sabato 30 ottobre 2021

News da Adele Desideri 30 ott 2021

Gentili lettrici e lettori, segnalo quanto segue:

* L’interessante e molto ben curata rivista XENIA. Trimestrale di letteratura e cultura, Associazione Culturale Genova Lettere, in particolare il n. 1, Anno IV, 2021

** Nel saggio, A proposito di poesia e critica letteraria, a cura di Rodolfo Vettorello e Rosa Elisa Giangoia, quest’ultima - donna di vasta e ponderata cultura - tratteggia, con penna leggera ma acuta, il tema della critica letteraria, dalle origini radicate nell’Umanesimo e nel Rinascimento, fino all’epoca contemporanea, rispetto alla quale evidenzia i nodi cruciali. In parallelo, Giangoia tratteggia in sintesi la storia della poesia, nelle sue tre macro-fasi: “poesia classica, poesia moderna e poesia contemporanea, o meglio, attuale” (pag. 49). Infine, suggerisce l’essenza della poesia, prendendo le distanze da “una poesia che diventa sovente una glossolalia fredda e vacua che la parola critica non può penetrare, né interpretare, né valutare” (pag. 55). (Adele Desideri).
Ne consiglio vivamente la lettura, cfr. allegato A.

“Dopo le ricerche del positivismo e la stagione crociana della prima metà del Novecento, la critica si è frazionata in una pluralità di orientamenti che si sono succeduti in onde predominanti (ermetismo, marxismo, strutturalismo, critica stilistica, psicanalitica, semiologica, sociologica, formalista, linguistica, stilistica, filologica, variantistica, simbolica, ermeneutica)” (Rosa Elisa Giangoia, pag. 48).
“Oggi l’attività culturale che va sotto il nome di critica letteraria sembra essersi stabilmente polarizzata in due tipologie, una di ricerca storica, molto attiva e intensa, e una di pratica valutativa, più debole. Infatti, più che impegnarsi in quella pratica che, riprendendo Giovanni Boine, potremmo definire di «plausi e botte», riferita a quanto attualmente viene prodotto, prevalgono analisi storiche delle opere del passato in rapporto all’ambiente, alla realtà del loro momento, alle inter-relazioni tra autori e testi, sia in senso diacronico che sincronico, all’incidenza del vissuto personale dell’autore sulla produzione dei propri testi. Un’attività di scavo e di recupero che illumina il passato con acquisizioni sovente di notevole interesse e che fa pure riemergere e collocare nella giusta posizione autori che sovente il mancato perpetuarsi del riuso da parte di lettori e critici aveva confinato in penombra o addirittura fatto cadere in un colpevole dimenticatoio. Altra cosa, importante e difficile, è invece valutare criticamente la produzione attuale, far sì che si imponga all’attenzione del pubblico e dei lettori.” (Rosa Elisa Giangoia, pag. 49).
“La letteratura, e quindi la poesia, (…), serve a dire la presenza dell’uomo nel mondo, a interpretarla, ad individuare e a esprimere nel vivere e nel vissuto significati e tensioni di completamento e miglioramento. L’importante è non limitarsi, e tanto più non esaurirsi, ma tendere, pur sapendo di mirare ad un punto irraggiungibile, senza esaurire il ‘cammino’ nel cammino stesso, ma camminare, cercando, in quanto la poesia riguarda tutto l’essere dell’uomo, la sua vita, la sua verità, il suo bene e il suo male.” (Rosa Elsia Giangoia, pag. 56).
“Nella poesia, se viene a mancare il senso, l’Essere e di conseguenza la Parola finiscono col dissolversi nel nulla, nel vuoto, nel silenzio, insidiati da una semanticità o da una segnicità inesistenti, e, pur essendo dedalei, perdono la loro univocità e vengono minacciati dall’abisso dell’insensatezza che assume una funzione vanificante del vivere stesso. Questo annienterebbe il senso stesso della poesia che tradizionalmente ha aperto spazi di conoscenza, ponendosi, con l’ampiezza e le possibilità della sua potenzialità significante, in una sospensione tra il tempo spazializzato e misurabile e l’eternità immensa e vissuta della ‘durata’ interiore” (Rosa Elisa Giangoia, pag. 56).

** “Guardo il creato/ e rido […] Con due dita prendo il sole/ e lo spengo/ nel fondo d’una piena secchia d’acqua./ Per passatempo delle stelle faccio/ una collanina […] Sul pallido musino della morte /rido.//” (Giuseppe Bonaviri, Il dire celeste, Mondadori, 1993, pag. 26-27, in Franco Zangrilli, Bonaviri: poeta pittoresco, in XENIA. Trimestrale di letteratura e cultura, Associazione Culturale Genova Lettere, 2021 n. 1, Anno IV, 2021, pag. 4.

* Giovedì 14 ottobre 2021, per il ciclo “Il dolce rumore della vita” (organizzato dall'associazione Isole del sapere), la libreria Les Bouquinistes (via de' Cancellieri 5, Pistoia) ha ospitato Vincenzo Guarracino.
Nell’occasione è stata presentata la nuova edizione del Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani di Giacomo Leopardi, da Guarracino curata per La nave di Teseo.
Ha moderato l'incontro Giuseppe Grattacaso.
Al link Al link https://www.facebook.com/watch/live/?ref=watch_permalink&v=402789974911895.
Da vedere e ascoltare!

