Yu Hua 余华, Una storia d’amore
traduzione di Ardea Montebelli (10 luglio 2019)
(vietata la riproduzione anche parziale senza consenso)
(vietata la riproduzione anche parziale senza consenso)
Yu Hua e Ardea Montebelli |
In quel giorno d’autunno
del 1977 il cielo era particolarmente luminoso. Due adolescenti sono saliti su
un autobus piuttosto malandato diretti verso una località situata a 20
chilometri di distanza. Il ragazzo ha acquistato i biglietti, la ragazza è
rimasta in disparte fuori dalla stazione oltre il palo della luce di cemento.
Tutt’intorno si sono sollevate foglie secche e polvere, il ronzio che proveniva
dal palo della luce ha coperto i confusi rumori circostanti, lo stato d’animo
della ragazza era monotono come potrebbe esserlo la pagina di un testo scolastico.
Lei, senza farsi vedere, ha guardato in lontananza la piccola porta della
stazione che era spalancata, il suo sguardo era calmo come l’acqua. Poi il
ragazzo con il viso pallido e smunto è uscito dalla stazione, sapeva che la
ragazza era rimasta fuori ma non l’aveva vista e si era diretto verso il ponte.
Mentre si allontanava continuava a guardarsi intorno con fare agitato. Poco
dopo è arrivato al ponte e lì si è fermato con l’animo turbato. La ragazza ha
dato un’occhiata in quella direzione e lui l’ha vista: i loro sguardi si sono
incrociati. Lui l’ha fissata con disprezzo e lo sguardo di lei invece non era
cambiato, era sempre lo stesso. Quando si è voltato era molto arrabbiato. Da
quel momento in poi è rimasto in piedi sul ponte e non l’ha più guardata. Credeva
però che lei lo stesse guardando fin dall’inizio e questo pensiero lo spaventava
molto. Vedendo che intorno non c’erano conoscenti è andato verso di lei: era
terrorizzato ma la ragazza non si è accorta di nulla. Era così emozionante vedere
questo giovane di carnagione chiara avvolto dalla luce del sole venirle incontro.
Lei, leggermente emozionata aveva il sorriso stampato sul volto tuttavia lui,
arrivato al suo fianco, ha spento quel sorriso esprimendo tutta la sua rabbia e
dicendo sottovoce: “Riesci ancora a ridere in questo momento?” Lui le aveva sciupato
il sorriso. La ragazza lo ha guardato con un certo nervosismo perché la sua espressione
era piuttosto feroce. Poi ad un certo punto le ha detto: “Quante volte ti ho
detto che non devi guardarmi, devi fingere di non conoscermi. Perché mi guardi?
Ti detesto”. La ragazza non si è minimamente ribellata. Ha solo deviato lo
sguardo per concentrarsi su una foglia dell’albero ingiallita e appassita. Ha
poi sentito la voce di lui che diceva: “Dopo essere salita sull’autobus trovati
un posto a sedere, se non ci sono conoscenti, mi siedo accanto a te. Se c’è
qualcuno che conosco sto in piedi a fianco della porta. Ricordati, non ci
dobbiamo parlare”. Lui le ha consegnato il biglietto e lei dopo averlo preso si
è subito allontanata. Il ragazzo non si è diretto verso la sala d’aspetto ma è
andato verso il ponte. Da allora sono passati 10 anni, questa ragazza oggi ha
circa 30 anni ed è seduta di fronte a me. Siamo nella nostra casa, è il momento
del crepuscolo, la tenda è appesa alle due estremità, l’ultimo bagliore del
sole brilla sul davanzale. Lei è seduta su una sedia, sta lavorando a maglia
una sciarpa azzurra. Nonostante la lunghezza della sciarpa abbia superato la
sua altezza, continua a lavorare a maglia. Nell’autunno del 1977 siamo andati
insieme in una località situata ad oltre 20 chilometri di distanza. Ci
conosciamo dall’età di 5 anni, dopo aver percorso insieme una lunga strada
in salita, è successo un qualcosa che ha ci ha spinti al matrimonio. La prima
volta che abbiamo avuto un rapporto sessuale avevamo 16 anni. Quando eravamo
sul punto di terminare la nostra storia lei è rimasta incinta. È rimasta
incinta proprio in quel momento, al nostro primo rapporto sessuale. Lei se ne
sta sempre seduta davanti alla finestra, da 5 anni ha gli stessi atteggiamenti,
io incrocio il suo sguardo ma come posso provare passione nei suoi confronti?
