lunedì 12 giugno 2017

Nei paesi del Sud

di Vincenzo D'Alessio



Chi nasce al Sud di questa stretta penisola, tuffata nel cobalto Mare Mediterraneo, non sempre riesce a sfuggire alla fatale attrazione delle sirene che da quasi duemilacinquecento anni infestano le sue acque.
Le conoscono i vecchi pescatori che di questo mare hanno ascoltato il canto della calma e la violenza delle tempeste e, credetemi, non c’è proprio da scherzare quando ripetono: «‘O mare fa paura quanno fa ‘o mare”.»
Chi nasce e cresce accanto al mare è più fortunato di chi nasce sulla dorsale degli Appennini meridionali dove il terremoto stermina quando vuole vite e sogni, ma difficilmente può godere la bellezza delle verdi faggete sparse sui versanti dove non giunge il vento del Sud, la freschezza delle acque sorgive nascoste agli occhi degli uomini, il volo dei falchi in pieno cielo.
Per pura fortuna sul finire degli anni Novanta del secolo appena trascorso fece la sua comparsa, nei cieli che sovrastano il Parco Regionale dei Monti Picentini, un raro esemplare dell’Aquila del Bonelli in volo dall’area di Roccadaspide (SA) verso l’entroterra dell’Irpinia. 



Pochissime persone si accorsero della sua presenza nei cieli di quest’area e qualcuno già pensava che sarebbe stato un magnifico trofeo se abbattuta.
Nelle modeste comunità, ai piedi della sontuosa catena preappenninica, la gioia si sparse incontenibile: furono organizzate visite scolastiche, avvistamenti da parte dei componenti della LIPU sede campana; molti si interrogavano dove potesse essere il nido del formidabile volatile.
Accanto a tanta gioia maturava anche l’opposto senso di odio verso il bel volatile il quale a diverse ore del giorno solcava imperturbato i cieli del Parco, poi scompariva nella fitta vegetazione d’alta quota.
I bambini erano i più felici. Le maestre diedero compiti a scuola per l’evento. Si stamparono manifesti e brochure per far conoscere meglio il grande volatile.
Intanto i nemici dell’Aquila cercavano in ogni modo di raggiungere il nido per danneggiarlo e allontanare il volatile dai luoghi.
Passarono gli anni, cinque o forse sette, e l’attesa dei nemici ebbe i suoi frutti: l’Aquila fu vista precipitare nel folto della foresta dei faggi proprio sulla dorsale più vicina al luogo dove aveva realizzato il nido.
La notizia della sua scomparsa si sparse ovunque: i bambini, divenuti adolescenti, piangevano; le maestre a scuola iniziarono a custodire le foto dell’Aquila e tutti i lavoretti realizzati dagli scolari; la buona gente delle valli si rammaricava perché non riusciva a comprendere come fosse accaduto questa cosa terribile.
Iniziarono a nascere dicerie, bugie sparse dai nemici del fantastico animale, molte malelingue si vantavano di avere in qualche modo contribuito alla morte del volatile.
Nacque anche qualche leggenda che tramandava l’avventura dell’Aquila dal mare verso l’entroterra.
Non passò molto tempo da questo doloroso evento che fecero la comparsa nel cielo una schiera indefinita di corvi neri i quali calavano solo per depredare le colture sparse nelle valli o cibarsi sui cumuli dei rifiuti lasciati a cielo aperto.
I bambini ne avevano paura, nonostante i rappresentanti della LIPU difendessero i volatili, le maestre raccontavano le storie legate ai corvi e al loro volo verso le nubi quando si avvicinavano i temporali. Quasi nessuno era più felice.
Oggi tanta buona gente scruta il cielo nella speranza di scorgere ancora una volta il leggiadro volo dell’Aquila, la sua levità nell’affrontare le correnti, la sua vista acuta nello scorgere le occasioni a distanza, la capacità di essere da barriera per le molte specie che la temono e prolificano nel sottobosco delle valli del Sud.

Credo di essere rimasto trai pochi che hanno visto volare l’Aquila e se ne ricordano ancora con gioia.

Giugno, 2017 vincenzo d’alessio

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