* Angelo Malinconico, Maurizio Peciccia, Al di là della parola. Vie nuove per la terapia analitica delle psicosi, presentazione di Eugenio Borgna, Edizioni Scientifiche Ma.Gi., Bergamo, 2006.
“Gli autori di questo volume si inoltrano nell'al di là della parola per toccare, attraverso le "immagini-corpo" delle produzioni di soggetti psicotici, la complessità delle trame emozionali messe in scena. Un sodalizio rivelatosi naturale tra due metodi che esaltano il valore dell'immagine nel processo che distingue l'individuo dall'indistinzione iniziale da cui proviene. Si tratta del Gioco della Sabbia e del Disegno Speculare Progressivo Terapeutico. Nel farsi dell'immagine passando per il gesto, si recuperano sia le emozioni legate ad avvenimenti traumatici, sia le potenzialità rimaste sopite nell'atteggiamento dominante della coscienza” (al link https://www.libreriauniversitaria.it/parola-vie-nuove-terapia-analitica/libro/9788874871674).

“L’ironia (non sarcastica né paranoide) è un’esperienza metaforico-simbolica che presuppone un essere al mondo in maniera transitiva. L’autoironia esprime una capacità critica consistentemente maggiore. Il riso consapevole, non persecutoriamente difensivo, peraltro condiviso in un contesto gruppale, denota una forma ancora più evoluta della capacità di esporsi all’altro” (Angelo Malinconico, Gioco della Sabbia e gruppo di schizofrenici. Riflessioni intorno a epistemologia e prassi, pag. 49).

“La letteratura mitologica e fiabesca, nonché la storia delle religioni, rimandano con grande frequenza e ricchezza ai significati di tentazione, trasgressione, punizione, ma contiguamente all’iniziazione, all’acquisizione del libero arbitrio, al costo dell’autonomia di giudizio, in definitiva al processo di morte-rinascita che conduce all’individuazione (Carl Gustav Jung, Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche, Opere, vol. VIII, La dinamica dell’inconscio, Torino, Boringhieri, 1976, pag. 167)” (Angelo Malinconico, Gioco della Sabbia e gruppo di schizofrenici. Riflessioni intorno a epistemologia e prassi, pag. 67).

“La contemporanea coesistenza tra desiderio di ritornare all’unità (con il conseguente comportamento fusionale), e la paura di essere ingoiati e di perdere l’identità in questa unità (con il conseguente comportamento dominato dalla separazione autistica) sarebbe, a nostro parere, un tratto caratteristico della struttura psicotica” (Maurizio Peciccia, Gaetano Benedetti, L’immagine delle psicoterapia analitica delle psicosi. Il Disegno Speculare Progressivo Terapeutico, pag. 72).

“I (N.d.A.) (…) pazienti psicotici (…) si sentono continuamente osservati, filmati, spiati: si avvertono, cioè «percepiti dall’esterno» senza riuscire a ricondurre ciò a una propria attività di auto-percezione. Il Sé, in queste situazioni, è minacciato e svuotato da un’auto-percezione dall’esterno, che avviene in simbiosi con l’ambiente” (Maurizio Peciccia, Gaetano Benedetti, L’immagine delle psicoterapia analitica delle psicosi. Il Disegno Speculare Progressivo Terapeutico, pag. 74).

“Il conflitto biologico di fondo di tutti gli esseri viventi - come modificare se stessi nell’incontro con l’ambiente esterno e mantenere allo stesso tempo inalterata la propria struttura - si esaspera e diviene drammatico nelle psicosi” (Maurizio Peciccia, Gaetano Benedetti, L’immagine delle psicoterapia analitica delle psicosi. Il Disegno Speculare Progressivo Terapeutico, pag. 78).

“L’opera d’arte è, secondo Jung, gravida di significato in quanto attinge a fondi remotissimi della psiche collettiva e dunque, una volta resasi visibile, s’innalza al di sopra di ciò che è strettamente personale: «L’artista è un uomo collettivo, portatore e rappresentante della vita psichica inconscia dell’umanità» (Carl Gustav Jung, Psicologia e poesia, Opere, Vol. X, t. I, Torino, Boringhieri, 1979, pag. 374). In questa prospettiva, entrare in relazione profonda con un’opera d’arte significa toccare profondità psichiche appartenenti all’intera umanità. (…) Un’opera compiuta non è mai un oggetto saturo, ma aperto, un oggetto che si fa contenuto e contenitore di processi inconsci quali principalmente l’identificazione, la proiezione, l’introiezione” (Luciana De Franco, L’immagine come focus nella terapia di gruppo di pazienti gravi resistenti ai trattamenti, pag. 242).

