mercoledì 9 agosto 2023

La scoperta del segno - Viaggio nell'opera di Silvana Guzzo Foliaro

 

La scoperta del segno

Viaggio nell'opera di Silvana Guzzo Foliaro


di Camilla Ugolini Mecca



Esiste un annoso dibattito su quali elementi definiscano un artista. È forse la quantità di tempo che dedica all'arte? L’abilità gestuale? Oppure è la ricerca costante che investe nel linguaggio - pittorico o scultoreo che sia – e la conseguente evoluzione del suo lavoro? Forse non c’è una risposta univoca. Oggi consideriamo artisti ante litteram coloro che affrescarono le grotte di Altamira, quindicimila anni fa. E proprio dai loro segni essenziali molti artisti moderni hanno preso le mosse.

La prima volta che l’ho incontrata, Silvana Guzzo Foliaro non mi è stata presentata come artista, eppure lo è. Dialogando con lei, ho scoperto che dipinge, quasi che la pittura sia il suo luogo segreto, delicato, da custodire prima che possa aprirsi al mondo. Delicatissimi sono i suoi tratti, il suo alfabeto lieve, eppure da essi scaturisce una potenza misteriosa, simile a quella di certa poesia.

Ho proposto a Silvana di raccontarmi come nasce il suo lavoro pittorico.

Da quanto tempo la pittura ti accompagna?

Ho frequentato il Liceo Artistico di Verona. Alla fine del liceo, ho vissuto un momento di pausa, poi ho intrapreso gli studi di infermieristica. E per un certo periodo non ho più dipinto. Continuavo però a frequentare mostre o musei, luoghi dove mi sono sempre sentita estremamente bene, come fossi in compagnia. Per me il mondo dell’arte è la realtà vera, così alla fine ho deciso di iscrivermi alla Facoltà di Beni Culturali a Verona e ho iniziato a seguire corsi di pittura. Ho portato a termine gli studi universitari in un periodo lungo e diluito, molto impegnativo per me perché nel frattempo lavoravo come infermiera. Ma è stato come aver fatto terapia, immersa com’ero nella bellezza. È stata una passione che mi ha aiutata moltissimo anche ad affrontare il lavoro nell’ambiente sanitario. Mi emoziono sempre nel ricordarlo…  

La prima cosa che mi ha colpito guardando i tuoi lavori è la molteplicità dei linguaggi. Da un lato c’è un segno stilizzato, che accenna ad una figurazione scarna; dall’altro – agli antipodi – c’è il colore, che abita la tela quasi interamente, con le sue compenetrazioni. Mi chiedo se stili così diversi diano voce a messaggi difformi, oppure se ci sia un filo che percorre i tuoi dipinti …



Mi piace la molteplicità dei linguaggi, mi arriva spontaneamente.  Sicuramente sono ancora alla ricerca di una definizione. Ciò che accomuna i miei diversi stili è la delicatezza del gesto, la ricerca della purezza delle forme e del colore. I disegni sono stati la partenza per poi approcciarmi alla tela e al colore. Dietro al segno, c'è l'intelletto che vuole emergere attraverso un colore ragionato, costruito e studiato. Tramite il colore, i pensieri acquistano una corposità diversa, diventano visibili. E l'opera diventa più forte.

Un giorno hai definito i tuoi disegni “la tua parte più intima”. Quale parte di te stessa tendi a rappresentare in essi? Io vi vedo figure senza peso, quasi senza scheletro, pronte ad essere sospese… c’è qualcosa di te in questo?




Sì, i disegni rappresentano la parte più delicata e introspettiva di me. Sono stati eseguiti in un momento particolare, dove il segno e la gestualità mi hanno aiutata ad entrare in un altro mondo. A partire dal 2012 - quando ho ripreso in mano le matite, anche la penna e la china - i disegni che ho realizzato erano come privi di guida: ero io che parlavo, era la mia personale rielaborazione delle cose che vedevo o della natura. È stata un’attività frenetica quella di quel periodo: addirittura anche di notte sentivo il bisogno di disegnare... Alcuni disegni sono scarni, come piegati su loro stessi. Sono stati creati attraverso un segno unico, sincero e senza ripensamenti o elaborazioni. Di alcuni sono particolarmente innamorata: sono quelli in cui la mano va da sola e miracolosamente crea cose inaspettate. Con i disegni ho lavorato in sequenza, fino ad arrivare all'esaurimento di una determinata forma o di una specifica emozione. Tutto si concludeva quando arrivava la quiete.


