Il
racconto che segue, nella sua versione originale, è pervenuto a noi con
il papiro Harris 500 risalente
alla XIX dinastia ed è conservato
presso il British Museum.
Il
testo, incompiuto, è interessante perché pare racchiudere tra le sue righe
elementi di fiabe successive. Per diletto, l’ho sistemato un poco, completandolo con un finale aperto, rifacendomi all’immagine del viaggio di Ra nella Duat, il
mondo dei morti, data la presenza del cane che ricorda tanto Anubi e del
serpente che pare rimandare ad Apopi o a Mehen (il primo un nemico di Ra, il
secondo un suo alleato).
C’era una volta un re che, non avendo avuto figli, si rivolse agli dei, ed essi decretarono che gli fosse generato. Egli allora, quella notte, si coricò con sua moglie, ed ecco, ella concepì. Quando la donna ebbe completato i mesi di gestazione, nacque un figlio maschio. Furono convocate le sette Hathor, le divinità preposte a predire il destino degli esseri umani e dissero: «Avrà una vita piena e felice, finché un cane, un coccodrillo o un serpente, si presenteranno qui per portarlo via». Coloro che erano accanto al bimbo, all’udire tali parole, andarono a riferirle al sovrano. Egli allora si rattristò in cuor suo, poi ordinò la costruzione di un palazzo in pietra, nel bel mezzo del deserto, con all’interno persone e ogni cosa confortevole presente a corte, così che il bambino non desiderasse di avventurarsi all’esterno. Tuttavia, quando fu cresciuto, il ragazzo salì sulla terrazza e, notato in lontananza un cane al seguito d’un uomo mentre camminava per la via, domandò al suo servitore, che gli era accanto: «Che cos’è quello che cammina dietro a quell’uomo?». Ed egli rispose: «È un cane!». Il ragazzo gli ordinò: «Che me ne venga portato uno eguale!». Allora il servitore riferì la richiesta al sovrano, che, dopo lunga riflessione, decise: «Che gli si prenda un cucciolo, affinché il suo cuore non sia triste!». Così gli si fece avere il cane.
Ora, passarono i giorni, il ragazzo crebbe in tutte le sue membra e mandò un messaggio al padre, dicendo: «A che gioverà che io me ne stia qui inerte? Ecco, io sono costretto qui dal mio destino! Fa’ che sia lasciato libero di agire assecondando il mio cuore, finché il dio non abbia compiuto quanto è nel suo volere!». Gli si procurò allora un carro provvisto di ogni tipo di armi da guerra; gli si diede un servitore al suo seguito come attendente, lo si traghettò sulla riva orientale e gli si disse: «Va’, com’è tuo desiderio!»; e il suo cane era con lui. Si diresse a nord, dove visse del meglio di tutte le bestie del deserto. Infine, giunse nel paese del principe di Naharina, al quale non era stata generata se non una figlia femmina. Ora, era stata costruita per lei una casa la cui finestra distava circa sette cubiti dal suolo. Egli aveva fatto condurre tutti i figli di tutti i principi del paese di Siria e aveva detto loro: «Quanto a colui che raggiungerà la finestra di mia figlia, ella diventerà sua moglie». Ora, essi erano impegnati nella loro impresa quando il giovane passò loro accanto. Scossi dallo stato miserevole in cui versava, impietositi, lo condussero a casa loro, lo lavarono, diedero foraggio alla sua pariglia e fecero ogni cosa per lui: lo unsero di unguenti, fasciarono i suoi piedi, diedero cibo al suo attendente e infine gli chiesero: «Da dove vieni, ragazzo?». Egli rispose loro: «Io sono figlio di un ufficiale del Paese d’Egitto. Quando mia madre morì mio padre si prese un’altra moglie, una matrigna. Essa cominciò ad odiarmi ed io me ne venni via, fuggendo davanti a lei!». Essi, lo presero a benvolere e lo tennero con loro. Ora, un giorno, egli domandò ai giovanotti: «Che cos’è questo che fate?». Gli dissero: «Invero, sono