“Ricordo come Tedeschi sostenesse, e io per esperienza, che un sogno inespresso, non raccontano, «dimenticato», ha un suo effetto segreto sul conscio, un effetto sui pensieri, gli affetti, le emozioni e i comportamenti del sognatore. Ciò avviene in assenza di qualsivoglia smorfia, di qualsiasi trattamento psicoterapeutico e al di fuori di ogni interpretazione analitica. Il sognatore, tuttavia, non ha in genere alcuna consapevolezza che le modificazioni della sua psiche o dei suoi comportamenti - e questi sì che li può cogliere - possano essere in relazione con un suo sogno, conosciuto o sconosciuto. Questo per dire che un sogno può esprimere un suo senso quando venga interpretato, ma che «imprime» (Gianfranco Tedeschi, comunicazione personale), sempre e in ogni caso qualcosa nella psiche del suo inconsapevole sognatore” (Antonino Lo Cascio, Nota sulla circolarità delle immagini nella relazione analitica, pag. 256).

“Secondo Rolland in ogni uomo esiste un sentimento oceanico che lo fa sentire all’unisono con l’universo e che è all’origine del sentimento religioso: ‘[La religiosità] consisterebbe in un particolare sentimento che, quanto a lui, non lo abbandonerebbe mai, che sarebbe attestato da molte altre persone e che egli supporrebbe presente in milioni di uomini: questo sentimento egli vorrebbe chiamarlo senso dell’«eternità», un senso come di qualcosa di illimitato, di sconfinato, per così dire di «oceanico». Si tratterebbe di un fatto puramente soggettivo, non di un articolo di fede: non comporterebbe alcuna garanzia d’immortalità personale, ma sarebbe la fonte di quell’energia religiosa che viene catturata e incanalata […] dalle varie chiese e sistemi religiosi. Soltanto sulla base di questo sentimento oceanico, potremmo, a suo parere, chiamarci religiosi, pur rifiutando ogni fede e ogni illusione’ (Romain Rolland, in Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, Opere, vol. X, Torino, Boringhieri, 1978, pag. 553-630)” Giuseppe Maffei, Immagini e parole: confluenze possibili e necessarie, pag. 270).

* Il cammino di Cerchi, Alta Val di Vara (La Spezia)
TLS (Tele Liguria Sud), giornale di venerdì 17 settembre 2021, al link
Tre giorni dedicati a Dante Aligheri, in occasione dei settecento anni dalla sua morte, nella frazione di Mangia (Sesta Godano, La Spezia). La famiglia Cerchi, di origine fiorentina, si è stanziata, fino ad oggi a Mangia, dopo essere passata in Lunigiana, dove ha risieduto anche Dante.
Locandina al link https://youtu.be/Z-euneAd70w?t=1801

* Il diario di Mànuel Bonomo relativo a un’insolita esperienza in India, Gelataio a Bombay, introduzione di Massimo Tedeschi, GAM Editrice, 2014.
Mànuel Bonomo è nato in Italia nel 1980. È giornalista e docente di Italiano per persone straniere. Sin da giovane, animato da una curiosità irrefrenabile, e aiutato da una precoce passione per le lingue, si è specializzato nel trovare scuse per viaggiare: fare gelati a Bombay è stata una di queste.

“«La mattina alle otto preghiamo il Dio».
Così aveva scritto uno studente indiano di 14 anni in Italia in un compito di lingua italiana, in cui doveva parlare della propria vita quotidiana in india.
Il professore (che ora è il nuovo gelataio a Bombay) lo aveva corretto con una tecnica che si chiama ‘effetto eco’, cioè ripetendo la frase ad alta voce a mo’ di commento, ma grammaticalmente corretta:
«Ah, pregate Dio».
Lo studente aveva risposto:
«No, alle 8 preghiamo il Dio».
A quel punto il nuovo gelataio (che allora era professore) era passato al metodo classico:
«In italiano si dice Dio e non il Dio».
E lo studente aveva risposto:
«No Prof., alle otto preghiamo tutti insieme – musulmani, indù, sikh e cristiani – il Dio. E dopo, alle 11, ognuno prega Dio!».
Il nuovo gelataio si era commosso. L’affermazione di quel ragazzino di 14 anni meritava di essere citata all’inizio di un saggio sul dialogo interreligioso o di un trattato di teologia” (pag. 51).

“La luce della sera è ora arancio fuoco, calda e accogliente. La donna pare brillare nel suo vestito viola di finta seta, e i suoi movimenti lenti, con cui sta pulendo uno a uno le centinaia di piccoli pesci che verranno messi e essiccare, regalano al paesaggio infernale degli attimi di ineguagliabile trascendenza” (pag. 70).

“Il gelataio è sdraiato sul letto sotto le pale del ventilatore. È notte, appiccicosa e poetica.
Ed è sempre notte fonda, perché la gelateria chiude alle due ed è distante un’ora di strada da dove abita.
Nel buio completo, sotto le pale del ventilatore che gli occhi riescono appena a intravedere (ma che l’udito avverte benissimo), la giornata gli scorre di fronte, con il suo carico di dramma e di vitalità densa.
Non pensa. Sta.
E prega” (pag. 85).

