Francesco Belluomini (Viareggio 1941, Camaiore 2017). Poeta e operatore culturale, ha fondato nel 1981 il Premio Letterario Camaiore dedicato alla poesia, di cui è stato presidente fino al 2016, lasciando poi l’eredità del titolo alla moglie Rosanna Lupi. Ha all’attivo, in circa 40 anni di produzione, una trentina di libri editi tra poesia e narrativa, alcuni pubblicati postumi tra i quali figura Il mercato delle idee (Di Felice Edizioni, 2021) di cui ci occupiamo in questo articolo. È presente in tantissime antologie e monografie, tra le quali figurano alcune delle più significative uscite nel secondo novecento e inizio (nuovo)millennio, molte delle quali curate dai maggiori esponenti del mondo letterario contemporaneo. Nel suo lungo viaggio letterario Belluomini ha ricevuto significativi riconoscimenti, anche in ambito internazionale. Tra questi ricordiamo nel 2011 la presentazione del suo libro “Occasioni di poesia”, Ed. Tracce, all’interno del quadro delle manifestazioni indette dall’UNESCO e il Premio dell’University International di San Francisco, California. È stato tradotto in diverse lingue.
Con grande piacere torno ad occuparmi dell’opera di Francesco Belluomini, dopo aver già parlato di uno dei suoi libri più significativi, a mio avviso, ovvero di quel Nell’Arso nelle sponde. Viareggio 29 giugno 2009 (Bonaccorso Editore, 2010) nel quale, traendo spunto dal terribile incidente ferroviario che provocò proprio nella data citata nel titolo del libro ben 32 morti, passando alla storia come la strage di Viareggio, l’autore, partendo da un’avventura dolorosamente empatica e cosciente, ci porta per mano facendoci incontrare l’essenza del fatto di cronaca, ovvero l’essenza interiore e profonda di quelle che furono le vittime, di coloro che persero qualcuno nella strage provando, in un dialogo immaginario, a creare una relazione, un flusso di contatto con tutti i personaggi, tanto adulti quanto bambini, producendo un documento che si pone a colmare le lacune della storia, non potendo la mera versione cronicistica rappresentare l’interiorità del vissuto dei protagonisti della tragedia stessa. Rimando per una lettura completa dell’articolo al seguente link: https://altritaliani.net/la-poesia-del-viareggino-francesco-belluomini/
Non distante da questa modalità di esprimersi in poesia, cara a Belluomini, si colloca anche il recentissimo Il mercato delle idee che, ad ogni buon conto, può essere considerato il testamento morale di questo grande interprete dei nostri tempi.
Ma partirei dal titolo di questo libro che contiene al suo interno riferimenti importantissimi in vari ambiti, specie oggi laddove, grazie anche alle nuove tecniche di comunicazione, tale mercato ha assunto una dimensione globale di confronto pubblico e più libero, anche quale esercizio di democrazia e educazione mentre, in ambito filosofico, già autori come John Milton e John Stuart Mill affermavano che il diritto e la libertà di parola, già presenti nella democrazia della polis greca dove ci si confrontava in assoluta libertà, sono necessari al vivere civile poiché le verità sono parziali, ed è dal confronto con queste che l’umanità può progredire. Del resto anche Voltaire in una delle Lettere filosofiche intuiva che il mercato delle idee era da considerare alla stregua del libero confronto finanziario della Borsa di Londra, ovvero quale fondamento della tolleranza anche religiosa e di una civile convivenza.