Da molti anni ce l’ho davanti agli occhi e questo mi deprime. Il mio più grande
errore è stato quello di non rendermi conto, la notte precedente al matrimonio,
che l’avrei avuta davanti a me per sempre. Perciò con il passare del tempo la
mia vita si è logorata. Mentre lei sta facendo la sciarpa, prendo in mano una
lettera dello scrittore Hong Feng. La sua straordinaria esperienza mi commuove,
sento che la mia vita, simile a un vecchio giornale, va avanti senza
motivazioni. Anche io come lei sto continuamente seduto a ripetere le stesse
cose e a dimostrarle quanto siano terribili i giochi dell’infanzia. Le chiedo infinite
volte: “È mai possibile che tu non pensi di conoscermi troppo?” Ma lei mi
guarda perplessa. Continuo a dire: “Noi ci conosciamo da quando avevamo 5
anni, dopo oltre 20 anni inaspettatamente stiamo ancora insieme. E chi di noi
due può ancora sperare che l’altro cambi?” Lei ascolta con una certa agitazione.
“E poi basta guardarti, tu per me da molto tempo sei come un foglio bianco
appiccicato al muro e io per te non sono la stessa cosa?” Quando l’ho vista
piangere, mi
è sembrato così stupido. Ho proseguito: “L’unica cosa che facciamo è rimanere
legati al ricordo del passato ma rimanendo troppo legati ai ricordi tutto diventa
prevedibile come può essere prevedibile la colazione quotidiana”. Quando
all’età di 16 anni abbiamo avuto il nostro primo rapporto sessuale eravamo
sul punto di terminare la nostra storia. In quella notte non c’era la luna
eravamo sull’erba al centro del campo sportivo della scuola. Ci abbracciavamo
tremando perché eravamo molto spaventati. Poco distante, su quel sentiero c’erano
delle persone che camminavano con la torcia elettrica in mano: le loro voci nella
notte erano taglienti come un pugnale. Più volte mi è venuto il panico e sarei
scappato via, solo che lei mi teneva stretto. Pensando a quella scena, non mi
sono proprio reso conto dell’imbarazzo di essermi trovato in una situazione del
genere. Appena penso a quella notte sento l’umido delle gocce di rugiada
sull’erba. Quando la mia mano è arrivata con impeto sul suo vestito, la
temperatura calda del suo corpo mi ha fatto venire i brividi. La mano poi è
scesa fermandosi sotto la pancia ed ho avvertito un qualcosa di umido come se
fosse quel prato. Inizialmente non volevo fare nulla, pensavo che bastasse accarezzare.
Poi ho voluto realmente dare un’occhiata, volevo davvero rendermi conto di come
fosse fatta quella parte. Ma in quella notte non c’era la luna. Mi sono
avvicinato ed ho solo sentito una ventata di odore insipido. Da quella parte
scura e umida proveniva un odore che non avevo mai sentito prima e non era così
eccitante come immaginavo. Sebbene fosse così, poco dopo l’ho fatto. L’impeto
del desiderio nei giorni successivi mi ha quasi distrutto, ho progettato varie
volte di suicidarmi, avrei voluto fuggire. Con il passare del tempo aumentavano
le probabilità che lei fosse incinta, pensavo di crollare per la disperazione.
Quei pochi minuti di felicità intensa li ho odiati a morte. In quel giorno del
1977 io e lei siamo andati in quella località, ho sperato che l’ospedale
situato a fianco della strada potesse confermare che si era trattato solo di un
falso allarme. Nelle situazioni difficili lei aveva un modo di manifestare la
tensione molto diverso dal mio: non era impetuosa né violenta. Quando ho
proposto di andare in ospedale per un controllo, lei ha immediatamente pensato
a quel posto lì e sinceramente mi ha stupito il vederla così calma e razionale,
ostentando anche un po’ di sicurezza. In questo modo nessuno avrebbe saputo del
misterioso controllo che avremmo dovuto fare. Poi ha accennato con un certo
fervore che là era già andata 5 anni prima, ha descritto la strada. Quando
la nave di lungo corso a riposo è attraccata sulla spiaggia ha manifestato i
suoi sentimenti: e questo mi ha fatto molto arrabbiare. Le ho detto che il
motivo della nostra partenza non era un divertimento ma un controllo e per
giunta poco piacevole. Le ho anche detto che se l’esito del controllo fosse
stato positivo, saremmo stati espulsi dalla scuola e cacciati via di casa dai
nostri genitori. Dal risultato di questo controllo dipendeva il nostro futuro.
