venerdì 6 dicembre 2013

Su Il tempo delle mani di Patrizia Rigoni

FaraEditore, 2013

Recensione di Vincenzo D'Alessio

Il racconto lungo che ha vinto la terza edizione del concorso Faraexcelsior 2013 è stato scritto da Patrizia Rigoni, con il titolo Il tempo delle mani. Appena iniziato a leggere le pagine che lo compongono ho capito quanta passione mettono nelle parole, nelle continue similitudini, le donne quando parlano del loro mondo e del contatto con quello degli uomini. Passione che ho condiviso con Daniel Pennac riprendendo il suo lavoro Come un romanzo edito da Feltrinelli nel 1998: “Senza saperlo, scoprivamo una delle funzioni essenziali del racconto e più in generale dell’arte, che è quella di imporre una tregua alla lotta degli uomini” (pag. 26). 
La velocità dell’acqua. La costante presenza delle mani di ogni personaggio familiare, richiamato in vita dal suo percorso di lavoro con tutti gli attrezzi e le conseguenti evoluzioni collegate ai mestieri, mirabilmente accostati al mondo fantastico, costituiscono la trama del racconto. Come per le onde di un fiume hanno tanti luccichii in superficie di fronte alla luce del sole così le vite di donne e uomini di questo racconto hanno colori propri, profumi, sfumature dal profondo del letto dove scorrono gli avvenimenti. 
La scrittura è leggera: periodare breve, punteggiatura che non soffoca la successione delle proposizioni. I verbi accompagnano all’inizio del periodo l’avvenimento. Ogni personaggio ha la sua storia. Ogni persona ha la sua anima che prende forma dall’acqua della vita di una donna. Per un momento mi sono tornati alla mente i versi dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters a cura di Fernanda Pivano, dove la poesia sfocia in una prosa suadente quasi da blues. Così la scrittura della Rigoni nel suo capolavoro della quotidianità congiunge il contrappunto di prosa e poesia nell’armonia tra città e montagna. 
La passione attraversale pagine del racconto. Un intensa passione per la vita, per tutta la fierezza di esserci da attrice e da testimone: “La scrittura mi racconta quello che voglio ascoltare” (pag. 42); “Immagino e desidero, ed è la condizione della felicità. Viaggio prima che mani e piedi inizino l’avventura. Sogno. Cerco. Smonto e rimonto. Costruisco e riprovo” (pag. 31). In tutto il racconto quest’esercizio di felicità, anche le cose più dolorose, prende il cuore del lettore, la mente e lo culla sulla calma delle acque, sui pendii della montagna, sulle avversità dei passaggi della Storia: le guerre. 
Come sempre accade presso l’editore Fara di Rimini i componenti la Giuria sono prima di tutto scrittori e poeti che hanno fatto la gavetta, il costruirsi leggendo autori diversi. Stefano Martello è uno dei migliori. Egli scrive di questo racconto lungo della Nostra: “È un racconto semplice, che sfugge agli stereotipi del racconto familiare. È un racconto che suscita invidia, perché la mano che lo ha scritto ha avuto il tempo e la voglia di ricordare” (verbale della Giuria, pag. 7). 
Ha ragione Stefano, perché il pánta rhei eracliteo ha la forza dell’acqua della nascita del genere umano, l’avvicendarsi degli accadimenti che legano chi scompare all’umanità del presente. Oggi, infatti, è scomparso Nelson Mandela. La sua acqua si unisce profondamente a quella di milioni di altri uomini che hanno lottato contro la violenza sugli altri simili e brilla in superficie di eterno alla luce della stella Sole.
Nel racconto c’è la frase che Patrizia Rigoni utilizza per rappresentare al lettore, si è sempre in due nel racconto – chi scrive e chi ascolta – la forza di questa corsa che è la vita: “Riconoscere tutti quelli che non le hanno tirate indietro le mani, mai. (…) Sentire quanta acqua è servita, quanta acqua oggi è nelle mani” (pag. 93). 

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