tre mesi interi, fino ad oggi, che noi siamo qui, passando il tempo a saltare, poiché colui che arriverà alla finestra della figlia del principe di Naharina, egli gliela darà in moglie». Egli disse loro: «Oh, se potessi incantare i miei piedi: mi metterei a saltare con voi!». Essi andarono a saltare, come di consueto, mentre il ragazzo stette a distanza ad osservare. E il viso della figlia del principe di Naharina era rivolto verso di lui. Ora, trascorsi che furono molti giorni, il ragazzo andò a saltare insieme con i giovani dei principi. Saltò e raggiunse la finestra della figlia del principe di Naharina; ella lo baciò e lo abbracciò in tutte le sue membra. Si andò allora a rallegrare il cuore di suo padre e uno gli disse: «Una delle persone ha raggiunto la finestra di tua figlia!». Allora il principe lo interrogò dicendo: «Di chi, tra i principi, è figlio?». Gli fu detto: «È il figlio di un ufficiale, giunto in fuga dal paese d’Egitto a causa della sua matrigna». Allora il principe di Naharina si adirò moltissimo e disse: «È forse a questo fuggitivo dell’Egitto che darò mia figlia in sposa? Che se ne torni indietro!». Si andò dunque a dirgli: «Ritorna da dove sei venuto!». Ma la ragazza lo afferrò e giurò per il dio dicendo: «Per Ra-Harakhte, se qualcuno me lo porta via, io non mangerò né berrò più e morirò all’istante!». Allora il messaggero andò a riferire a suo padre tutto ciò che ella aveva detto e suo padre mandò dei sicari per ucciderlo, là dove si trovava. Ma la ragazza disse loro: «Per Ra, se lo si ammazzerà, quando il sole sarà tramontato anch’io sarò morta; non passerò viva un’ora più di lui!». Si andò allora a dirlo a suo padre ed egli fece condurre il ragazzo al suo cospetto, insieme con sua figlia. Il ragazzo si presentò a lui e nel principe maturò un improvviso rispetto nei suoi confronti, lo abbracciò, lo baciò su tutte le sue membra e gli disse: «Dimmi la tua condizione! Ecco, tu sei per me come un figlio!». Ed egli ripeté la sua storia. Allora il principe gli diede sua figlia in moglie e gli diede anche una casa e dei campi ed ugualmente del bestiame e ogni altra cosa buona.
Diverso tempo dopo, il giovane confidò a sua moglie: «Io sono comandato a tre destini: il coccodrillo, il serpente, il cane». Allora lei gli disse: «Fa’ uccidere questo cane che ti segue!». Ma egli la zittì: «Non dire sciocchezze! Io non farò uccidere il mio cane, che io stesso ho allevato da quando era cucciolo». Essa si mise perciò a custodire suo marito molto attentamente e non permetteva che egli uscisse fuori da solo. Ora, dal giorno in cui il giovane era venuto dal Paese d’Egitto girovagando, il coccodrillo, il suo destino, l’aveva seguito e si trovava nei pressi del villaggio dove stava il giovane, nel mare. Vi era in esso un genio e il genio non permetteva che il coccodrillo ne uscisse, ma anche il coccodrillo non permetteva che il genio uscisse dall’acqua. Al sorgere del sole entrambi si levavano, combattendo tra loro, e andava avanti così per un periodo di due-tre mesi. Un giorno, dopo la fine della brezza serale, il giovane si coricò felice sul suo letto e il sonno si impossessò delle sue membra. Allora sua moglie riempì una ciotola di vino e riempì un’altra ciotola di birra. Un serpente uscì in quel momento dalla sua tana per mordere il giovane, ma la donna, seduta al suo fianco senza dormire, pose le ciotole davanti al serpente; esso bevve e si ubriacò, quindi si addormentò a pancia in su. Allora la donna, presa l’ascia, lo fece a pezzi. Svegliato poi suo marito ella gli disse «Ecco, il tuo dio ti ha posto in mano uno dei tuoi destini! Egli ti custodirà...». Egli fece dunque offerte a Ra, adorandolo ed esaltando la sua potenza, ogni giorno.