Da dove nasce il tuo uso del colore? E’ come fosse aereo, e in parte mi ricorda Mark Rothko…

 


Il colore mi sposta dalla dimensione terrena, mi conduce nella bellezza. Guardare le grandi campiture di colore - come quelle di Rothko, ad esempio - è come entrare nel quadro. Sembra di oltrepassare una serie di stanze, una dietro l'altra, o di non avere più uno spazio definito intorno a sé. Si entra in una dimensione di sospensione con sé stessi e in quel momento il quadro offre la possibilità di fare un’esperienza, o un viaggio... In questi anni mi sono focalizzata sui monocromi, poiché per me un unico colore è come se fosse la sintesi di molte cose. Le tele sono sature di più protagonisti cromatici, anche se la madre – o il padre - rimane sempre il colore di partenza: io scelgo il rosso o il blu e da lì costruisco tutto. La costruzione di un colore arriva attraverso più passaggi. Poter costruire il colore mi permette di dialogare con me stessa, mi offre la possibilità di capire chi sono. Di fondo, c’è la ricerca della ‘mia’ tinta. 


"Rosso"


Il dipinto “Rosso”, ad esempio, l’ho costruito usando tre colori primari: da questi tre colori si possono creare un’infinità di rossi. Per me il colore simboleggia la parte intellettuale, lo spessore, il viaggio in un altro tempo fatto di grande attesa e di lentezza. È come entrare dentro ad uno spazio di grande tranquillità. In particolare il colore ad olio – rispetto all’acrilico – richiede molta presenza. Il senso dell’utilizzo di un solo elemento è quello di svuotare, di tentare di giungere all’essenza. Realizzarlo - e poi vederlo – per me porta tranquillità alla mente.

Hai fatto riferimento al colore rosso, molto presente nelle tue opere. Il rosso è probabilmente il primo colore della storia, il più amato e il più utilizzato in assoluto per molti secoli. È un colore legato alla forza, al potere, alla vitalità. Quando osservo i tuoi dipinti, il rosso mi fa pensare al sangue: un sangue diluito, una macchia su uno sfondo immacolato, come su un lenzuolo dopo la prima notte di nozze…

In effetti il rosso è il protagonista di molti miei lavori. Sulla carta lo uso diluito, in modo tale che crei delle velature, dei passaggi. Si tratta di passaggi delicati, intervallati da pause.



Sfioro la superfice, accarezzandola. Noi tutti abbiamo dentro il colore rosso, che è come ci indicasse la via.  Hai saputo cogliere, in effetti, il senso dell'eros. In particolare, i disegni femminili racchiudono la passione di una notte d'amore. E quando il rosso diventa più spesso, più materico allora lì diventa ancora più fisico, più carnale. È un rosso protagonista, che non è subito dalla donne rappresentate nei disegni. Non è un colore collegato alla violenza, affatto. Al contrario è collegato al potere, alla forza, ma anche all’eros. Le donne dei miei disegni parlano e portano in una dimensione che può sembrare triste, ma non lo è affatto. Sono collocate in uno spazio bianco, di sospensione ma che in realtà rimanda alla loro innocenza. La protagonista del foglio bianco è sempre la stessa, è un unico soggetto. È una donna, che talvolta porta un abito semplicemente creato con poche pennellate, con un unico segno, senza ripensamenti. Nella costruzione non mi viene altro da aggiungere, se non quella protagonista. Per me è come un po’ alleggerirsi, entrare nel vuoto. Perché è come se nel pieno ci fosse troppo peso. Inserendo le figure in uno spazio bianco, è come se entrassi nel quadro anch'io e divenissi protagonista di questa leggerezza. Eppure questo spazio vuoto non manca di terra. La protagonista non sprofonda, sta in piedi perfettamente. E insieme, nella leggerezza del segno vi è la purezza, il suo essere immacolata.



A cosa aspiri, nel tuo lavoro di artista? 

Vorrei che la pittura diventasse parte quotidiana della mia esistenza, vorrei avere sempre una matita, un colore, una gomma in mano… Poter fare un segno tutti i giorni. In questo momento della mia vita riesco a dedicare poco tempo alla pittura. Essa richiede molta energia, presenza, tempo. Richiede ascolto e pause. Mi piacerebbe inoltre che la mia opera fosse vista, che viaggiasse nel mondo. Che fosse esposta e potesse dialogare con quella di altri artisti. Magari che entrasse a fare parte di alcune collezioni. L'opera è in grado di sottrarre alla timidezza e alle paure. E dice quello che un artista non sa esprimere a parole…


Perché in realtà non si può parlare del vuoto, si può solo farne esperienza e attendere che da esso scaturisca un gesto o una verità. E come scrive Chandra Candiani “ci vuole intimità con questo vuoto per sapere che niente va perduto, che il vuoto è creatore, informa, vibra, trasmette, accoglie, fa sentire a casa”.

 

Per contattare Silvana Guzzo Foliaro, potete scriverle a questo indirizzo:  silvanafoliaro@gmail.com

 


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