Tanto premesso, - e forse in controtendenza all’affermazione che il verso che dà il titolo al libro possa essere concepito solo in un’accezione negativa - è facile immaginare come, anche per quest’opera, si possa affermare che la stessa poetica dell’autore contiene, al suo interno, una base di necessità data dal confronto delle idee per poter rafforzare le intuizioni, spesso folgoranti, che la poesia ci propone quale mezzo di verità con il quale è difficile mentire. E, Belluomini infatti, non mente. A partire da ciò che vuol renderci della sua vita, nei passaggi principali delle due sezioni intitolate L’Abbiccì e Marittime vicende, affrontando col bisturi preciso dell’endecasillabo, quei passaggi biografici che lo trasformano da navigante/su quasi tutti i mari della terra passando da fare il ragazzo di bottega/per fabbri, carpentieri e fontanieri, catapultandosi in un inizio di avventura dove, come dice egli stesso: pareva non avessi la patente/per essere credibile scrivano/di versi, per assenza di modelli/se non quelli dei classici di sempre, sino ad approdare alla fondazione e presidenza di uno dei Premi Letterari più significativi d’Italia, capendo l’urgente bisogno dei lettori/della poesia, togliendo l’esclusiva/a chi li stesi versi li scriveva. E, ancora, continuando su questa scia, l’autore ci accompagna nella sua vita, nei suoi viaggi, nei suoi incontri, tra i quali spicca quello con l’amatissima moglie Rosanna, sempre mantenendo un tono colloquiale con il lettore, al quale si apre proponendosi come uomo-poeta-narratore che si è formato sul robusto insegnamento/ricavato dai porti degli attracchi/cui son finito come navigante,/esplorando tra popoli diversi/e valutando quali differenze./Ma pure cumulando l’amozioni/dei passaggi dai golfi e dagli stretti, delineando un vissuto che si è fatto carico, attraverso l’enorme esperienza maturata, di convincimenti che lo portano alla capacità di restare immune da gioghi o condizionamenti, che avrebbero potuto interferire col suo vissuto e col ruolo assunto nel tempo.
Ma, la grande capacità empatica di Belluomini, quel talento che lo porta a immedesimarsi negli altri e nel loro sentire, ponendosi con grande maestria nei loro panni sino a diventare parte inscindibile con essi, è ben rappresentata nella seconda parte del libro, Voci dall’Inferno, laddove, così com’era successo per L’arso delle sponde egli, dando voce ai personaggi della vicenda che racconta ci presenta, oltre all’evento, il loro sentire durante e dopo la vicenda stessa aprendoci a ciò che più ci ferisce, rendendoci partecipi in quanto essere umani a quelle debolezze, a quelle sofferenze, a quelle indicibili e inimmaginabili memorie che non si cancelleranno mai dalle loro e dalle nostre menti. Sullo sfondo dei campi di concentramento, nell’ammasso dei corpi trasportati sui carri bestiame, accatastati nelle camere a gas, in quegli occhi di bambini sottoposti a esperimenti, nell’espediente studiato da coloro che cercarono di salvarsi assuefacendosi al male, attraverso la meccanica macchina metrica di una versificazione dai caratteri più che definiti, sta tutta la tragedia di un’umanità più volte offesa ma che vorrebbe continuare a sperare nel bene, se pure a volte sembra impossibile anche solo immaginarlo.
