La
scoperta del segno
Viaggio
nell'opera di Silvana Guzzo Foliaro
Esiste un annoso dibattito su quali
elementi definiscano un artista. È forse la quantità di tempo che dedica
all'arte? L’abilità gestuale? Oppure è la ricerca costante che investe nel
linguaggio - pittorico o scultoreo che sia – e la conseguente evoluzione del
suo lavoro? Forse non c’è una risposta
univoca. Oggi consideriamo artisti ante litteram coloro che affrescarono
le grotte di Altamira, quindicimila anni fa. E proprio dai loro segni
essenziali molti artisti moderni hanno preso le mosse.
La prima volta che l’ho
incontrata, Silvana Guzzo Foliaro non mi è stata presentata come artista,
eppure lo è. Dialogando con lei, ho scoperto che dipinge, quasi che la pittura
sia il suo luogo segreto, delicato, da custodire prima che possa aprirsi al mondo.
Delicatissimi sono i suoi tratti, il suo alfabeto lieve, eppure da essi
scaturisce una potenza misteriosa, simile a quella di certa poesia.
Ho proposto a Silvana di
raccontarmi come nasce il suo lavoro pittorico.
Da quanto tempo la pittura ti
accompagna?
Ho
frequentato il Liceo Artistico di Verona. Alla fine del liceo, ho vissuto un
momento di pausa, poi ho intrapreso gli studi di infermieristica. E per un
certo periodo non ho più dipinto. Continuavo però a frequentare mostre o
musei, luoghi dove mi sono sempre sentita estremamente bene, come fossi in
compagnia. Per me il mondo dell’arte è la realtà vera, così alla fine ho
deciso di iscrivermi alla Facoltà di Beni Culturali a Verona e ho iniziato a
seguire corsi di pittura. Ho portato a termine gli studi universitari in un
periodo lungo e diluito, molto impegnativo per me perché nel frattempo
lavoravo come infermiera. Ma è stato come aver fatto terapia, immersa com’ero nella bellezza. È
stata una passione che mi ha aiutata moltissimo anche ad affrontare il lavoro
nell’ambiente sanitario. Mi emoziono sempre nel ricordarlo…
La prima cosa che mi ha colpito
guardando i tuoi lavori è la molteplicità dei linguaggi. Da un lato c’è un
segno stilizzato, che accenna ad una figurazione scarna; dall’altro – agli
antipodi – c’è il colore, che abita la tela quasi interamente, con le sue
compenetrazioni. Mi chiedo se stili così diversi diano voce a messaggi difformi,
oppure se ci sia un filo che percorre i tuoi dipinti …
Un giorno hai definito i tuoi disegni
“la tua parte più intima”. Quale parte di te stessa tendi a
rappresentare in essi? Io vi vedo figure senza peso, quasi senza scheletro,
pronte ad essere sospese… c’è qualcosa di te in questo?
Da
dove nasce il tuo uso del colore? E’ come fosse aereo, e in parte mi ricorda Mark
Rothko…
Il colore mi sposta dalla dimensione terrena, mi conduce nella bellezza. Guardare le grandi campiture di colore - come quelle di Rothko, ad esempio - è come entrare nel quadro. Sembra di oltrepassare una serie di stanze, una dietro l'altra, o di non avere più uno spazio definito intorno a sé. Si entra in una dimensione di sospensione con sé stessi e in quel momento il quadro offre la possibilità di fare un’esperienza, o un viaggio... In questi anni mi sono focalizzata sui monocromi, poiché per me un unico colore è come se fosse la sintesi di molte cose. Le tele sono sature di più protagonisti cromatici, anche se la madre – o il padre - rimane sempre il colore di partenza: io scelgo il rosso o il blu e da lì costruisco tutto. La costruzione di un colore arriva attraverso più passaggi. Poter costruire il colore mi permette di dialogare con me stessa, mi offre la possibilità di capire chi sono. Di fondo, c’è la ricerca della ‘mia’ tinta.
