a cura di A.RAMBERTI, Fara Editore, Rimini, 2010
recensione di Vincenzo D'Alessio
La nuova antologia pubblicata dalla Fara Editore di Rimini, e curata dal fondatore della stessa casa editrice, porta alla ribalta nazionale voci e volti, sempre nuovi, della Letteratura Italiana. Duecentoquindici pagine intrise di inchiostro colorato, come gli aquiloni che l’UNICEF ha fatto sollevare nel cielo, del travagliato territorio pakistano-afghano, contro la violenza dell’uomo, pochi giorni fa: le guerre, la fame, le malattie, le persecuzioni.
I bambini hanno stretto tra le mani i fili di quell’emblema di Libertà: sognata, desiderata, raccolta nelle loro lacrime e mutilazioni. I bambini non hanno età. Così gli autori contenuti nella stupenda antologia (in copertina ci sono le gradinate della bella città turca di Gerapoli,la signora delle sorgenti, cara ai primi cristiani) sono, nelle voci poetiche e nella prosa, “fanciulli” alla ricerca della libertà di comunicare le proprie emozioni, l’intensità dei sentimenti, la verginità del tempo concesso, a loro e a noi che leggiamo,in una contemporaneità sospinta dal disinteresse verso le vicende interpersonali dei nostri simili.
Non c’è vento più leggero di quello contenuto in queste pagine: non ti scompiglia, non ti piega, ti solleva dolcemente, dando forza alle nostre ali tarpate dalla velocità quotidiana, dagli assalti mediatici, dall’economia-salute che più non regge.
Scritte queste prime impressioni generali sull’Antologia 2010, passiamo al primo autore: la poetessa Serena Zugna. La raccolta reca il titolo Cose da dire. Sembrano queste cose da dire un testamento? Hanno atteso troppo, queste “cose”, in un cassetto o nel cuore della poetessa, e ora vogliono il posto che meritano? Hanno un peso sull’animo (pag. 179), la personalità, non nell’anima? L’attesa è “la casa sulla collina”, umanizzata, che è rimasta chiusa “per tanto tempo”, “cieca” (analogia: allestita con le imposte serrate), ed oggi cede all’aria nuova che giunge nelle stanze proprio da quelle finestre, aperte.
Un’attesa lunghissima e dolorosa, analogia espressa nel verso: “come un dolore a vent’anni”. E in questo verso giunge chiara la eco del Nobel Eugenio Montale, ne La casa dei doganieri: “(…) desolata t’attende dalla sera / in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri / e vi sostò irrequieto.”
La stessa inquietudine si raccoglie nell’intera raccolta della poetessa Zugna. La ritroviamo appostata nei versi dei vari componimenti: “perché non c’è più tempo” (pag. 180), “senza più altro tempo” (pag. 181); “gocce di pioggia lungo una breve finestra” (pag. 182). Veramente non c’è più tempo, oppure l’attesa estenuante regge l’altalena del vivere?
Le poesie che compongono la raccolta parlano dell’Autrice e del suo rapporto, non ancora compiuto, con il mondo in cui vive. Bella la poesia Trieste (a pag. 185) nella quale il verso “io sarò cambiata / come un’amante da lungo tempo non vista”. Analogia dello spazio sottratto all’infanzia, e benevolo compiacimento del ritorno. Non è la Trieste di Umberto Saba, ma nel farsi riconoscere ha il sapore di quei versi di Saba della poesia omonima: “(…) La mia città che in ogni parte è viva / ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita / pensosa e schiva”. Il confronto, con un’altra poetessa del Novecento, Alda Merini, alla quale la Nostra dedica una delle poesie a pag. 188, è sulla città di Milano.
Per Alda Merini, Milano, è “(…) Milano ostrica pura / io sono la tua perla, amore”; per Serena Zugna, invece, è “(…) Milano / puzzo di piscio / e gente sfatta / la sera in metrò / Gente che corre / che spinge /che tace / che guarda attraverso” (pag. 188).
Noi siamo concordi con entrambe le poetesse, poiché una grande città mostra mille facce. Personalmente è toccata a noi, da viaggiatori affardellati, vivere la seconda esperienza.
Tenera presenza, in questa valigia di carta stampata, la presenza della poetessa Zugna. Delicata voce di una poesia in cerca dell’approdo, nel mare tempestoso dei ricordi e delle esperienze, che solcano incessanti il mare dell’ IO. Noi la ascoltiamo. Come viaggiatori pronti al prossimo imbarco: la sua navicella poetica solcherà più sicura, sospinta dalla “libertà del vento” (pag. 182).
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