* Il saggio di Mànuel Bonomo, Nel segno della cometa. Brescia e Betlemme: storia di un’amicizia, GAM Editrice, 2021.
“L'amicizia tra Brescia e Betlemme è un viaggio che prende il via nel 2003 a bordo di un veliero con un equipaggio di coraggiosi (e testardi) velisti ciechi e tossicodipendenti (progetto Homerus N.d.A.), che arrivati a Betlemme pianteranno i semi del futuro gemellaggio con Brescia e innescheranno una reazione a catena fatta di scambi di esperienze, progetti di cooperazione e accoglienza, collaborazioni universitarie, visite ufficiali, viaggi personali e pellegrinaggi, degustazioni di vino e partite di pallone. Un andirivieni incessante di persone che negli anni hanno saputo costruire un solido ponte che attraversa il Mediterraneo e unisce il cuore di due città, sullo sfondo del campale viaggio ispiratore di Paolo VI in Terrasanta del 1964” (al link https://www.ibs.it/nel-segno-della-cometa-brescia-libro-manuel-bonomo-morzenti/e/9788831484282).

Un saggio equilibrato, Nel segno della cometa. Brescia e Betlemme: storia di un’amicizia, scritto nel nome della pace: l’autore comprende le ragioni dello Stato di Israele, se pure collabora in prima persona, insieme alle più diverse istituzioni bresciane e di Terrasanta, a migliorare le condizioni di vita dei palestinesi.
Con il piglio chiaro ed esaustivo dell’ottimo giornalista, ma anche con una passione a tratti commovente, Bonomo scrive la cronaca, dettagliata e ben documentata, di un percorso non facile, alimentato dall’ideale della fratellanza, finalizzato a costruire ponti di autentica solidarietà e di reciproco scambio fra la società e la cultura bresciana e quella palestinese.
Bonomo scrive un’opera che invita il lettore a deconflittualizzare i rapporti umani, e a operare in un’ottica - cattolica nel senso greco del termine, 
καϑολικός, universale - aperta ai cambiamenti, capace di cogliere “i segni dei tempi”, priva di ingenui idealismi e latrice, invece, di semi di prudente eppure ottimistica speranza nei confronti della complessa situazione geopolitica della Terrasanta (Adele Desideri).

“«Se non vedenti e tossicodipendenti possono mettersi assieme e realizzare l’impossibile - spiegava Alessandro Gaoso (di Homerus N.d.A.) - allora anche israeliani e palestinesi possono riuscire a trovare una strada per una pace impossibile»” (pag. 33).

“Homerus aveva anche altro da aggiungere e si rivolse direttamente a israeliani e a palestinesi: «La successione dei Vostri Premier sarà un giorno solo un elenco di nomi con a fianco scritto: ‘Ha regnato dall’anno tale al giorno tale’. Ma per gli artefici della pace verranno scritte pagine di storia e essi otterranno ricordi immortali. Nessun altro popolo ha il privilegio di esser nato nella culla delle religioni: nella Terrasanta. Voi e solo Voi avete tale privilegio e quindi solo Voi avete la prerogativa di presentarvi la mondo come propositori di una collaborazione tra le religioni. Se seguirete questa strada vedrete quanto grande sarà questo messaggio mondiale, quanto grande sarà la reazione delle nazioni del mondo e Vi accorgerete d’aver iniziato un processo enorme, di grande attualità, un processo che farà tremare la attuali alleanze. Per questo, vi porteremo: una preghiera, un suggerimento e un seme»” (pag. 35).

“Per lungo tempo la fraternità è rimasta la sorella minore delle tre categorie che compongono il motto della rivoluzione francese, confinata nell’ombra dalla forza delle prime due, quella libertà e quell’uguaglianza attorno alle quali si sono costruiti per opposizione i due mondi a ovest e a est della cortina di ferro e i destini individuali di chi ne fu parte” (pag. 7).