Le chiacchiere su di noi avrebbero avuto vita lunga, un po’come succede alla
polvere sulla strada. Alla fine avremmo potuto solo suicidarci. Solo in questo
momento lei sembrava in preda al panico. Dopo alcuni anni mi ha detto che
l’espressione del mio volto era terribile. Avevo progettato la fine del nostro
rapporto, è evidente che la mia rabbia abbia destato in lei un grande stupore. Ma,
non era veramente disperata neppure nei momenti di panico. Credeva che almeno i
suoi genitori non l’avrebbero cacciata dalla famiglia ammetteva però, che al massimo
l’avrebbero punita. Mi ha consolato con queste parole: “La punizione è meglio
del suicidio”. Quel giorno ero l’ultimo a salire sull’autobus, l’ho guardata
salire da dietro, lei si è continuamente girata a sbirciare dalla mia parte. Le
ho detto di non guardarmi e più volte ricordato che era sempre una pagina
vuota. Quando sono salito l’autobus era già in moto, non sono andato subito a
sedermi, sono rimasto in piedi a fianco della porta, il mio sguardo si è
soffermato sul volto di ogni passeggero: ne ho riconosciuti come minimo venti
che avevo già incontrato in passato. Perciò non potevo andare a sedermi dalla
parte dove erano seduti loro, sono rimasto in piedi, guardavo come quella
strada tremendamente dissestata si prendesse gioco del nostro autobus. Mi
sentivo come se fossi stato messo dentro una bottiglia e poi scosso dalle
persone. Quando ho sentito che lei mi stava chiamando mi sono subito spaventato.
A causa della sua insensatezza mi sono infuriato e non ho risposto. Speravo che
lei smettesse di gridare ma, invece, continuava quel fastidioso grido. Ho
girato solo la testa, la mia faccia era di un verde spaventoso come l’erbaccia
sul ciglio della strada, tuttavia lei aveva un sorriso ingenuo, fingeva di
essere stupita come se ci fossimo incontrati per caso. Poi mi ha invitato a
sedermi nel posto libero accanto a lei: non ho potuto fare diversamente, sono
andato. Dopo essermi seduto, ho sentito il suo corpo avvicinarsi a me fino a
stringermi. Mi ha detto molte cose ma non ne ho ascoltata nemmeno una e per non
darlo a vedere ho annuito con il capo. Tutto questo ha fatto sì che fossi confuso
e preoccupato. Ad un certo punto la ragazza, senza farsi vedere, ha preso le
mie dita, io mi sono immediatamente sbarazzato della sua mano e lei è rimasta a
dir poco sorpresa di come ho reagito. Penso che mi abbia preso per pazzo, in
seguito alla mia indignazione ha smesso di parlare e non ha più steso la mano.
Come se si sentisse offesa per un torto subito ha girato la faccia, si è messa
a guardare fuori dalla corriera il desolato paesaggio. Tuttavia la sua
tranquillità non è durata a lungo: dopo un tremito violento, d’impulso ha fatto
una risatina e avvicinandosi a me ha detto: “Il bambino nella
pancia è sconvolto”. Il suo scherzo ha solo incitato la mia ira perciò mi sono
avvicinato a lei digrignando i denti e le ho detto sottovoce: “Chiudi la bocca”.
Poi ho visto qualche nave che attraccava sulla spiaggia: due di queste sono
state brutalmente demolite; una sola era ancora intatta. Qualche uccello grigio
volteggiava sulle piante acquatiche della spiaggia. Poco dopo, la corriera è
entrata in stazione. Dalla stazione sono usciti due adolescenti, proprio in
quel momento un camion è passato al loro fianco e la polvere che si è sollevata
ha un poco alterato il loro corpo. Il ragazzo aveva il volto cinereo, senza
dire nemmeno una parola è andato avanti, la ragazza come se fosse impaurita lo
seguiva e di tanto in tanto senza farsi vedere lo guardava di profilo. Il
ragazzo arrivato all’ingresso di un vicolo non è andato nella direzione
dell’ospedale e anche la ragazza ha fatto la stessa cosa. Ha camminato per un
certo tratto poi si è fermato in mezzo al vicolo, anche lei si è fermata. Insieme
hanno guardato una donna di mezza età entrare nel vicolo e poi uscire, quindi lui
ha gridato a squarciagola: “Perché mi chiami?” Lei si è risentita, lo ha guardato
e poi ha detto: “Ho paura che ti stanchi troppo stando in piedi”. Il ragazzo ha
continuato a gridare: “Quante volte ho detto che non mi devi guardare ma tu non
solo mi guardi sempre, mi chiami anche per nome, mi pizzichi con la mano”. Dopo
la donna sono entrati nel vicolo due uomini, il ragazzo e la ragazza hanno
smesso di parlare. Passando al loro fianco i due uomini li hanno guardati con insistenza.
