sabato 17 febbraio 2024

Un granello di sabbia



Mi chiamo Giovanni, ho 29 anni e sono un ammalato psichiatrico, in pratica un matto. Attualmente mi trovo in una comunità a bassa protezione, dove di notte siamo da soli perché i medici hanno sentenziato il nostro raggiungimento di una discreta autosufficienza.

La vita scorre tranquilla, anche se non so fino a che punto questa definizione possa essere utilizzata per un matto. Ci prepariamo da mangiare da soli, abbiamo i turni per le pulizie e non ci è proibito fare passeggiate in città.

Vengono anche organizzati corsi di pittura, di teatro e attività varie attraverso le quali comunichiamo l’espressione del nostro sentire creativo. Sono cose interessanti che mi coinvolgono e mi fanno sentire meno prigioniero.

Al termine le attività vengono presentate pubblicamente e questa è una cosa utile perché dovrebbe permetterci di costruire degli anelli di congiunzione con il mondo dal quale siamo esclusi.

Purtroppo, spesso succede che al centro dell’attenzione non ci sia il nostro lavoro, ma gli esponenti del mondo altro (medici, personale sanitario, operatori vari ed esperti) che l’hanno promosso e organizzato. Viene esplicitato il concetto per il quale non siamo noi gli artefici del manufatto, ma il merito va ascritto esclusivamente a loro perché in loro assenza nessuno avrebbe riempito il nostro vuoto. Diventiamo così il foglio di carta sul quale si scrive, il cartoncino o la tela da disegno e il palco calpestato dagli attori. Di fatto siamo merce da esposizione.

E nel groviglio dei miei pensieri irrompe la voce di Ronald David Laing che sentenzia: «Se veramente volessi, nel corso della mia vita, arrivare fino in fondo a ciò cui stavamo lavorando nel cercare di capire cos’è la normalità e cos’è la follia, e chi è sano, se esiste, e chi è pazzo, se esiste, e qual è questa differenza, io per primo dovrei scendere dal mio piedistallo e pormi in un rapporto da uomo a uomo di fronte ad una persona che si trova nella condizione da essere considerata “pazza” da altri. Allora in base a questo rapporto da uomo a uomo, entrambi potremmo correre, incontrandoci gli stessi rischi». E quello di cui sono orfano è proprio il rapporto “da uomo a uomo”. E mi pervade un senso di profonda tristezza e malinconia quando chi a cui mi sono affidato ciecamente mi mette il guinzaglio per mostrarmi nell’affollato centro cittadino. Mi sento addirittura subdolamente saccheggiato della mia umanità mentre lor-signori si esibiscono con un lavoro che è composto da brandelli della mia umanità.

E allora mi auguro che i riflettori si spengano al più presto affinché possa re-immergermi nell’oscurità, dove vivo, al di là della linea, la mia vita da matto, ridiventando un minuscolo e impercettibile granello di sabbia che volteggia in un urlante silenzio alla ricerca di una direzione.

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