“Siamo tutti più o meno abituati a pensare alla pace per negazione, per sottrazione. Quando ci immaginiamo la pace, quando cioè proviamo a rappresentarla, a raffigurarla, l’immagine che emerge è quella di una situazione di non guerra, di assenza di conflitto. Del resto, anche chi come noi ha la fortuna di vivere un tempo e un luogo dove non c’è guerra, pensa alla pace come a un momento o a un periodo senza disturbi, senza assilli, senta (troppi) impegni o imprevisti; come a una pausa dalla vita quotidiana dove è difficile, appunto ‘starsene in pace’.
Ci si illude insomma di ‘stare in pace’, o di ‘venire lasciati in pace’, quando il mondo, la società, il destino o gli altri non giocano contro di noi nella partita della vita. È questa ciò che potremmo chiamare la pace idealizzata. La pace concreta, invece, quella che gli uomini e le donne in carne e ossa sperimentano nella stragrande maggioranza delle situazioni reali che si trovano a vivere, è altra cosa. Non è uno stato ideale che si raggiunge per sottrazione, togliendo qualcosa che, contro la nostra volontà, turba, disturba o perturba la nostra quiete. Certo, non poche volte si vorrebbe raggiungere un tale obiettivo, e alcune volte ci si riesce pure. Ma quasi sempre avviene qualcosa di segno opposto.
La pace migliore, tanto nell’esperienza personale quando in quella dei popoli, la si raggiunge quando si riesce a gestire la presenza di ciò che ci turba, dei conflitti che inesorabilmente accompagnano la nostra esistenza; quando si riesce a circoscriverli, a superarli, a incorporarli piuttosto che a espellerli, a compiere quella straordinaria metamorfosi tutta umana che ci porta a trasformare in simbolico ciò che ci appare come diabolico. (…)
La pace è qualcosa che abbiamo di fronte, non alle spalle, è qualcosa che dobbiamo costruire insieme, liberandoci dalla nostra condizione di partenza. Insomma la pace non ha nulla a che vedere con la natura (da sempre teatro di conflitti per la sopravvivenza, dove prevale inesorabilmente il più forte, il più cattivo, o il più furbo) e ha invece molto a che vedere con la cultura, con la nostra capacità di costruire il mondo così come immaginiamo possa essere.
Questa straordinaria capacità degli esseri umani si concretizza attraverso uno strumento, un’attività troppo spesso denigrata: la politica. La necessaria e costante attività di gestione e risoluzione di conflitti che genera pace è politica. L’agire volto alla mediazione degli interessi, all’individuazione di soluzioni giuste, praticabili e accettabili da tutti, che eviti l’esplosione della violenza e, nei casi estremi, della guerra è agire politico. La costruzione di relazioni di cooperazione, di scambio e solidarietà internazionale - in altre parole di ponti anziché di muri - è attività politica” (pag. 9-11).

“Semplificando al massimo, da una parte Israele viene visto come il concretizzarsi di un sacrosanto diritto degli Ebrei ad abitare in un proprio stato, i cui confini coincidano con la terra storicamente (o meglio: biblicamente) abitata dal popolo di Israele. L’immane tragedia della Shoah contribuisce a corroborare questa posizione: lo Stato di Israele è la soluzione a una storia di persecuzioni e l’unica garanzia possibile affinché esse non si ripresentino. Secondo questa visione, il conflitto israelo-palestinese nasce dal diritto e dalla volontà di difendere la propria esistenza. All’estremo opposto, Israele è un’anomalia storica inaccettabile, una mera forma di colonizzazione, un impossessarsi di un territorio già abitato (anche) da popolazioni non ebraiche, sul quale è impossibile vantare una prerogativa di matrice storica, culturale o religiosa. In questa prospettiva, il conflitto è un diritto della popolazione araba palestinese a difendersi da una invasione e da un annientamento. Tra questi due estremi, trovano spazio una lista senza fine di posizioni e sfumature (…).
Oggi la Palestina risulta divisa in due aree: Gaza, governata dal movimento politico di Hamas, bollato come terroristico dall’Unione Europea nel 2003, e la Cisgiordania (o West Bank), il cui governo è guidato dal partito politico al-Fatah, con a capo il presidente Mahmoud Abbas, noto ai più come Abu Mazen. Nel corso dei decenni la Cisgiordania è stata ampiamente colonizzata da Israele e oggi si presenta come un arcipelago di isole palestinesi in un mare tutto israeliano, con un muro voluto e costruito da Israele che si erge a marcare i confini. Betlemme è una di queste isole” (pag. 14-15).

Nei Territori Occupati, “in seguito agli accordi di Oslo del 1993 (…) nella zona A amministrano e controllano i palestinesi, nella B amministrano i palestinesi e controllano gli israeliani, mentre nella C - che coincide con oltre la metà della Cisgiordania - tutto è in mano a Israele” (pag. 95).

“La delegazione bresciana percorse le vie strette del mercato e salì fin sulla terrazza di un abitante di Hebron trovatosi con la casa in trincea: torrette militari, ragazzini soldato col mitra tra le mani, filo spinato, reti per proteggere dal lancio di pietre e spazzatura, scuole e abitazioni che paiono roccaforti, case abbattute. Non si vide un sorriso, né si senti una battuta di spirito: dentro la città di Hebron, sulla linea che separa la parte palestinese dalla colonia ebraica, sei ufficialmente su un fronte di guerra in stato di tregua” (pag. 133).

“È questa geografia impazzita, su cui grava il peso di una amministrazione straniera, ovunque puntellata di colonie, che rende problematica - per non dire irrealizzabile - la soluzione dei ‘due Popoli, due Stati’, oramai diventata un escamotage retorico onnipresente nei discorsi politici. Sull’argomento vale la pena di citare la recente riflessione di un’altra autorevolissima persona molto legata a Brescia e cara a Vera Baboun (professoressa di Letteratura Inglese all’Università di Betlemme, sindaco di Betlemme dal 2012 al 2017 N.d.A.): il sacerdote francescano Pierbattista Pizzaballa, nominato Patriarca di Gerusalemme il 20 ottobre 2020, ma già Custode di Terra Santa dal 2004 al 2016, e amministratore apostolico del Patriarcato nei due anni successivi. La soluzione ‘Due Popoli, due Stati’ è «l’unica ‘non-soluzione’ possibile. Non si può dire ai palestinesi che non hanno diritto a una terra e a una nazione. Essi ne hanno diritto. Data l’attuale situazione politica è da chiedersi come tecnicamente questa possa essere realizzata. È difficile dire che questa soluzione non sia più praticabile ma allo stesso tempo bisogna chiedersi come si potrebbe fare»” (pag. 96).