Passando dai toni biografici ai toni drammatici a quelli dell’invettiva, anche politica, ci ritroviamo a condividere con l’autore il suo Punto Fermo, sezione finale del libro. Qui viene affrontato, non senza una venatura polemica con i suoi detrattori, il tema dello stile e della lingua utilizzata per i suoi testi. La discussione (metapoetica) volge sulla possibilità dell’uso della gabbia metrica dell’endecasillabo che non garantirebbe la giusta dimensione emotiva del contenuto: Sembra questo linguaggio da mercati/generali sprovvisto d’emozioni;/come l’endecasillabo serrato/non permette spiccare qualche volo./Sempre sin troppo facile stivare/parole negli spazi convenuti… Qui non posso che riprendere quanto già detto nella recensione sopra citata a Nell’arso delle Sponde, in merito al tema, in quanto perfettamente calzante: “L’uso di questa modalità stilistica, parte integrante della nostra tradizione letteraria, abbandonata dalla maggior parte dei poeti del nostro ‘900, diventa per il nostro autore strumento non solo metrico ma anche metodologia narrativa che si rifà all’oralità, e fonte metapoetica di riflessione. La scioltezza del racconto e del respiro che traspare alla lettura – anche solo intima – riporta, infatti, alle narrazioni orali: dai grandi poemi alle fiabe, dalla poesia più alta alle filastrocche, riprese spesso dai grandi poeti come Carducci (ad esempio nel testo Davanti a San Guido), la forma ci introduce nel mondo delle mitiche corti illuminate così come nelle strade e nelle osterie frequentate dai giullari dove, dagli aedi ai cantastorie, dai saltimbanchi ai trovatori la poesia veniva raccontata, vissuta, raccolta dai potenti e dalla gente comune, ergendosi a mezzo espressivo di comunicazione, a denuncia dei fatti, a commento della vita stessa. Ed è proprio il commento, che si fa riflessione e poi visione che propone Belluomini attraverso la forma stilistica dell’endecasillabo usata con maestria. É come se dai suoi versi così ritmicamente incatenati, nei quali non mancano di affiorare a tratti rime e assonanze tanto da renderli musicalmente orecchiabili, nascesse potente anche il suo messaggio di poeta che vuole farsi a sua volta strumento necessario per confrontarsi col mondo.”
Per concludere confermerei una mia tesi su un’altra delle grandi discussioni che si tessono interno alla poesia, ovvero la diatriba sull’utilità o meno del genere, sugli scopi che può avere a fronte di una mera lettura, che può solo essere considerata per quello che dà all’impronta: ebbene, i testi di Belluomini, si impongono ancora una volta come mezzo culturale di mediazione tra l’inconscio del poeta e quello del lettore, promuovendo una condivisione di pensieri su ciò che diventa speso, passando dall’arte, anche profezia.
Scarpe Vecchie
Le vecchie scarpe tanti transitati
marciapiedi ti raccontano; se guardi
sotto la suola polvere e residui
stradali ti ricordano che cosa
stavi facendo, dove stavi andando
e quali superfici calpestate.
Osservando l’usura di quei tacchi
capisci quanto tempo l’hai calzate
dove t’hanno condotto fedelmente,
che prima di buttarle ci rifletti
e pensi di gettare con le stesse
anche quella tua parte d’esistenza.
Non credo sia calzante paragone
assimilare logori cappotti
giacche sdrucite, lisi pantaloni
a quelle scarpe vecchie, perché tali
indumenti sei tu che li trasporti,
mentre quelle il tuo peso sopportano
e sorretto dovunque eri diretto.
Che forse ci ripensi e le trattieni
come piccola storia di te stesso.
*
Self- Service
I venti senza storia sono quelli
che girano nei vortici con varie
direzioni. Lo stesso per quell’acqua
che segue le correnti senza propria
propulsione. Così come la gente
che segue capipololo con tale
servitù da disperdere sé stessi
ed il senso di critica coscienza.
Non c’è bisogno d’essere e mostrarsi
le pedine de gioco della vita,
che bisogna attivare del cervello
almeno quella zona più sopita
di sviluppo del libero pensiero.
*
Ultima strada
a Vittorio Genovali
Sono molte le strade da percorrere
per chi s’affaccia nuovo all’esistenza;
e tu Vittorio tane ne hai percorse
per rendere affrancata la famiglia.
Non importa se pochi non capito
l’estensione di tale tua grandezza;
la gente di Viareggio men capace
non contiene l’invidia né rinuncia
a sporcare le pagine più belle.
Ma questo molto poco ti riguarda
che lasci seminati di rimpianto
non solo nei ristretti familiari.
Sei finito nell’oltre del terreno
ed ora mostra loro le tue mani
e percorri quell’ultima tua strada
senza temere d’essere respinto.
Bologna, 4 aprile 2021
Cinzia Demi
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