martedì 5 dicembre 2023

Apologhi in fotofinish. Racconti e altri scritti di Maria Lenti

recensione di Anna Maria Curci
pubblicata in Poeti del Parco (Redazione)

Vivere il tempo, attraversarlo, raccogliere il testimone, porgerlo, senza dimenticare che il segno della scrittura, poesia o prosa, nasce da uno scatto di ribellione all’acquiescenza, al torpore, e si sporge sull’altrove. È un gesto, o meglio, è un insieme di gesti da cui scaturisce la scrittura di Maria Lenti, sia essa poesia in lingua italiana, poesia nel dialetto urbinate, saggistica o, come nel caso di Apologhi in fotofinish (Fara Editore 2023), racconti e testi di genere vario (riflessioni, considerazioni su opere d’arte figurativa, una ampia recensione di La chiave di cioccolata di Enrichetta Vilella) qui raccolti in volume.

L’estensione di ciascuno dei brani che si offrono alla lettura è di poche pagine. Nella brevità, tuttavia, emergono sempre limpidezza e precisione del dire, acutezza dell’intuizione, vastità della visione e un filo rosso (nella Pref azione Manuel Cohen sottolinea a ragion veduta la presenza di un «fil rouge che corre tra memoria del passato e ricognizione sul presente») che, accanto al cuore dell’ipotesi interpretativa – la quale si nutre, a sua volta, di una salda fiducia nell’ermeneutica come metodo per l’esplorazione del dato sensibile, nella letteratura così come nella vita – riporta alle scaturigini, allo scatto-atto fondante la scrittura. 

È possibile individuare alcune linee tematiche in questi Apologhi, linee che ampliano reti e ramificazioni, senza disperdersi in rivoli eccessivamente frammentati, ma lasciando, al contrario, l’uscio aperto a chi vorrà proseguire. Sono linee che, a ben guardare, toccano questioni fondamentali circa il rapporto tra l’io e il noi, la creazione letteraria e la storia, il dialogo tra paesaggio naturale e intervento umano, l’orma delle personalità che hanno riassunto nella propria vicenda terrena i tratti di un’epoca, la visione e l’intuizione geniale dell’artista che li ha ritratti e la coscienza di chi osserva e studia, oggi, la loro biografia immersa nel tempo e il tratto unico e irripetibile impresso alla loro immagine sulla tela o in una scultura. Sono linee, infine, che vibrano dello sgomento e dello smarrimento di questi tempi ostili, dell’uscita irreversibile dall’età dell’innocenza, del dilagare dell’orrore, e che a quell’orrore oppongono la resistenza, consapevole della propria limitatezza e, ciononostante, perseverante nello sforzo di opposizione alla disumanità.

I racconti che prendono le mosse da episodi vissuti e riportati da un io narrante che non coincide obbligatoriamente con l’autrice, si distinguono per l’onestà del dire e la schiettezza della narrazione, che coinvolgono chi va incontro al testo e che non santificano, non esaltano l’io, ma lo mettono  sempre in relazione con l’altro da sé (Invidia, Gelosia, Libertà, Taccuini, Il segreto di Giovanni nella prima sezione, Racconti). 

In Scritti diversi, terza e ultima delle sezioni che compongono il volume, Maria Lenti chiarisce che se l’opera d’arte si nutre di ciò che «l’autore (l’autrice) ha in sé e dell’intorno immediato e lontano», l’io biografico si sottrae alla linea tracciata per farsi altro, per divenire opera dal volto nuovo, e senza volto perché ha mille volti in letteratura». Nella pagina, l’Io-io complesso, che contiene l’io di chi legge, dei contemporanei, di chi “cammina un tempo” e lo porta fuori in parole, produce pensiero e assume il paradigma dell’io-noi.

Nella seconda sezione, Dintorni, il dialogo tra paesaggio naturale e intervento umano, la traccia della personalità storica impressa nel ritratto d’autore, il paesaggio realistico e il paesaggio sognato (Gli alberini di Giovanni Santi, p. 92) e poi riportato nell’opera d’arte figurativa, attraversano testi che vanno oltre il mero studio di un dipinto, un paesaggio, un sito di rilevanza artistica o ambientale. Da una visita – una scoperta o un ritorno sui luoghi amati, in particolare nelle natie Marche -, da un’analisi, dalla narrazione di un caso (Il fanciullo rapito, p. 79), dall’ipotesi circa l’identità della gentildonna nel quadro dipinto da Raffaello Sanzio e conosciuto come “La Muta” (La Muta in ascolto, p. 99), l’attenzione si estende e si sviluppa fino a dar vita a considerazioni, insieme universali e attualissime, circa l’importanza dello sguardo desto e dell’ascolto pronto a cogliere anche i tratti non immediatamente percettibili, senza dimenticare l’esplorazione di contesti storici e sociali. 

Il dialogo, la relazione, il sentimento della comunità e del bene comune, nonostante gli strappi, le rotture, i contrasti con chi, non di rado, si sottrae al confronto o vive l’attività poetica nell’ignoranza arrogante, nonostante le perplessità circa l’attività critica circoscritta al presente immediato, al contingente (La fortuna del giorno presente, p. 126), sono, ancor più che un filo rosso, il fondamento del vivere, che si manifesta e si concretizza leggendo, scrivendo, operando, ponendosi, sempre, interrogativi (Metamorfosi di un mito in poesia, p. 148). 

Il tempo della pandemia (L’olandese al raggio di sole, p. 69; Tremando di presente e di futuro, p. 136) ha messo a nudo la precarietà, ma non ha smorzato del tutto e in tutti il desiderio, pur nel “tempo prorogato revocabile” (Ingeborg Bachmann citata da Maria Lenti, insieme a Arthur Schnitzler, a Christa Wolf, a Eduardo De Filippo, a Giacomo Leopardi, a Dante Alighieri, a Paolo Volponi, a Gianna Manzini, a Natalia Ginzburg, ad Anna Maria Ortese), di dire ancora l’utopia, non con voce stentorea, ma con fermezza, nonostante la timidezza dei passi e l’umiltà del procedere, con la perseveranza nel camminare, formidabile modalità di conoscenza. Dire ancora l’utopia e, soprattutto, non tacere. (Anna Maria Curci)

Maria Lenti, Apologhi in fotofinish. Racconti e altri scritti, Prefazione di Manuel Cohen, Fara Editore 2023

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