"Rosso" |
Il dipinto “Rosso”, ad esempio, l’ho costruito usando tre colori primari: da questi tre colori si possono creare un’infinità di rossi. Per me il colore simboleggia la parte intellettuale, lo spessore, il viaggio in un altro tempo fatto di grande attesa e di lentezza. È come entrare dentro ad uno spazio di grande tranquillità. In particolare il colore ad olio – rispetto all’acrilico – richiede molta presenza. Il senso dell’utilizzo di un solo elemento è quello di svuotare, di tentare di giungere all’essenza. Realizzarlo - e poi vederlo – per me porta tranquillità alla mente.
Hai fatto riferimento al colore rosso, molto
presente nelle tue opere. Il rosso è probabilmente il primo colore della storia,
il più amato e il più utilizzato in assoluto per molti secoli. È un colore
legato alla forza, al potere, alla vitalità. Quando osservo i tuoi dipinti, il
rosso mi fa pensare al sangue: un sangue diluito, una macchia su uno sfondo
immacolato, come su un lenzuolo dopo la prima notte di nozze…
In effetti il rosso è il protagonista di molti miei lavori. Sulla carta lo uso diluito, in modo tale che crei delle velature, dei passaggi. Si tratta di passaggi delicati, intervallati da pause.
Sfioro
la superfice, accarezzandola. Noi tutti abbiamo dentro il colore rosso, che è
come ci indicasse la via. Hai saputo cogliere, in effetti, il senso
dell'eros. In particolare, i disegni femminili racchiudono la passione di una
notte d'amore. E quando il rosso diventa più spesso, più materico allora lì
diventa ancora più fisico, più carnale. È un rosso protagonista, che non è
subito dalla donne rappresentate nei disegni. Non è un colore collegato alla
violenza, affatto. Al contrario è collegato al potere, alla forza, ma anche all’eros.
Le donne dei miei disegni parlano e portano in una dimensione che può sembrare
triste, ma non lo è affatto. Sono collocate in uno spazio bianco, di
sospensione ma che in realtà rimanda alla loro innocenza. La protagonista del
foglio bianco è sempre la stessa, è un unico soggetto. È una donna,
che talvolta porta un abito semplicemente creato con poche pennellate, con un
unico segno, senza ripensamenti. Nella costruzione non mi viene altro da
aggiungere, se non quella protagonista. Per me è come un po’ alleggerirsi,
entrare nel vuoto. Perché è come se nel pieno ci fosse troppo peso. Inserendo
le figure in uno spazio bianco, è come se entrassi nel quadro anch'io e divenissi protagonista
di questa leggerezza. Eppure questo spazio vuoto non manca di terra. La
protagonista non sprofonda, sta in piedi perfettamente. E insieme, nella leggerezza del segno vi è la purezza, il suo essere
immacolata.
A cosa aspiri, nel tuo lavoro di
artista?
Vorrei che la pittura diventasse parte quotidiana della mia esistenza, vorrei avere sempre una matita, un colore, una gomma in mano… Poter fare un segno tutti i giorni. In questo momento della mia vita riesco a dedicare poco tempo alla pittura. Essa richiede molta energia, presenza, tempo. Richiede ascolto e pause. Mi piacerebbe inoltre che la mia opera fosse vista, che viaggiasse nel mondo. Che fosse esposta e potesse dialogare con quella di altri artisti. Magari che entrasse a fare parte di alcune collezioni. L'opera è in grado di sottrarre alla timidezza e alle paure. E dice quello che un artista non sa esprimere a parole…
Perché in realtà non si può parlare del vuoto, si può solo farne esperienza e attendere che da esso scaturisca un gesto o una verità. E come scrive Chandra Candiani “ci vuole intimità con questo vuoto per sapere che niente va perduto, che il vuoto è creatore, informa, vibra, trasmette, accoglie, fa sentire a casa”.
Per contattare Silvana Guzzo Foliaro, potete scriverle a questo indirizzo: silvanafoliaro@gmail.com
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