venerdì 20 agosto 2010

Su Pubblica con noi 2010

a cura di A.RAMBERTI, Fara Editore, Rimini, 2010
recensione 2 di Vincenzo D'Alessio
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La voce ironica, inclusa nella sezione “Poesie”, dell’Antologia Pubblica con noi 2010, a cura di Alessandro Ramberti, è quella di Gaetano Giuseppe Magro. La sua raccolta poetica reca il titolo Il glomerulo di sale. Già il titolo costituisce la prima spia “ingannatrice/rivelatrice” della poetica del Nostro. Il glomerulo è, in medicina, l’elemento rilevatore delle patologie renali, ed il sale comune è uno degli elementi chimici che possono indurre malattie anche gravi alle reni. Una opposizione di elementi.
Molteplici sono i richiami deontologici che lasciano comprendere la qualità prosenza saperlo nemmenofessionale del poeta: è un medico. Ha a che fare con la materia prima del pianeta Terra: la vita. Gioca, in questo modo, la nomenclatura medica con versatilità. Il poeta mima l’indefinita posizione dell’essere umano di fronte alla vita e alla fine della vita. In questa dinamica ritroviamo analogie e orpelli capaci di provocare l’ignaro lettore: “sono una sinapsi di sonno” (pag. 163); “ad un’immensa gonade primitiva di cicogna” (pag. 163); “affetti da disordini endocrini sconosciuti” (pag.165). Tanto per citarne alcuni.
Affascina la scelta dei titoli, come vetrini per il microscopio; e il percorso dedicatorio al presunto “editore” di turno invocato per nobili fini: “la poesia al posto dei capelli e del dente” (pag. 176). Gaetano Giuseppe Magro, nella prima poesia, ironizza sul proprio cognome: “La magrezza delle porte / che attraverso mi fanno cane” (pag. 163). Il cane è il migliore amico dell’uomo (di sé stesso). Le poesie di questa raccolta non sono soltanto ironia. Cercano di svelare possibili soluzioni alle passioni umane, tra queste l’Amore. Allora per il Nostro il poeta chi è? “Il mestiere di poeta è quello di non dare / alle divinità il tempo di ritirarsi senza aver lasciato / sul foglio, almeno, qualche verità” (pag. 163). Le divinità ci assomigliano e ci negano il diritto alla verità completa. La caverna di Platone e il “non chiederci la parola” di Montale. La ricerca senza fine del nostro archetipo.
Bella, per noi, è la poesia Il peccato (pag. 164), dove l’analogia tra poesie e puttane ricalca i versi di molti poeti del Novecento, francesi e italiani, amanti “che non smettono / d’amare” pagate per provocare quel male che permette di scrivere. Bene ha scritto del Nostro il critico Sebastiano Adernò, componente la Giuria: “Uno sguardo disincantato, esperto di vizio e di mestiere” (pag. 16). Un vero provocatore della vis ironica, che si delizia con i versi per sopperire all’amaro del sale. Sulla scia di questi autori del Novecento compare la figura del gatto e delle gattare.
Compaiono nella raccolta anche i genitori, il rimpianto della perdita. L’impossibilità di fermare “il male nero” che questo secolo conosce più degli altri. Il dolore vinto attraverso la poesia. Ho recensito in passato una raccolta analoga, di un altro medico, Mario Morelli, che recava il titolo I fuochi di Leda (Ediz. Delta3,1996), che ironizzava sulla sorte del poeta: “Un poeta di poesia, / votato al dolore” (pag. 51); e un’altra poesia dal titolo La mia musa puttana (pag. 33).
Una raccolta, come un racconto, capace di incantare e condurre il lettore nelle grinfie del gatto/poeta.

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