venerdì 29 agosto 2008

Su La signora Irma e le nuvole di Subhaga Gaetano Failla



recensione di Morena Fanti

Una raccolta di racconti da leggere con la giusta lentezza, quella di chi sa dedicarsi all’ascolto delle parole e delle immagini suscitate. Storie che si dividono in frammenti di sogni e in ricordi, in episodi di vita “normale” e sorprendente nello stesso tempo. L’autore si rivela tra le righe, spaziando tra passato e presente, tra cielo e terra, delfini di vetro verde e minestra di zucca. Lo stile e il linguaggio sono asciutti e lineari, ma Subhaga Gaetano Failla sa incantarci con frasi e angoli di pura poesia, con sillabe colorate che indicano i punti dove il lettore deve posare lo sguardo. La natura è molto presente in questo libro, a sottolineare come l’uomo non sia mai indipendente dall’esterno da sé, e a come certe visioni vengano plasmate dal contorno in cui viviamo.
L’atmosfera rarefatta di questi racconti dilata lo spazio in cui vengono vissuti e la narrazione diventa stimolo e pretesto per evidenziare come certi momenti di “nulla” quotidiano, siano altresì momenti in cui posare lo sguardo e puntare l’attenzione.
Frasi che sono poesie. La brevità non penalizza l’elegante scrittura di Failla, anzi la esalta e seduce il lettore: “La strada medioevale sotto casa ha negozi e panchine tra sole e ombra. D’inverno la neve ricopre tutto. Spuntano le teste dei passanti seduti nelle serate estive” e ancora: “Al tramonto il lago ha un occhio increspato. Una striscia di sole ne attraversa l’iride” (da “Otto”, pag. 138).

Penso che questi racconti, scritti in stagioni diverse della mia vita, possano parlare da sé, dialogando con coloro che li leggono. Nelle introduzioni, inoltre, generalmente vi è una eccessiva finzione di verità, si finge che l’autore sia davvero presente. Scrivo queste righe all’aperto, seduto su una panchina, di mattina, al sole, con il mio quaderno azzurro. La primavera è proprio vicina, vedo una magnolia con fiori di mani protese e, in quel campo in discesa, sparsi papaveri lievi di sangue. Talvolta scrivo i miei racconti lasciandomi rapire da visioni: sollevo la penna dal quaderno, chiudo gli occhi e resto in attesa.

L’immagine dell’autore che “scrive” sé stesso e scrive per noi, è già racconto e le parole di Failla ci accompagnano in viaggi visionari, tra valigie e nuvole con cui riempirle, per lasciare in cielo spazio ai sogni.

Vivo come un gatto. Lecco la mano e mi carezzo.

Pereira sosteneva che i propri sogni non vanno raccontati o svelati. La signora Irma tuttavia ha voluto narrarmi il sogno di questa notte e mi ha dato il permesso di raccontarlo a mia volta. […] L’indomani la signora Irma è in partenza. C’è la valigia da preparare… vuole lasciarci con una sua poesia:

Mi sfugge, vola al tuo sorriso un bacio sulle dita.

28 agosto 2008

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