“Brescia intendeva gemellarsi con la dimensione simbolica e senza tempo di Betlemme e con la sua millenaria tradizione cristiana: ma era fattibile limitarsi a questo, senza inevitabilmente offrire un appoggio - o se non altro un consenso - politico a una Amministrazione comunale che accoglieva in sé esponenti di un movimento politico bollato come terrorista dall’Unione Europea già dal 2003? Di questo la maggioranza (della Giunta Comunale di Brescia N.d.A.) dovette rendere conto” (pag. 61).

“«I giovani del Medio Oriente crescono in comunità segregate, conoscendo molto poco l’uno dell’altro e del conflitto, delle sue radici e come colpisce l’Altro. Hanno pochissime opportunità di incontrarsi tutti insieme come esseri umani in un clima favorevole che permetta loro di conoscersi come realmente sono e di imparare a capirsi. La maggior parte dei giovani israeliani vede i Palestinesi come terroristi, la maggior parte dei Palestinesi vede la società israeliana solo attraverso i suoi scontri con l’esercito di occupazione e i coloni. Sono traumatizzati, soffrono per la paura, la rabbia e la frustrazione, la disperazione e le vaghe prospettive per il futuro. Hanno bisogno e meritano un’opportunità di vedere che c’è qualcuno con cui parlare dall’altra parte, che è possibile la pace e costruire la speranza per un futuro migliore». È proprio uno dei grandi temi del conflitto israelo-palestinese: la non conoscenza reciproca, soprattutto per quanto riguarda le generazioni più giovani, nate e cresciute in un contesto a compartimenti stagni, con un muro nel mezzo, al di là del quale stanno i cattivi, e di qua i buoni. E i cattivi sono sempre quelli che stanno di là” (pag. 47-48).

“Dal 3 al 18 luglio 2004 venne organizzato un soggiorno a Cocca Veglie (Brescia N.d.A.) per un gruppo di 20 ragazzi e 10 educatori, israeliani e palestinesi, «in un clima psicologicamente disteso e sereno per favorire la conoscenza, da cui nascono inevitabilmente il rispetto e l’amicizia». Cocca Veglie trovò nell’Associazione di cittadini israeliani e palestinesi Windows - Channels for Communications, di stanza a Jaffa, il partner ottimale, in quanto impegnato da oltre dieci anni «per promuovere la conoscenza, la comprensione e la riconciliazione tra i due popoli, con programmi educativi e culturali»” (pag. 48).

“Nessuna destinazione turistica al mondo risente quanto la Terrasanta delle oscillazioni sociopolitiche interne: bastano i titoli di un telegiornale a far crollare il flusso dei turisti a un decimo della propria consistenza, se non addirittura ad azzerarlo. Molto dipende dalla prospettiva perennemente tragica - guerre, tafferugli, proteste, battibecchi, rivendicazioni, muri, terrorismo, sangue, bombe e pietre - con cui i media scelgono di trattare le questioni dell’area, ma anche il cittadino italiano che si ferma a una tale visione ha le proprie responsabilità. D’altronde, i media si concentrano per loro natura sulle ‘anomalie’ di una situazione: così come si segnalano gli incidenti e il traffico in autostrada, e non il cielo azzurro e le auto che filano lisce, allo stesso modo si racconta ciò che in Terrasanta non quadra e non ciò che funziona regolarmente, anche se la pratica oramai consolidata è di dipingere Israele e Palestina sempre solo a tinte fosche, come fossero il calderone del pianeta da cui non potrà mai uscire nulla di buono. La differenza sostanziale la fa l’esserci stati, ma anche l’incontrare e il parlare con qualcuno al rientro da un viaggio a quelle latitudini. Allora sì che si creerà lo spazio per una visione più ampia, che non neghi i tasti dolenti e drammatici, ma che si apra a una realtà più completa e più vera” (pag. 121).