Subito dopo il ragazzo si è diretto verso l’uscita del vicolo, lei invece ha
esitato un attimo poi lo ha seguito. Senza scambiarsi neanche una parola sono
andati sul viale che porta all’ospedale. Il ragazzo non aveva più avuto accessi
di collera ma più si avvicinava all’ospedale e più era oppresso dall’ansia. Ha
girato la faccia e ha visto che la ragazza era al suo fianco: guardava in
lontananza, dall’espressione confusa dei suoi occhi ha percepito che l’ospedale
era di fronte. Quando sono arrivati nell’ambulatorio l’accettazione era vuota, ad
un tratto il ragazzo si è intimidito, è uscito fuori dalla sala d’aspetto ed è
rimasto lì in piedi, era impaurito perché si era reso conto che avrebbe potuto
essere agguantato dalle persone, non aveva il coraggio di entrare e correre questo
rischio. Quando la ragazza è uscita dalla sala d’aspetto lui ha trovato il modo
per nascondere la sua viltà: doveva convincerla ad affrontare da sola la
situazione mentre lui era pronto a svignarsela.
Lui le ha detto che
continuare ad accompagnarla in realtà sarebbe stato troppo pericoloso, gli
altri con un’occhiata avrebbero potuto capire che avevano fatto qualcosa di
male. “Tu vai da sola” le ha detto il ragazzo. Lei non ha obbiettato, dopo aver
annuito con la testa è entrata in accettazione e lui davanti al finestrino l’ha
guardata mentre arrivava, quando ha preso i soldi dalla tasca non sembrava
agitata. Il ragazzo ha sentito mentre lei parlava con delle persone: ha
dichiarato il nome e l’età di venti anni ma entrambi erano falsi. Su queste
cose non si erano accordati prima. Appena l’ha sentita pronunciare la parola
ginecologia, ha tremato di paura ed ha percepito che la voce della ragazza era
un po’ affaticata. Poi lei si è allontanata dal finestrino, si è girata e ha
guardato il ragazzo, subito dopo è salita sulla scale. Mentre saliva le scale
con i dati clinici in mano dondolava leggermente, lui ne ha sempre guardato la
sagoma fino a quando è scomparsa dalla sua vista, poi ha deviato lo sguardo
verso un punto lontano. Il suo stato d’animo era sempre più pesante, respirava
a fatica, era confuso, guardava in lontananza sulla strada. È rimasto lì in
piedi per molto tempo, c’era sempre qualcuno che scendeva quella scala lei
invece non scendeva mai. Il ragazzo è come se percepisse ciò che si stava
facendo al piano superiore. Questo pensiero prendeva sempre più corpo e lui, di
conseguenza, era sempre più nervoso. Aveva deciso di fuggire da questo posto
perciò si era diretto verso l’altra parte della strada e mentre attraversava il
viale era sconvolto. Arrivato dalla parte opposta della strada non si era
fermato ma era entrato subito in una drogheria. Una donna
giovane e decisamente brutta se ne stava in piedi nel bancone senza fare nulla.
