lunedì 3 luglio 2017

Il coraggio del bene

AA.VV. Il coraggio del bene, FaraEditore 2017. 

recensione di  Vincenzo D'Alessio


http://www.faraeditore.it/nefesh/coraggiobene.html 

Caro lettore, ho iniziato a leggere l’antologia Il coraggio del bene (FaraEditore 2017) dal brano contenuto alla fine dell’opera. In questo caso è stato affidato alla bella scrittura di Stefano Martello che da anni segue le sorti della Casa Editrice Fara di Rimini. Ho raggiunto la prima pagina cosciente del cammino coraggioso di questa quarta edizione del concorso nazionale.
Stefano ha una mente acuta, aperta ai cambiamenti, cosciente dei limiti che i nostri “castelli di carte” offrono ai partecipanti e ai lettori.
La lucida escursione che compie, tra le opere a concorso, apre la strada al dubbio comune a miliardi di esseri viventi: esiste il “bene”?
La provocazione propria dell’ottimo postfatore include, inoltre, l’ironia che il bene: «(…) è una conquista impossibile; un errore di fondo nella stessa formulazione della dizione “il coraggio del bene”, affascinante quanto incompleta» (pag. 135).
Le pagine che seguono mettono a nudo l’attualità che il male ha raggiunto dopo la morte di Abele avvenuta presumibilmente diversi millenni or sono. Avvisa il lettore di questa agile opera letteraria che gli Eroi sono crollati e il male ha assunto la veste dell’uomo del Duemila: «(…) E proprio per sfuggire al bluff, il Male è presumibilmente sbarbato, ha conseguito una laurea triennale in Economia ed ha sostituito le borchie con degli anonimi e scialbi completi. Di sicuro è uno dei pochi abbonati ai mezzi pubblici, per assaporare quel puzzo maleodorante che è l’Uomo. Il suo target. Il suo cliente più affezionato. Il suo strumento devoto» (pag.138).
Alla luce di questa immensa volontà di far luce nelle tenebre dell’esistenza accesa da Stefano si affaccia il ricordo di due eroi, dei quali parlano le pagine scritte che hanno lasciato e che spero parleranno alle generazioni future di questi esemplari umani che Madre Natura ha messo a dura prova mentre respiravano su questo pianeta. Parlo di Guido PASSINI e Katia ZATTONI.
In nome di questa volontà eroica di affrontare il quotidiano la letteratura parla oggi attraverso le lingue degli autori presenti in questa opera.
Non ho tenuto conto, come hanno fatto gli ottimi giurati, dei canoni del voto. Ho cercato invece nelle opere gli spunti che avvicinano i partecipanti alle idee del lavoro preparatorio dei fondatori del concorso letterario, oggi scomparsi.
Leggendo questi scritti si va a scuola di sacrificio. Si cresce nella palestra della sofferenza condivisa. Si acquista la capacità di sollevare amorevolmente dal cuscino il capo del malato.
Un’azione fatta con i versi, con i testi letterari, con la Speranza consapevole che la battaglia del bene richiede tanto coraggio da valicare coscientemente e mentre si è in buona salute il cancello del dolore: «(…) Una persona vera oltre la nebbia / (…) Lo devo all’urlo dei tuoi occhi / al profumo di terra e di illusioni / Lo devo a una morte di pace / Questo è il mio credo, è più della speranza» (Carla Casetti Brigantini, pag.83).
Il credo che Guido PASSINI ha predicato è racchiuso proprio in questi versi.
Il testimone che Katia ZATTONI ha raccolto è pronto per passare di mano.
Tutte le altre opere sono l’acqua che attiva la macina del bene, per farne bianca farina e pane per molte menti. Il mulino è tenuto in vita dall’impegno delle ottime persone che hanno conosciuto i fondatori del Concorso e ne continuano con non pochi sacrifici l’attività.
Il plauso va senz’altro all’Amministrazione Comunale di Forlì che ha unito la premiazione del concorso alla Celebrazione del 25 aprile di ogni anno, memore del sacrificio umano offerto dalla Resistenza al coraggio e alla Libertà del bene comune.
Concludo, amato lettore, con le parole prese in prestito dallo scritto di Stefano Martello contenute nell’opera: «(…) Converrete con me che la nostra azione – proprio perché di basso profilo – sia meno pericolosa e compromettente. Anche se si nota di più alle feste. () D’Altronde, con gli Uomini si sa, è sempre una questione di merdosissimo dubbio» (pag. 144).

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