Trascorsi molti giorni da ciò, il ragazzo uscì a passeggiare, per divertirsi nel suo possedimento; sua moglie non uscì con lui, ma il cane lo accompagnava. All’improvviso il cane prese la parola, dicendo: «Io sono il tuo destino!». Intimorito, egli fuggì e, arrivato al fiume, entrò nell’acqua. Qui lo afferrò il coccodrillo e lo trascinò nel luogo dove stava il genio. Il coccodrillo disse al giovane: «Io sono il tuo destino, che ti ha seguito! Da mesi lotto con il genio; ed ecco, io ti lascerò andare se tu mi aiuterai a sconfiggerlo». Il giovane acconsentì e, dopo che la terra si fu schiarita e venne un secondo giorno, si mise in cammino verso il posto indicatogli dal coccodrillo. Quando di lontano vide la mostruosa creatura, lo colse un grande spavento, ma non si perse d’animo e studiò un piano. Con l’aiuto dei servitori al suo seguito e del cane scavò una profonda buca, infine andò incontro al genio attirandone l’attenzione con alte grida e gesticolando con mani e braccia. Come previsto, il genio lo inseguì e cadde nella trappola, le cui pareti erano talmente lisce da impedirgli di uscire. Mentre cadeva, il genio tentò istintivamente di afferrare la gamba del ragazzo, ma riuscì soltanto a sfiorarne la caviglia con la punta acuminata di un’unghia. Il coccodrillo fu grato al principe e rispettò la promessa fattagli.
Quando sua moglie ebbe un figlio, il giovane decise di far ritorno nel suo regno per far conoscere la sua famiglia a suo padre. Il coccodrillo gli concesse di attraversare il Nilo per tornare al suo paese e il padre lo accolse con ogni onore, felice che né il cane né il serpente né il coccodrillo ne avessero segnato la fine. Quando si avvicinò la propria morte, benedisse il figlio e affidò a lui e alla sua consorte il regno d’Egitto. Trascorsero così lunghi e felici anni, finché, un giorno, il re chiamò a sé il figlio; abbracciatolo, gli parlò con tono rassicurante: «Ascolta, figlio mio: sappi che a nessuno – neppure al più potente dei re – è dato di conoscere con anticipo il proprio destino e perciò vivi liberamente la tua vita cercando di essere lieto di quel che incontri sul tuo cammino come lo sono stato io». La piccola piaga, causatagli dal graffio del genio, intanto, si era estesa, prima al polpaccio e poi all’intera gamba del re, rendendogli doloroso ogni movimento. La regina si rivolse ai medici di corte, ma essi non si decidevano a intervenire. «Bisogna trapanare il cranio e farne uscire i fluidi!» diceva uno. «Sciocchezze! La piaga va trattata con essenze aromatiche e fasciata!» diceva un altro. E l’ultimo: «L’unica soluzione è coprire la ferita col fango del Nilo, invocare l’intervento degli dei e, in mancanza di miglioramenti, non resterà che l’amputazione dell’arto». Ma non trovavano un accordo, allora il cane passò in mezzo a loro e si avvicinò al padrone, lo morse nel punto da dove era partita la ferita e ne uscì un fiotto di sangue nero e putrescente. La regina, memore della profezia, afferrò un pugnale decisa a uccidere la bestia, ma il re le fermò il braccio e ringraziò il cane per avergli permesso di capire che l’origine del male era nella ferita inflittagli dal genio. Insieme all’animale, raggiunse dunque le sponde del Nilo e salito su una feluca partì in cerca di una cura, scortato da due schiere di coccodrilli.
Si dice che, raggiunto il genio, gli chiese se c’era un mezzo per ottenere la guarigione ed egli rise e gli rispose: «Il tuo destino è ormai compiuto: l’unica cura era rappresentata dalla saliva del serpente che tua moglie ha ucciso per salvarti». Allora il cane disse: «Io sono il tuo destino: io ho la chiave del regno dei morti e posso condurti dal serpente, prima che il tuo tempo scada».
Il
re riprese dunque il suo viaggio lungo il fiume, guidato dal fedele cane che
conosceva il percorso e i riti magici necessari a condurlo negli Inferi.
Il regno, il figlio e la sua regina ne stanno attendendo, fiduciosi, il ritorno.
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