Nell’altro lato due uomini stavano trascinando una lastra di vetro, il ragazzo era
andato vicino a guardarli e nello stesso tempo dava un’occhiata all’ospedale. Era
un pezzo di vetro azzurro, i due uomini stavano fumando una sigaretta perciò
sul vetro c’erano dei mucchietti di cenere. L’aspetto annoiato di quei due
uomini senza preoccupazioni rendeva il ragazzo sempre più depresso. Quando il
diamante ha tracciato il vetro ha visto che sopra c’era una segno bianco, quel suono
echeggiava come una spaccatura. Poco dopo, dall’altro lato della strada è
apparsa la ragazza, era a fianco di un platano, molto confusa, stava cercando il
ragazzo. Lui l’ha vista da dietro attraverso il vetro della finestra del
negozio ricoperto di polvere. Le persone che erano in piedi non avevano ancora
sospettato perciò lui è uscito subito dal negozio. Quando stava attraversando
la strada lei lo ha visto. Ha aspettato che fosse vicino, gli ha sorriso
amaramente e sottovoce ha detto: “C’è.” Il ragazzo è rimasto a lungo immobile,
senza muoversi come se fosse un albero. L’unico barlume di speranza era
completamente andato in fumo. Ha guardato davanti a sé e le ha detto: “Come
facciamo?” Lei era decisamente preoccupata e ha risposto a bassa voce: “Non lo
so.” Il ragazzo ha continuato a dire: “Come facciamo?” Poi scuotendo il capo ha
detto ancora: “Non voglio andare”. Lei non ha più parlato, guardava una
macchina mentre si spostava su e giù nel viale e quando sono arrivati alcuni
pedoni ha fatto una risata. Dopo che se ne sono andati via, la ragazza ha detto
nuovamente: “Andiamo nel negozio a dare un’occhiata” e lui ha ripetuto: “Io non
voglio andare.” I due ragazzi sono stati parecchio tempo in piedi, ad un certo
punto lui ormai senza forze ha detto: “Torniamo indietro”, lei ha annuito con
il capo poi sono tornati indietro. Lei si è fermata davanti ad un negozio e
tirando la manica del ragazzo ha detto: “Entriamo a dare un’occhiata.” Lui dopo
una breve esitazione è entrato insieme a lei. Sono rimasti un bel po’ davanti
ad una gonna da studentessa di colore bianco, la ragazza ha guardato con
insistenza quella gonna dicendo: “Mi piace molto.” La voce della ragazza quando
aveva 16 anni era già determinata, quella voce che da oltre 10 anni quasi ogni
giorno risuona nel mio orecchio, quella voce così famigliare ha cancellato il
mio entusiasmo. Perciò al momento del crepuscolo quando guardo mia moglie
seduta di fronte a me mi sento sempre più stanco. Lei sta ancora facendo quella
sciarpa azzurra, negli anni il suo viso è rimasto tale e quale, ha perso solo un
poco di elasticità: stanno crescendo le rughe, mi sono così familiari le sue
rughe, come può essere familiare il palmo della propria mano. Lei ad un certo
punto, ha cominciato a dare importanza a queste mie parole: “Prima che tu parli,
so già che vuoi dirmi qualcosa. Ogni giorno alle 11:30 e alle 17:00, so che
stai per tornare a casa, posso sentire il rumore dei passi di cento donne ma riconosco
solo il tuo ed io per te non sono la stessa cosa?” Dopo avermi ascoltato lei ha
smesso di fare la sciarpa, e mi ha guardato piuttosto seriamente. Ho continuato
a dire: “Noi non possiamo essere una sorpresa l’uno per l’altra, al massimo
possiamo solo darci un poco di felicità ma questa sensazione la si può trovare
ovunque”. A questo punto lei ha cominciato a parlare: “Ho capito il tuo
pensiero.” “È vero?” Io non so come replicare perciò posso dire solo questo.
Lei ha detto ancora: “Ho capito il tuo pensiero.” Mentre diceva queste parole ho
visto che stava piangendo. Poi ha proseguito dicendo: “E che tu vuoi darmi un
calcio.” Io non ho negato e le ho detto: “Queste sono delle brutte parole.” Lei
piangendo ha ripetuto ancora: “Tu vuoi darmi un calcio.” Io ho replicato:
“Queste sono proprio delle brutte parole.” Ho proseguito: “Pensiamo insieme al
passato.” “È l’ultima volta?” ha chiesto la moglie. Io ho evitato di
rispondere alla sua domanda e ho continuato a dire: “Il nostro ricordo da
quando comincia?” “È l’ultima volta?” Lei ha chiesto ancora. Cominciamo dalla
primavera del 1977. Avevamo preso quell’autobus ed eravamo diretti all’ospedale
per controllare se tu fossi o no incinta, in quel momento ero davvero
sconvolto.” “Tu non eri sconvolto” ha detto lei. “Non sarebbe servito a nulla consolarmi,
ero talmente disperata. No, tu non eri sconvolto. Da quando ti conosco, solo
una volta ti sei sconvolto.” Le ho chiesto: “Quando?” “In questo momento” ha
risposto lei.
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