domenica 1 novembre 2020

QUEL CHE I LIBRI NON DICONO




“Beh, i libri, sì, vero, mi hanno insegnato tanto!”
Si sedettero, l’uno di fronte all’altro. Appena fuori dalla loro penombra, il sole, un caldo sole d’inizio estate, inondava il prato tutt’intorno e colorando sul verde appena bagnato una luce che sapeva di buongiorno. Rilassati, lasciarono che alle loro ultime parole seguisse il silenzio dei pensieri, quelli muti perché alla ricerca di altre giuste parole da dire. Che altro sono i pensieri, dopo tutto, se non quel che si sa di avere proprio sulla punta della lingua, ma che è bene ancora tenere in serbo, come si fa con un regalo incartato che sa attendere il giusto momento.

Oltre il grande salice piangente, i due figli dell’amico, un bambino e una bambina, giocavano a rincorrersi sotto lo sguardo annoiato e sonnacchioso di un vecchio labrador. Quella mattina, una festa nazionale permetteva quasi a tutti di prendere tutto il tempo che si voleva, senza dover correre come dei taxi o ancor peggio infilarsi all’ultimo secondo dentro un vagone affollato del metrò tra le otto e le nove di un lunedì o le quattro e le cinque di un venerdì pomeriggio.

“Mmmhhh, lo sappiamo dai libri!”, esclamò stiracchiandosi come svegliandosi da un sonno breve ma profondo. “Sì, ma, poi, che cosa veramente sappiamo della vita, del mondo, di noi?”. “Poco, pochissimo!”, rispose. Poi, aggiunse: “Pensiamo di sapere e invece non sappiamo niente!”. Si diedero un’occhiata d’intesa. ”Già! Proprio così! Niente!”.

A quest’umiliante ammissione fece seguito il confortante pensiero che quella, e solo quella, era la verità assoluta di fronte alla quale, braccia mani ben in alto, non si ha paura di dire: Basta, basta così! Mi arrendo! Dopo la resa viene la pace e con questa il desiderio di restare fedeli al patto di non belligeranza e di totale disarmo. Solitamente ci pensa la sera, sotto la doccia, a lavarci dalle schifezze della giornata morente. Sul piatto, rivoli di sporcizia e di sangue.

Eppure, erano due professori. Due lauree ciascuno, numerosi articoli e saggi pubblicati, corsi di successo molto frequentati, insieme a libri letti, un’infinità, durante tutte le ore del giorno e le prime della notte. Era molto raro vederli senza un libro in mano.

Risuonò come un’eco, l’ammissione di sconfitta e di resa: Pensiamo di sapere e invece non sappiamo niente. Entrambi, ma segretamente, pensarono che, quel: Basta! Mi arrendo! era doloroso, molto doloroso. Ammettere di essere stati vinti, bruciava e non solo l’orgoglio, ma anche tutta la loro vita.

“Allora, dimmi: Che senso daresti a vite come le nostre?”, domandò dopo aver allungato lo sguardo verso i bambini. 
“Nessuno!”
“Nessuno?”
“Sì, nessuno! E ora, non guardarmi con quella faccia”. Infatti, il volto si era fatto teso e il colorito più rossiccio del solito, come a voler esprimere sorpresa e imbarazzo. “Dai, su, lo sai che la vita è un gomitolo molto aggrovigliato”. Lo guardò abbozzando un mezzo sorriso, quasi una smorfia ironica o di dolore.

“Amico mio, qui si entra in un labirinto dal quale non se n’esce fuori”.
“Lo penso anch’io!”.
“Ma, forse, c’è Arianna, col suo filo!” 
“No, non c’è!”
“Ma, allora, siamo perduti!”
“Sì, sin dal giorno della nostra nascita!”
“Terribile! Terribile!”
“Sì, una tragedia! Una vera tragedia!”

La loro penombra divenne come la notte, ma poi ci pensarono i bambini con le loro piccole, squillanti risate, a lasciarli ancora in vita. E non stavano sognando.

“Che cosa stai pensando?”
“Che i libri non sono altro che un canto consolatorio.”
“Lo penso anch’io! Mi piace! Sì, un canto consolatorio!”
“Consolatorio e ingannevole.”
“No, ingannevole no! Consolatorio!”
“In fondo, sappiamo così poco della vita e la vita sa così poco su di noi, su di me, su di te!”
“E anche questo è vero, verissimo, amico mio, eccome se lo è!”
“In tutta onestà, puoi dire di conoscerti?”
“No!”
“Lo vedi! È proprio così! Che ne sa la vita di te, di me, di noi?”
“Coabitiamo, ma ognuno nella sua stanza. Stesso condominio, ma ognuno nel suo appartamento.”
“E il mondo?”.
“Beh, il mondo è come questo giardino!”
E il giardino era bellissimo. Lì c’era tutto quello che amava di più: i suoi bambini, la moglie, un buon amico, i fiori, la casa con dentro tutti i suoi libri, il cielo. Mise i suoi occhi lucidi dappertutto e si sentì… felice.
“Dai, però, qualcosina la sappiamo!”
“Sì, dai, qualcosina la sappiamo!”
E scoppiarono a ridere. Una risata così sonora che i bambini si fermarono e, poi, di corsa li raggiunsero. 
Perché ridete? Perché ridete?”, domandarono saltellando a più riprese attorno a loro due. Persino il vecchio labrador, intuendo che doveva esserci qualcosa d’importante, li raggiunse, pur flemmaticamente, scodinzolando. “Perché ridete? Perché ridete?” continuarono a domandare i bambini con incontenibile allegria. Allora, i due si fecero seri, anzi serissimi, e dopo essersi donati uno sguardo d’intesa, in coro risposero: “Perché siamo felici!”
“Ah, perché siete contenti!”, disse il bambino buttandosi addosso al padre. 
“Sì, perché siamo contenti!”
“Allora, venite a giocare con noi?”
L’amico diede la mano alla bambina e tutti insieme si diressero verso il salice piangente. In quel momento, si affacciarono sulla veranda le due mogli.
Erano appena rientrate dalla loro quotidiana passeggiata durante la quale si erano scambiate un sacco di confidenze. “Sai cara, stamattina devo confidarti che qualche volta ho l’impressione di non sapere quasi nulla su mio marito.”
“Se può esserti di conforto, anch’io penso questo del mio”. Poi, sorrisero e risero.
“Ma quel libro che hai terminato di leggere due giorni fa, a proposito, non dice che…” 
“Ma che vuoi che ne sappiano i libri sulle nostre vite!” 
“E dai, però, qualcosina sì!”
“Sì, qualcosina sì! Ma solo qualcosina!”
“Mamma, mamma, vieni!” gridò la bambina.













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