricomparsi più di trent’anni di epistolario; grazie all’Amore incontenibile di quella bambina “fortunata” che oggi è Gladys, ho potuto abbracciare gli anni più belli della mia tormentata esistenza di mancato missionario, di scrittore incapace di aiutare con una buona economia i sogni infranti di tanti bambini che nelle missioni italiane in Perù e in ogni parte del pianeta stentano un’esistenza normale.
Una stupenda prova di scrittura, con qualche imperfezione dovuta alla non perfetta conoscenza della nostra lingua, contrapposta ad una forza di raccontare che non ha nulla da invidiare ai nostri più bravi autori italiani. Sono comparse le figure di Lara CARDELLA del romanzo Volevo i pantaloni, nell'episodio delle suore a pagina 110; le figure femminili di Maria Teresa DI LASCIA, di Passaggio in ombra (Premio Strega); di Emilia DENTE della poetica dello specchio nel volume Cuore di donna (1997) nel mentre scrive BASAGOITIA: ”Quella sconosciuta che si burla di me / dallo specchio è / nel centro del vortice / che arde. Dormo sopra la nebbia.”
Pluralità di donne. Pluralità di eventi. Inaccessibilità dei sentimenti portati all’esasperazione dall’urto violento del fiume umanità verso gli argini deboli della figura femminile. Mamme: ”Mamma, non tutte le madri amano i loro figli?” (pag. 97) a questa domanda non c’è risposta. Né per me né per Saverio STRATI del romanzo Mani vuote. Non so dare come la Nostra autrice una risposta tanto bella ed esemplare, alla fine del racconto, dalla figura emblematica della propria madre. Restano i chiari e gli oscuri segni di ogni diversità umana. La Foresta Madre è un intrigo di forze, a volte, anche misteriose. Non tutto è spiegabile. Non tutti i debiti possono essere pagati con una bellissima e commovente prova di scrittura come in questo caso. Gladys c’è riuscita. Qualcun altro aspetterà ancora.
martedì 9 dicembre 2008
Su Il fiume senza foce di Gladys Basagoitia
Dicembre, 2008
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