lunedì 18 giugno 2018

Il solista nel coro

di Vincenzo D’Alessio


La voce solista, in un coro, assolve potenzialmente l’attività di guida della trama del brano che si sta eseguendo.
Il solista Stefano Martello dà il proprio contributo al volume Perdono: dal rancore al ricordo (FaraEditore 2017) con il titolo: “Colore neutro tra un tranquillante rancore e un gracile perdono” aggiungendo nel sottotitolo: “Quattro chiacchiere informali e disordinate da una pozza fangosa” (pag. 298).
Conosco la scrittura del Nostro attraverso le prefazioni e i contributi annessi alle opere della casa editrice Fara: vena freschissima di una verve capace di strappare sorrisi a denti stretti che si trasformano, dopo, in una smorfia di dolore/compiacimento per le avvenute considerazioni.
Anche in queste pagine l’arguta penna del giornalista induce i lettori, e i partecipanti stessi all’incontro, ad una riflessione fondata su tre principi tecno/ filosofici attualissimi e incontestabili, accettabili ognuno a secondo della propria sensibilità: “Per assaporare la (tentata) semplicità di quella traccia all’origine del testo; per esplorare i contorni che potrebbero nascondere mine travestite da margherita; per essere sicuro che le parole che seguiranno mi siano debitamente vincolate e che non vadano a cercarsi spazi e applausi e nuove compagnie per fatti loro” (pag. 299).
Il numero tre, simbolo di perfezione, lo ritroveremo nello sviluppo sistematico degli argomenti tratti a beneficio del criterio personale adattabile al lettore: “Uno. Pensare a ciò che è stato. Due. Immaginare ciò che sarà. Tre. Temere costantemente ciò che è. (pag. 302). Successivamente: “Uno. La condanna ipocrita. Due. L’esecuzione esemplare. Tre. La riabilitazione” (pag. 304).
Il rancore viene analizzato come primo elemento sminuzzato e miscelato in un cocktail di “(…) sangue, vene, fegato e cervello” (pag. 301), poiché dice il Nostro: “(…) il rancore – al pari del 99 % dei miei coetanei – l’ho conosciuto molto bene e praticato ancora meglio, sia pure con alterne fortune” (pag. 300).
Come non dargli ragione: il primo impatto è quello di fare fronte al dramma del dolore attraverso il rancore verso chi l’ha procurato.
Ma quando a procurare il dolore è Madre Natura con i suoi fenomeni naturali, oggi così frequenti: terremoti, eruzioni vulcaniche, alluvioni e altro ancora, come sarà possibile metabolizzare un eventuale “nemico”?
Il “virus” (come lo definisce il Nostro) del rancore coverà e sarà tanto difficile raggiungere la forza del perdono: “E, soprattutto in questo ultimo caso, occorre una grande decenza interiore e una ferrea disciplina esteriore. Nonché una o più persone a cui abbiamo precedentemente affidato la nostra fiducia e i nostri segreti più scabrosi” (pag. 303).
Belle ed esaltanti sono le pagine quando si arricchiscono delle citazioni di grandi autori come: M. Vázquez Montalb
án, G. Orwell, C. Lombroso e H.M. Kepplinger, utili ad accentuare il procedere lento e metabolizzante della filosofia del pensiero del Nostro; l’invito è rivolto al lettore di verificare, in proprio, le condizioni che hanno determinato gli argomenti prescelti.
Altra chicca utilizzata da Martello risiede nell’uso di parole provocatorie tese a scardinare la serietà annunciata dell’argomento per condurlo alla pura umanità: “vomitate; marchette sociali; Nudo. Putrido: Traditore delle altrui aspettative. (attenzione, gente, a delinquere e a sbagliare si perdono i capelli); merdosissima umanità.”
Ho estratto solo alcune delle esilaranti provocazioni che il Nostro dispone lungo il percorso per attutire il dramma provocato dal dolore e condurlo sulla strada del tono semiserio.
La bocciatura dei ricordi: “Sono, semplicemente, sprazzi di memoria di cui conosci tutta la fragilità e tutta l’alterabilità e su cui, dunque, puoi fare solo parziale affidamento. Il mio rancore e il mio perdono sono troppo importanti per poter essere affidati ad una memoria che invecchia e si addolcisce e che, in un momento di debolezza, potrebbe tentare una difesa disperata mandando dei ragazzini ad opporsi contro dei carri armati” (pag. 309), non mi trova d’accordo.
I ricordi sono sì fragili ma anche insostituibili. Una parte delle nostre conoscenze, che forma quella che in vecchiaia sarà definita saggezza, è fondata sui ricordi.
Emergo dalla lunga lettura del contributo solista di Stefano Martello consapevole dei limiti umani, troppo umani, che il dolore impone da millenni escludendo i valori cristiani o di altra natura religiosa.
I vagiti del neonato che lascia l’utero materno, le lacrime dell’anziano che lascia l’esistenza, sono per me i termini inalterati di dolore e perdono che la nostra comune esistenza offre: “Splendidamente e perennemente nostra. Nei secoli dei secoli” (pag. 311).

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