24 marzo 2018
– Biblioteca di Noale
di Vera Horn
Introduzione generale
Mi piacerebbe cominciare questa introduzione ricordando una poesia
di Cecília Meireles,
poetessa brasiliana del tardo Modernismo perché in qualche modo questa poesia
risuona in Celestina, il libro di
racconti di Adalgisa Zanotto. Originalmente scritta in portoghese brasiliano,
la versione seguente è stata tradotta in italiano:
Cecília Meireles: L’arte di essere felici
Ci fu un
tempo in cui la mia finestra si apriva su una città che sembrava fatta di
gesso.
Vicino alla
finestra c’era un piccolo giardino quasi secco.
Era un
periodo di siccità, di terra sbriciolata, e il giardino sembrava morto.
Ma tutte le
mattine veniva un povero con un secchio,
e, in
silenzio, gettava con la mano alcune gocce d’acqua sulle piante.
Non era un
annaffiare: era una specie di aspersione rituale perché il giardino non
morisse.
E io guardavo
le piante,
e l’uomo, e
le gocce d’acqua che cadevano dalle sue dita magre
e il mio
cuore era completamente felice.
A volte apro
la finestra e trovo il gelsomino in fiore. Altre volte trovo nuvole dense.
Vedo bambini
che vanno a scuola.
Passeri saltellare sul muro.
Gatti che
aprono e chiudono gli occhi, sognando i passeri.
Farfalle
bianche, a due a due, come riflesse nello specchio dell’aria.
Calabroni che
sembrano sempre personaggi di Lope de Vega. A volte, un gallo canta.
A volte, un
aereo passa.
Tutto è
sicuro, al proprio posto, a compiere il proprio destino. E io mi sento
completamente felice.
Ma, quando
parlo di queste piccole felicità sicure,
che sono davanti a ogni finestra, alcuni dicono che queste cose non esistono, altri che esistono solo davanti
alle mie finestre, e altri,
infine, che
per vederle così devi imparare a guardare.
(Traduzione
di Emilio Capaccio)
In qualche
modo questa poesia risuona in Celestina,
il libro di racconti di Adalgisa Zanotto. Sono 12 racconti
che raccontano tematiche come la perdita, il passaggio del tempo, l’incontro-lo scontro, la ricerca
della libertà, la ricerca
della felicità, l’amore in forme diverse. Si tratta di un approccio
predominantemente lirico (anche se si tratta di narrativa) della condizione
umana, osservabile nella
forma con cui il testo narrato
espone i sentimenti, le relazioni umane ed affettive, le limitazioni e le incapacità dell’essere umano di fronte alla vita ma anche l’analisi dei suoi piccoli
gesti, semplici ma carichi di significato/sentimento. Come
nella poesia di Cecília Meireles, “Tutto è (...)
al proprio posto, a compiere il proprio destino”.
Sulla superficie della pagina, i dettagli sfuggono alla percezione della vita quotidiana ma l’autrice li ha saputo cogliere con la sua sensibilità (e qui richiamiano alla poesia di Cecília Meireles “che per vederle così devi imparare
a guardare.”). L’apparente banalità dei gesti quotidiani nasconde quanto c’è di profondo
e di lirico in quelle
vite raccontate.
Le storie
fanno avanti e indietro nel tempo tra realtà e memoria. La pagina volge spesso
lo sguardo su una dimensione famigliare nella scelta delle situazioni e delle
immagini che spesso avvengono tra membri di una stessa famiglia (tra nonno e
nipote, come anche tra nonna e nipote, tra mamma e figlia come anche tra mamma
e figlio, tra padre e figli, tra sorelle e il padre) in un ambiente carico di
peso memorialistisco.
Come nella poesia di Cecília Meireles, lo sguardo del narratore riparte
da una finestra che si apre su una città che sembra fatta di gesso
(“Ci fu un tempo in cui la mia finestra si apriva su una
città che sembrava fatta di gesso”) per raccontare
attimi di vita e sentimenti, di un gelsomino in fiore e di un cuore felice (come nei versi di Cecilia Meireles). Ma anche di nuvole dense: malattia e morte ci raccontano della precarietà della
vita e dell’essere appesi ad un filo di
ragnatela.
Alcuni racconti e le loro tematiche principali
Nel racconto “Il prato”, il tempo stringe alla ricerca della semplicità che può essere racchiusa nel prato e tutto può diventare l’ordine delle cose; è il tempo della serenità: “Il presente riprende il proprio ordine, l’essenza. Il futuro la sua speranza” (“Tutto è sicuro, al proprio posto, a compiere il proprio destino. / E io mi sento completamente felice” – Cecília Meireles).
Nel racconto “La fotografia”, la fotografia racconta di un
tempo che non c’è più ma che può ritornare; è la fotografia (e quello che
evoca) a “sancire una continuità tra quello che passa e quello che resta”.
Nella poesia di Cecília Meireles,
quello del povero con un secchio “Non era un annaffiare: era una specie di aspersione rituale perché il giardino non morisse”. Questa ritualità si fa presente
nel racconto nel momento
in cui la fotografia fa sì che quel passato, quella persona (la mamma),
quell’affetto, quei momenti vissuti insieme non muoiano. La fotografia richiama
la memoria del passato (vivo
nel presente) ed in effetti
era rimasta in garage insieme ad attrezzi, oggetti da riparare, cose
vecchie ed i ricordi del papà; essa stessa funge da memoria. Riporta un
ritaglio di vita, racconta attimi
vissuti con gioia e dolore, attimi di vita e di
morte.
Ne “La fuga”
si allacciano i punti di fuga e si ritrovano nell’incontro che può essere tra
madre e figlio, tra madre i figlia, tra famiglie, ma anche incontri fugaci, tutti esuli che siamo. E ancora
una volta la libertà.
Nel racconto
“La terra cucita addosso” la sofferenza del migrante naufrago strappato alla sua terra spinge e trascina nella sua corsa
i ritmi di un’altra vita, i legami persi, i ricordi. La corsa
del bambino Selam viene interrotta mentre la
vita segue celere
la sua stessa corsa. Lui riprende la sua conscio
delle sue origini (“Perché
nulla di ciò che faremo
o saremo possa
mai cancellare le nostre
origini. Perché la nostra origine ci conduce al giusto posto”) e rincuorato da
nuovi affetti in una cornice musicale e misteriosa che è pura vita nella vita.
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