“Viaggi e simboli: sono forse queste le due parole chiave della storia di questa amicizia partita da lontano?
Nel 1964, Paolo VI fece un viaggio di soli tre giorni, che fu esso stesso simbolo di una nuova stagione di apertura e collaborazione, e che si sostanziò di tanti piccoli gesti quotidiani simbolici e capaci di aprire orizzonti vastissimi: dalla realizzazione di Istituti e Università, alla formazione di nuove coscienze desiderose di operare per il bene comune.
Il progetto Homerus con il suo folle viaggio in Terrasanta coinvolse soltanto una ventina di persone italiane e una parte infinitesimale della popolazione di Israele e Palestina, così come l’Associazione Amici di Cocca Veglie in fondo si rivolse a poche decine di ragazzi e ragazze per i propri progetti estivi: ma quanto grandi furono quei gesti simbolici e gratuiti di intraprendenza, accoglienza e cooperazione partiti dal basso, quando ancora non vi era alcun legame istituzionale a offrire almeno una cornice di riferimento dentro cui operare?
Che cosa fu quel viaggiare dal Lago di Garda a Cremisan (Convento dei Salesiani Cremisan, Betlemme, N.d.A.) per rilanciare una cantina vinicola e che cosa rappresentano quelle poche migliaia di bottiglie sbarcate in Italia da Betlemme e ricolme di un messaggio oltre che di vino?
E in fondo Betlemme non è essa stessa il simbolo della nascita di un nuovo modo di vivere il mondo a cui il gemellaggio si ispirò per superare una controversa contingenza storica e politica?
Le parole ‘viaggi e simboli’ forse però non bastano, perché rendono tutto troppo astratto. Almeno altre due parole vanno aggiunte: ‘persone e volontà’: perché questa è una storia di amicizia, che non si stringe fra verità eterne, ma fra mani di persone animate dalla voglia di fare e di creare.
L’amicizia fra Brescia e Betlemme è una reazione a catena inarrestabile. E ogni anello della catena coincide con una iniziativa, un viaggio, un gesto o magari semplici parole che hanno lasciato il segno: abbiamo cercato di fissare quanto più possibile tra queste pagine, così che il tempo non ne cancellasse indisturbato il ricordo.
Brescia la conosciamo. Ma anche Betlemme oramai. La cittadina di Galilea non nasconde né segreti ne misteri: la sua storia e ciò che essa rappresenta chiedono solo di essere toccati con mano.
Andateci a Betlemme: è la vostra città gemella” (Conclusioni dell’autore, pag. 141-142).

* Il romanzo, opera prima, di Sergio Martini, Vascelli di Carta, Felici Editore, 2020.
“Francis Martin è un giovane apprendista inviato, per il suo primo servizio giornalistico, a una fiera del bestiame che si tiene sull'isola di Saint Léonard. Raggiunta quest'ultima, Francis non trova alcuna indicazione ma, anzi, l'ostilità iniziale degli abitanti. Accetta, così, l'aiuto d'un singolare personaggio: Sigmund, pilota di dirigibili. Inizia (…) un'avventura in un luogo senza tempo che sembra partorire esistenze e storie stravaganti e immaginifiche. E dunque lo Scultore di Difetti, la soffitta delle persone rotte, la Cerchia degli Ambiziosi. E ancora il cimitero delle meditazioni, i due capitani di vascello, il pugile smilzo e la ragazza del Pontile 27; in un labirinto che sembra riportarci sulle orme di Alice e di Gulliver o di certi straniati mondi letterari nati dalle penne di un Bioy Casares e di un reverendo Abbot. Una vertigine reale come sono alle volte i sogni, gli incubi e, di più, la follia quando tenta di dare un senso risarcitorio alla vita, alle sue interruzioni, alle sue sconfitte. Vascelli di carta finisce per disegnare, così, un pellegrinaggio nell'inconscio alla ricerca di un sé dove, come in una matrioska, sanno celarsi i mille volti di un giovane uomo che, nel suo ultimo viaggio interiore, perde se stesso” (al link https://www.amazon.it/Vascelli-carta-Sergio-Martini/dp/886019752X)

La prosa di Martini è ritmica, incalzante, misteriosa, talora accesa di sensualità; densa di affreschi vivaci, di sorprendenti metafore - calviniane memorie - tutta giocata sui dialoghi: fluiscono leggeri e penetranti, come nelle migliori recitazioni teatrali.
L’autore scrive una storia che affronta - con punte di dolorosa, surreale, ironia - il tema della follia, e al contempo conduce verso un faticoso percorso di individuazione del Sé, nel quale i vissuti dell’inconscio sono rappresentati dai personaggi stessi, nelle loro più diverse stranezze, ma anche nelle loro variegate forme di sopravvivenza, di resistenza, rispetto ai deliri psicotici che possono frantumare l’Io in mille rivoli e condurlo oltre ogni immaginabile realtà. Sono personaggi che non hanno un volto, sono maschere - personae nel senso latino del termine - eppure possiedono un carattere complesso e ben delineato, hanno alle spalle una storia densa di senso, e procedono verso una meta talora non precisamente definita, talaltra un poco più delineata.
Il romanzo di Martini immerge il lettore in una di rêverie salvifica, nella quale l’impeto immaginativo e il valore del pensiero intuitivo-emozionale-creativo sono latori di una critica - sottile ma evidente - nei confronti del logicismo tecnologico-finanziario oggi imperante.
Martini illumina e testimonia il senso della libertà responsabile: la libertà di essere se stessi, di portare a compimento il proprio progetto di vita, di cogliersi come Vascelli di carta, fragili e preziosi, comunque capaci di solcare i mari agitati dell’esistenza - cercando di non affondare, giù in fondo, negli oscuri, acquei, abissi (Adele Desideri).

“In quel preciso istante l’osteria riprese a muoversi, come un carillon a cui venga ridata la carica. I pescatori ripresero a ingrossare il pesce, le donne a pendere dalle loro labbra, i depressi a deprimersi e la donna anziana attaccò la seconda bottiglia. Il baccanale riallestiva il suo teatrino come se nulla fosse” (pag. 16).

“«Ogni meraviglia è nata dal nulla, dalla polvere di un’idea. Questa sarà la nostra e ci affrancherà come prima di noi le piramidi e i giardini pensili di Babilonia»” (pag. 37).

“«Mio nonno, ogni sera si fermava a leggere i manifesti funebri affissi alle mura esterne del cimitero. Li leggeva tutti e poi faceva un sospiro profondo. Una prassi che lo affliggeva. Pensavo fosse per il dolore per un amico che non c’era più o forse una forma di malinconia legata alla consapevolezza sul tempo che resta. Ma qualche anno più tardi capii quale fosse il vero motivo: non cercava né parenti né amici su quel muro tappezzato di nomi, cercava se stesso. Era solo stanco»” (pag. 49).

“«(…) Sai, il mondo perde metà del suo tempo a parlare senza avere detto nulla. Loro parlano del nulla, così almeno un nulla lo hanno detto»” (pag. 74).

“Si chiedeva come quel paese che accoglieva le follie di chiunque, per qualche motivo non accettasse la sua” (pag. 86).

“Nessuno sapeva il suo nome o forse a tutti loro non interessava saperlo; era come se gli bastasse partecipare alla sua condanna, al suo massacro, parlandone per il gusto di sparlare. Li fermava mentre erano indaffarati nelle cose di tutti i giorni; vite immerse nella consuetudine fino all’inguine. La noia rende affamati di giudizio: non chiedevano altro. Le vite degli altri colpite per sentire migliore la propria. La propria vita più pulita o anche sporca, purché sulla testa degli altri cadesse più fango di quello che gli apparteneva” (pag. 132).

“L’isola offre a ognuno la possibilità che non è concessa a nessuno: la scelta. Talvolta la vita te la impone, talvolta la suggerisce, ma il più delle volte ti spinge ritraendo la mano. (…) A Saint Léonard l’unico limite è il tutto, così vasto da lasciarti impreparato” (pag. 202).

“Era lui steso la sfumatura di ognuna delle altre storie e io lo capii soltanto scrivendole tutte. Sigmund era - è - il momento, l’istante, l’attimo in cui avviene il passaggio. È lui che conduce tutti là, al limite estremo, all’ultimo chilometro della realtà, che prende per mano come un padre, e come un padre poi lascia andare i suoi figli da soli, una volta superata la barriera.
Forse Sigmund era proprio quello: né paziente né direttore, ma effettivamente un pilota.
Lo diceva a tutti, buttandolo là per caso, mettendolo sotto gli occhi di ognuno. Così nessuno vi dava peso; ma quello era il suo dettaglio: il solo che
  non dovesse essere ignorato” (pag. 204).

* L’ottima rivista on line SENECIO, a cura di Andrea Piccolo e Lorenzo Fort, al link http://www.senecio.it
In particolare, l’aggiornamento del 4 settembre 2021, con i seguenti contributi:

Claudio Bevegni “La Fortuna della Germania di Tacito: osservazioni a margine di una nuova edizione”

Antonella Bontae “Su Cristiana Moldi-Ravenna, Elena e la guerra”, Supernova Edizioni, Venezia 2020

Luigi De Cristofaro “Τεκμηριοῖ δὲ μάλιστα ῞Ομηρος (“The best evidence is given by Homer”, Thuc. 1.3.3.1). Extracting data: History and Myth in Thucydides’ Homer

Adele Desideri Un ricordo di don Graziano Gianola
al link http://www.senecio.it/rec/Desideri%20su%20don%20Graziano.pdf

Enrico Peyretti “Esportare democrazia?”
Carlo Prosperi “Vergiliana”

* Il Convegno di Antichistica “De reditu nostro”, in memoria di Emilio Piccolo, 15 ottobre 2021, a cura di SENECIO, presiede e coordina Andrea Piccolo
Interventi di
Lorenzo Fort: “Presentazione della rivista SENECIO
Alessandro Cabianca “All'origine della poesia italiana: i trovatori provenzali in fuga dalla crociata”
Gianni Caccia “Luciano e gli Sciti: l'altro da sé e l'uguale a sé”
Andrea Scotto “Da funzionario dell'Impero a Padre della Chiesa: le "vite parallele" di Ambrogio di Milano e Gregorio Magno tra Antichità e Medioevo” 
Vincenzo Ruggiero Perrino “I papiri dello spettacolo” - II serie

*L’articolo di presentazione della rivista Kamen' n. 59, pubblicato nella rivista internazionale di poesia Recours au poème, in Francia.
Al link https://www.recoursaupoeme.fr/kamen-n-59/.

* Il numero 6 della coraggiosa rivista on line FLUIRE, a cura di Chiara e Mauro Valsangiacomo, alla chiara fonte editore, consultabile al sito http://poesiaallachiarafonte.ch/Fluire/


“Se, in questo periodo, io arrivassi veramente a odiare, sarei ferita nella mia anima e dovrei cercare di guarire il più presto possibile” (Etty Hillesum, Diario 1941-1943, a cura di J. G. Gaarlandt, Adelphi, 2004, pag. 30)

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